Comprimere a settembre quello che hai srotolato a maggio

Il Lungo Addio Adriatico 1725648549Il Lungo Addio – Adriatico (2024, Tropico)
Gioventù portami via/dalla vecchiaia e dalla malattia. L’ho scoperta all’improvviso, sei o sette anni fa, e fino a quel momento non ne sospettavo l’esistenza: una versione demo di Vamos A La Playa, una delle più famose hit estive della mia infanzia, registrata nel 1981 e accreditata al solo Johnson Righeira. È uscita su una compilation chiamata I-Robots – Turin Dancefloor Express e sentirla mi ha riappacificato col mondo: un pezzo tesissimo sospeso tra i Kraftwerk e una certa fantascienza apocalittica anni sessanta.

Da quel momento la tengo sempre con me, mai troppo distante. È adatta in particolare a questo periodo dell’anno, quello in cui ogni mattina è incerta tra estate e autunno, il vento freddo spazza le spiagge, la birra inizia a sgasarsi un po’ e come certi mammiferi iniziamo a costruire la tana per il letargo invernale. In giro per questi posti è una sensazione che conosciamo bene: la stessa area ha due dimensioni diverse, se uno dei due lati è bagnato dal mare. A settembre il lavoro è comprimere quello che hai srotolato a maggio e in regalo c’è un bel bilancio emotivo sull’estate che hai trascorso – di solito è in perdita.

La persona che è riuscita meglio a mettere tutto questo in musica è un tizio che in Romagna non ci è nato e ora ci vive lontano: si chiama Fabrizio Testa, pubblica a nome Il Lungo Addio, parla SOLO di spleen rivierasco e ci siamo già occupati di lui su queste pagine. Ci torno oggi per una questione di confluenze: è uscito il nuovo disco, emblematicamente intitolato “Adriatico”. È uscito il 2 settembre, a celebrare le malinconie tardoestive degli ombrelloni che si chiudono assieme a certi fidanzamenti di una stagione. Lo fa, curiosamente, con un suono che non è mai stato così vicino alla demo version di Vamos A La Playa: synth, groove e tanta marzialità, forse debitrice della passione di Testa per tutto quel giro neofolk alla Death In June – Der Blutarsch. È bello? Io direi di sì, molto difficile da accettare in certi momenti, parecchio scuro ai bordi – abbastanza da chiudersi con le parole di Monica Vitti in Deserto Rosso. Torna tutto. Intanto qui gli ombrelloni continuano a chiudersi, i cocktail a riscaldarsi, il cielo a coprirsi di nuvole e gli armadi a rivelarsi per i cappotti che contengono. Non è malinconia, mi è entrato un sintetizzatore nell’occhio.

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