Quarant’anni e si sentono tutti (da Dio)

Y In DubThe Pop Group – Y in Dub (Mute, 2021)
Ormai capisci che fanno schifo senza manco dover prenderti il disturbo di ascoltare una canzone per sincerartene. Senti parlare di una nuova sensazione del rock inglese, vedi le foto di questi (ormai ex) ragazzi un po’ sconvolti con camicie spiegazzate e barbe incolte, guardi la copertina del disco e capisci che è l’ennesimo gruppo di cloni dei Fall. Il revival del cosiddetto punk-funk, o post-punk che dir si voglia, sta procedendo incontrastato dall’uscita di Echoes dei Rapture ad oggi, cioè da quasi vent’anni, e non accenna a sparire.

Ultime incarnazioni di straordinario successo: Idles, Fontaines DC, Squid, Protomartyr e simili. Hanno tutti una scusa, una bella canzone, un disco che “rinnova i canoni di un genere ormai abusato”. Sono tutti più o meno uguali e tutti più o meno ugualmente noiosi, ogni tanto qualcuno piazza un buon colpo, una bella canzone, una bella sequenza di canzoni, una bella copertina, un bel concerto, e nessuno ha il coraggio di dire che stiamo bevendo da 20 anni lo stesso intruglio. Mi viene sempre da pensare a quanto eravamo sconvolti la prima volta che abbiamo ascoltato Y, il disco più famoso del Pop Group. Uso il plurale perché credo che sia stato sconvolgente per tutti, e credo che sia stato sconvolgente ascoltarlo il giorno dell’uscita (più di 40 anni fa) o l’altro ieri. A quei tempi non si parlava davvero di “post-punk”, ovviamente. Il Pop Group era un gruppetto di adolescenti come ce n’erano tanti, volevano fare il funk e forse non erano davvero capaci di suonare assieme.

Così hanno fatto un disco di cacofonie funk che ha sconvolto i (pochini) contemporanei che l’hanno ascoltato, e poi ha sconvolto tutti quelli che l’hanno pescato per sbaglio quando quei suoni funky-punky erano passati di moda, e poi ha sconvolto tutti quelli che l’hanno sentito quando quei suoni funky-punky sono tornati di moda (io l’ho sentito in questa fase), e continua a sconvolgere oggi che il Pop Group si è riunito e quei suoni hanno talmente rotto le palle da non voler manco più sentir parlare di Mark Stewart.

Provateci. O se preferite ascoltate la clamorosa dub version uscita il 29 ottobre scorso, Y In Dub, remix album a cura di Blackbeard, che nel ’79 era il produttore 25enne del disco e oggi tutti chiamano Dennis Bovell, Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servizi resi alla musica. Un modo come un altro per rimpolpare l’entusiasmo intorno all’ennesimo disco post-punk, certamente.

Poi lo metti sul piatto e ti crollano tutte le certezze.

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