Il rock è finito nel 2015. Ora l’importante è crederci davvero (i Protomartyr e il punk sconvolto)

S04e07 Protomartyr Woods Stage 2016 By Liam Gillies 9 Wide 19d634b03918d93bbde2ef59b13634ee22c684ac

I Protomartyr

Ho fatto dieci o quindici anni di giornalismo musicale duro e puro utilizzando tutto il gergo classico del giornalista musicale italiano. Presente? Se ci fossi ancora dentro inizierei questo pezzo dicendo “le prime avvisaglie di ciò che in maniera forse impropria andremo in questa sede a definire punk sconvolto possono essere ragionevolmente fatte risalire all’essenza ideologica stessa del movimento punk, alla sua ricerca cosciente di chaos ed anarchia, e alle tendenze autodistruttive di molti eroi del genere. Queste tendenze autodistruttive sono state per lungo tempo imbrigliate all’interno di un format osservante e mercificato, ma alla fine degli anni novanta un manipolo di visionari lavorava ai margini della scena underground per reintrodurre elementi di geniale follia all’interno del post-hardcore. In quel momento realtà periferiche del sottobosco statunitense hanno gettato le basi per la costruzione di un suono sbilenco e dispari che avrebbe fortemente influenzato molte delle interpretazioni più esposte del disco-punk”.

Nello scrivere di musica ci sono tre regole: la prima è che devi farti delle basi solide, la seconda è che a un certo punto devi smettere con le basi solide e iniziare a scrivere roba leggibile, la terza è che a un certo punto devi smettere e iniziare a fare roba seria. Io personalmente mi sento tra la fase 1 e la fase 2. La mia cosa preferita è scrivere CHAOS con l’acca, non so perché mi prenda bene, probabilmente perché nella mia testa è una citazione dei Sepultura.

Comunque l’argomento di oggi sarebbe un gruppo di Detroit che si chiama Protomartyr, il quale nella mia testa suona punk sconvolto ma in altre teste è descritto come una delle poche espressioni di vitalità all’interno del rock contemporaneo e/o la testimonianza che chitarra basso e batteria hanno ancora notevoli potenzialità espressive.

Passo indietro. I Protomartyr esistono dai primi anni dieci e fanno dischi che nel giro sono molto considerati. La mia uscita preferita dei Protomartyr è un 7” di 4 canzoni (tipo 8 minuti di musica in totale) intitolato COLPI PROIBITI, e ovviamente lo preferisco perché il titolo è in italiano ed è evidentemente una citazione del mitico film con Van Damme in cui lui si fa rinchiudere in carcere e inizia a fare a botte con tutti per sgominare una banda di trafficanti di organi umani (titolo originale Death Warrant, del film ovviamente – il disco è intitolato Colpi Proibiti, appunto).

Inciso: c’è tutta una sottocultura di punk che citano il cinema trash con nomi di gruppi, etichette e titoli di dischi. Ad esempio nomi di etichette come Dim Mak, l’etichetta di Steve Aoki (da Senza esclusione di colpi, sempre con Van Damme) o Gern Blandsten, gruppi come Yaphet Kotto – è un legame a doppio filo che non è stato mai davvero esplorato fino in fondo, ci farei una tesi di laurea ma dovrei iscrivermi al Dams e ho paura che mi prendano per un fricchettone.

Tornando all’argomento, il “giro” in cui i Protomartyr sono considerati è quello diciamo così indie rock, o meglio, il giro di persone che seguivano l’indie rock vent’anni fa e hanno continuato ad ascoltarlo e vedere i concerti nonostante l’uso per loro improprio della parola “indie”. Quando parlo di “uso improprio” mi riferisco ad una corrente di gruppi vagamente legati a certe dinamiche del fashion design che nei primissimi anni duemila diventarono di gran moda. The Rapture e cose così: casse a quattro quarti, influenze new wave e roba simile. Artisticamente era un ripescaggio di tutto il discorso punk-funk dei vari Fall, Joy Division, Gang Of Four: ritmi scheletrici, chitarrine affilate e parti vocali più o meno eccitate. Era un ripescaggio che a ragion veduta era partito per via di certi gruppi/etichette ultrapunk, e funzionò talmente bene che dopo 4-5 anni di esperimenti ci si buttarono tutti quanti. Erano i primi anni del ventunesimo secolo. Da lì in poi qualunque gruppo indie abbia funzionato dal punto di vista giornalistico e/o di pubblico era impostato sugli stessi criteri: recuperi più o meno wave (oltre al dancepunk andava molto anche la roba tipo Jesus and Mary Chain), casse più o meno dritte, parti vocali più o meno eccitate. Verso il 2010, epoca in cui smisi anche il gergo del giornalista musicale, ne ebbi abbastanza anche io: come è possibile che questa roba continui a far gente? Quando torneranno finalmente di moda i Janitor Joe?

Poi purtroppo il rock è finito. Parliamo del 2015 o qualcosa del genere. La stampa ha deciso, per la maggior parte, che suonare la chitarra non è più cool, che il futuro è dei computer, che ogni disco in uscita con dei musicisti tradizionali sia una puttanata celebrativa con un senso d’esistere molto limitato. Fanno salvo, paradossalmente, alcuni gruppi di cui potreste aver letto in giro se vi piace leggere le classifiche di fine anno. In un periodo stradominato dall’hip hop gente tipo Cloud Nothings, Algiers, Parquet Courts e appunto Protomartyr: ogni tanto fanno un disco nuovo che viene ospitato nella playlist di fine anno di Pitchfork, e le descrizioni sono quasi sempre le stesse. All’interno di un indierock ormai standardizzato, finalmente un’interpretazione originale e intensa. Tendenzialmente sono cazzate, nel senso che poi uno si mette su il disco ed è la solita roba che funziona in quei contesti: recuperi più o meno wave, casse più o meno dritte, vocals più o meno eccitate. La ragione per cui stanno lì è che questa gente sembra crederci davvero, che ha un atteggiamento piuttosto sobrio e poco sputtanato, e che quando li vedi dal vivo spaccano i culi. Anche qui, è gente che spacca i culi ad uso e consumo di trentenni e ultratrentenni – che non è la prima cosa che pensi ascoltando un gruppo il cui ultimo disco è cantato da uno che sembra aver registrato le parti vocali dentro una caverna nel 2017 avanti cristo. Io personalmente sono contento che i Protomartyr vengano a suonare a Ravenna: non solo mi fa piacere entrare in un locale da concerti e non sembrare un poliziotto per ragioni anagrafiche, ma non li ho mai visti dal vivo e mi fa piacere ci sia modo di recuperare, che sia di fianco a casa mia e che si possa andare a dormire a un orario decente. Sempre viva il punk sconvolto.

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