Tenere alta la media

The Messthetics And James Brandon Lewis The Messthetics And James Brandon Lewis

The Messthetics and James Brandon Lewis – S/T (2024, Impulse!)
La storia degli incontri tra punk rock e jazz è abbastanza folta e molti appassionati sono disposti a fare un balzo ideologico e considerarli sostanzialmente la stessa cosa – generi in cui la struttura va e viene, praticati da persone che vogliono rompere gli schemi e che mostra- no spesso una spiccatissima inclinazione autodistruttiva.

Questo per dire che, fin dai tempi di Zenone, se uno ha sufficiente capacità argomentative può rendere convincente qualunque tesi. Ed è ovvio che il punk e il jazz non hanno, in premessa, moltissimo in comune: il pubblico del jazz preferisce stare seduto, quello del punk preferisce ammazzarsi di botte, eccetera. Ci sono stati e continuano a essere, tuttavia, numerosi esempi di incrocio e convergenza tra un genere e l’altro, a partire dall’emblematico caso del cosiddetto “jazzcore”, un genere a cui nessuno dei gruppi associati vuole veramente essere associato (Zu, Shining, diversi gruppi Skin Graft…), e diversi album collaborativi tra punk e jazzisti che si distinguono molto spesso per una media qualitativa molto alta.

Ad esempio cose come gli album su etichette tipo SYR o Konkurrent, o i dischi dei The Ex con gente tipo Getatchew Mekuria o la selezione di fiati all-star Brass Unbound, o il fenomenale album dei Wolf Eyes con Anthony Braxton. A questo novero si aggiunge un disco della scorsa settimana, edito da Impulse!, che documenta un incontro artistico tra due entità musicali la cui unione magari non era scritta in cielo, ma quando è avvenuta nessuna delle due parti ha deciso di lesinare. Da una parte James Brandon Lewis, sassofonista quarantenne serissimo da New York, che gode di reputazione inossidabile nel giro degli appassionati di jazz contemporaneo (Eye Of I, dello scorso anno, fu estremamente ben ricevuto un po’ da tutti).

Dall’altra i Messthetics, trio di semimprovvisazione fondato da Brendan Canty e Joe Lally, batteria e basso dei Fugazi. L’incontro è stimolante e si equivale nei pesi specifici: pezzi più coinvolgenti in cui a guidare è il groove fugaziano dei Messthetics, episodi più interlocutori e profondi con al centro le progressioni di Lewis. Un bel disco, utile anche per incrementare il curriculum dei monomaniaci (ascolto punk ma anche altro, ascolto jazz ma anche altro) e tenere alta la media qualitativa di questo genere di collaborazioni. Bravi!

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