James Holden/Waclaw Zimpel – The Universe Will Take Care Of You (2025 Border Community)
Ho ascoltato di recente un’intervista a James Holden via podcast, consigliata via Facebook da Bebo Guidetti (musicista nelLo Stato Sociale, autore in proprio di libri e spettacoli teatrali, ottimo teorico della musica popolare). James Holden è fuori con un disco in comproprietà assieme a Waclav Zimpel, polistrumentista di area impro-jazz. Pare che l’incontro sia arrivato dopo mesi in cui ognuno dei due inseguiva l’altro, perché erano rimasti vicendevolmente fulminati dai loro ultimi dischi. E poi da cosa nasce cosa. Nel podcast Holden racconta grossomodo il suo modo di operare, la sua visione di cosa dev’essere la musica e tutte le questioni a questo connesse.
James Holden è una specie di dj pentito: è comparso sulla scena giovanissimo, alla fine de- gli anni novanta, con alcuni singoli e remix che battevano in territori di techno e trance adulta di quel periodo. Poco dopo ha aperto un’etichetta, Border Community, con cui ha lanciato gente come Nathan Fake e prodotto un disco d’esordio che ha fatto impazzire la comunità. Il suo album successivo si chiama The Inheritors, esce nel 2013 ed è (parere personale) uno dei capolavori della musica di questo secolo: musica solo a tratti dance che sperimenta su formati assurdi e lunghezze spesso ingiustificate. Da lì in poi ha semplicemente smesso di fare il dj e suona solo in contesti “live”: macchinette e computer, improvvisazione su pattern precostruiti. Si trova spesso, dice, a produrre tracce musicali a cui basterebbe aggiungere una cassa sotto per fabbricare una hit pronta per spaccare in due le piste da ballo più esigenti al mondo, ma non ha più voglia di farlo. Dice che nella dimensione dei suoi live ha trovato un pubblico diverso, che sembra comprendere quel che lui sta cercando di fare e reagisce in una maniera più profonda.
E quindi, per ora, ha deciso di non tornare indietro. La morale della favola è qualcosa del tipo che fare ciò che vuoi fare è molto meglio di fare ciò che pensi funzionerebbe meglio, e il disco con Waclav Zimpel è un perfetto esempio. Molto spesso sparano troppo alto e sembrano affogare in un brodo di sintetizzatori lungo 10 minuti a botta, ma in certi momenti del disco tutti quei buildup infiniti di flautini e versi di uccelli ti fanno sentire come se stessi ascoltando l’unico tentativo compiuto di suonare in un solo istante tutta la musica mai pensata.