Venditti e quella “fantastica storia”

C’è questo tizio che ho conosciuto nel 2000, all’epoca lui aveva appena iniziato l’università e io stavo per andare fuori corso. Si chiama Marco e parlavamo di musica, era un fan di un sacco di cose che piacevano a me ma aveva questi gusti personalissimi e conosceva tutto. Sembrava non avere la più pallida idea di cosa pensassero gli altri di un tal gruppo o di tal altro, ascoltava indifferentemente i Painkiller e Luca Carboni e tutto il resto. A quei tempi gli ascoltatori a trecentosessanta gradi non erano mica tanti, o meglio, erano già tantissimi ma erano tutti come me, cioè, gente che ascoltava solo rock pesante e un po’ di rap e magari un paio di dischi drum’n’bass, il tutto con la convinzione di non avere alcun preconcetto. Ecco, Marco ti parlava di Max Pezzali con la stessa cognizione di causa con cui parlava dei Napalm Death, conosceva tutta la loro opera, per entrambi ammetteva l’esistenza di dischi così così e si concentrava sugli altri e li consigliava a tutti. Da Marco ho imparato un sacco di cose giuste, tipo che a parte Scum i Napalm Death erano quasi il peggior gruppo a cui i membri dei Napalm Death avessero messo mano – non è che non conoscessi i Godflesh, ma c’era questa sorta di imprinting che mi bloccava ed era legato a certa roba che avevo probabilmente letto sulle riviste. E poi ho imparato che la prima Rollins Band è molto meglio di qualsiasi cosa dei Black Flag, ad esempio, e poi mi ha infilato a forza in gola l’amore più totale per i Type O Negative. E ovviamente Venditti, l’Orso Bruno, secondo le sue parole uno dei più straordinari musicisti al mondo. È stata una cosa più recente: il 2 gennaio 2012 pubblicò senza dirmi nulla una dozzina di righe strabiliate a commento dell’esibizione di Venditti a Che tempo che fa, scrivendo tra l’altro che la canzone “E allora canta”, ultimo singolo del cantautore all’epoca, «è l’attimo cristallizzato ed espanso per cinque minuti e rotti in cui il groppo in gola si spezza, la faccia si disfa e ogni possibile argine di autocontrollo viene spazzato via per lasciare il campo al pianto incontrollato». Ai tempi Marco s’era già fatto un po’ sfuggente, non ci beccavamo più così spesso in giro. A un certo punto ebbe un problema di salute e dovette essere ricoverato e tenuto in questo stato di dormiveglia da certe droghe e un annetto dopo mi parlò di questa cosa che gli era successa. Mi disse «ero lì e mi sentivo come in coma però vigile, forse non mi avevano dato abbastanza droga, così mi è venuta in mente quella volta che misero su un disco di Antonello Venditti a un bambino in coma e il bambino si era svegliato. Ero lì che pensavo, dai, speriamo che arrivi qualcuno e mi metta su un disco di Antonello Venditti». L’altra volta che mi parlò di Venditti l’aveva appena visto live da qualche parte per la prima volta, forse era una Notte Rosa nel riminese dove s’era trasferito. Era estasiato: Marco era un punk, guardava i concerti negli squat, ogni tanto faceva qualche evento da palazzetto ma nell’ordine di una volta ogni tre anni, e mi disse, «io non so se tu sei abituato a queste cose ma io non ne avevo idea e lui è arrivato sul palco e c’era tutta la gente che urlava, e nel suo gruppo c’erano due batterie e suonavano pesantissimo. Io ero ìl che c’ero finito quasi per caso e lui ha iniziato suonando “Che fantastica storia è la vita”, hai presente, no? Ecco, la gente la sapeva TUTTA, cantavano tutti il testo a memoria che quasi lui non si sentiva, così ho iniziato a cantare anche io e a un certo punto mi son venute giù le lacrime e non ho più smesso per tutto il concerto». Io non ho mai visto Antonello Venditti dal vivo e direi così a naso che non ho nemmeno un suo disco originale – ho recuperato una raccolta tripla per via di Marco ma la ascolto poco perchè le canzoni hanno perlopiù questi suoni di merda che non riesco a sopportare. Mi sta abbastanza sul cazzo perchè una volta lo vidi straparlare ad una trasmissione di Santoro, forse era appena morto Falcone e lui parlava con dei ragazzi siciliani non capendoci un cazzo e facendomi desiderare la sua morte; e non riuscivo manco a capire cosa cazzo ci fosse da ridere nell’imitazione che faceva Guzzanti, cioè, bellissima e tutto ma una volta o due basta e avanza. E poi è il principale iniziatore della moda dei film romantici italiani tratti da una canzone romantica italiana (Notte prima degli esami, 1 e 2), e per questa cosa credo sia giusto detestarlo. Però c’è un momento in cui ha inchiodato il culo pure a me. Era uscita la raccolta Max 20, a celebrazione del ventennale di attività di Pezzali, ed era un terribile disco con un pugno di brutti inediti e le canzoni più famose di Pezzali a cui venivano aggiunte strofe cantate da ospiti presi più o meno a caso da tutta la musica italiana. Perlopiù aborti e merda di cane, ma a un certo punto arrivò “Quello che capita” cantata da Venditti. La canzone di per sé è un singolino, niente di che, ma lui entra dopo quattro righe e la rende la cosa più emotiva di tutta la carriera di Pezzali. Un mezzo miracolo. Così, insomma, la ascoltai e per prima cosa pensai a Marco e al fatto che anche su Venditti – come su tutto il resto – avesse ragione lui. Non lo sento più così spesso, ogni tanto scrive ancora sul nostro blog e perlopiù scrive cose giustissime. Credo non si sbracci più ad ascoltare molta musica nuova, anche io faccio molta fatica a stare al passo. Magari lo invito al concerto di Venditti e ci facciamo un bicchiere di aranciata amara in onore dei vecchi tempi. Spero che nel caso Venditti attacchi con “Che fantastica storia è la vita”.

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