Il Cocoricò e la musica brutta

Dopo questa bella pausa estiva arrivo volutamente lungo a parlare del Cocoricò di Riccione. E ne voglio parlare soprattutto con voi che fate i simpatici, che fate la battuta sulla chiusura dicendo che tanto la musica fa schifo. Ah ah. Vorrei informarvi che no, la musica non fa schifo e come al solito non è neppure questione di gusti. E no, per ascoltare quella musica non devi per forza sballarti, né prendere pasticche strane. C’è chi lo fa, certo, come quelli che si fanno una canna a un concerto rock. Però c’è anche chi quella musica l’ascolta in cuffia fermo immobile seduto su una poltrona (tipo me). O chi va ad ascoltare quegli stessi artisti che per voi fanno musica di merda a un festival, comodamente seduto nella platea di un teatro o di un museo di arte contemporanea. Volevo dirvi che il Cocoricò in Italia è tra i pochi che certa gente l’ha portata qui in tempi non sospetti, negli anni Novanta, quando tutti i rockettari di ‘sta minchia (tra cui sempre il sottoscritto) schifavano l’elettronica. Ora che l’elettronica è stata sdogantata da tempo, occorre almeno ribadire il concetto. E ricordare che al Cocoricò ci ha suonato, e più volte, per esempio Richie Hawtin, che poi si è pure sputtanato ma che con il suo pseudonimo Plastikman ha chiarito il concetto di minimal e alcuni suoi album di techno si dovrebbero far ascoltare nelle scuole. In fondo c’è poi così tanta differenza con la classica? Con il jazz? È musica astratta dei nostri giorni e i suoi Mozart o Bach (mi viene da ridere ma dico fondamentalmente sul serio) hanno suonato quasi tutti al Cocoricò. Jeff Mills per esempio. O addirittura un giovanissimo Aphex Twin, a dire il vero cacciato dalla consolle, un episodio di cui ancora ci dovremmo vergognare (tutti noi che teniamo alla musica). E Carl Craig, e Four Tet, e Ricardo Villalobos. La lista è lunga, la trovate su internet, e comprende anche alcuni campioni molto pop(olari) come i Daft Punk (che in realtà non sono riusciti a suonarci, al Cocoricò, ma la storia è lunga) o i Chemical Brothers, per dire, che hanno tra l’altro da poco pubblicato un altro album che spacca il culo probabilmente a tutti i nuovi gruppi con le chitarre usciti con un disco quest’anno.
Scusate se sono stato un po’ aggressivo, ma il concetto è che, anche se ormai non è più all’avanguardia come un tempo, mi piacerebbe che tutti fossero almeno un pochino tristi per i quattro mesi di chiusura (per il ragazzo morto per droga) di un luogo che di cultura (perché oltre alla musica qui sono nati, praticamente, la performance e il teatro sperimentale in Romagna) ne ha fatta eccome.

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