“Maniac”, una miniserie molto interessante ma troppo ermetica e troppo lunga

Maniac Serie TvManiac (Miniserie di Cary Fukunaga, 10 episodi, 2018)
Non lo so: non è consuetudine non avere un’idea precisa di cosa si ha appena visto, mentre è un diritto dello spettatore non esprimere un giudizio finale.
Questo è quanto riesco a dire, al momento, su Maniac, miniserie televisiva remake di un’omonima quanto purtroppo sconosciuta serie norvegese del 2014.
Le premesse sono incredibili, a partire dal nome di chi l’ha scritta e diretta, perché Fukunaga è uno dei registi del momento, visto che “proviene” dall’ottima prima stagione di True Detective (e dirigerà il prossimo James Bond); inoltre il cast, davvero stellare, è composto da Jonah Hill (e chi non lo conosce ancora rimedi perché è gravissimo), Emma Stone, Justin Theroux, Sally Field, Gabriel Byrne e l’iconica Sonoya Mizuno.

L’ambientazione distopica introduce un grande e riuscito elemento di originalità, perché si pone in un futuro prossimo mantenendo l’estetica degli anni ’80, come se un episodio di Black Mirror fosse un estratto di Blade Runner, fondendosi alla perfezione. E se a quest’ultimo deve tutta la sua ispirazione estetica, è alla serie fantascientifica per eccellenza che Maniac attinge a piene mani.
Si parla di due protagonisti completamente disadattati nella società che si sottopongono a un esperimento per cui devono assumere tre pillole al giorno che permetteranno loro, nel sonno, di compiere viaggi nella propria mente per scavare nel passato, li impegneranno in strane situazioni e avventure, con l’unico scopo di guarire i loro disturbi mentali.
Come già detto, la scenografia, soprattutto dell’ambiente della ditta dove si compie l’esperimento subito salta ai nostri occhi e ci colpisce con il mix di futurismo e vintage che cattura perfettamente la cultura dominante di questo periodo e la rappresenta sullo schermo.
Inoltre, i tre grandi viaggi mentali non sono altro che sotto trame indipendenti che omaggiano a piene mani gli autori che hanno fatto la storia recente del cinema, da Tarantino a Lynch, passando per un eccentrico e geniale gangster rapimento a metà tra Anderson e la bellissima serie Fargo.

Raccontata in questa maniera, non si capiscono quindi i dubbi espressi nelle prime righe di questa recensione, perché pare tutto perfetto; in realtà non si sono fatti i conti con due grandissimi nemici delle serie di oggi.
1) La dilatazione: 10 episodi sono troppi, alcune storie vanno davvero troppo per le lunghe (soprattutto quella fantasy) e a tratti ci si annoia irreversibilmente.
2) L’ermetismo: la serie non si segue facilmente, ci sono molti simboli, molti riferimenti ad azioni precedenti e sia l’eccessiva dilatazione come già detto, sia la struttura episodica in sé, rendono più difficili i collegamenti tra i fatti narrati in episodi precedenti.

Una grossa lancia da spezzare in favore di Maniac è l’episodio finale, molto bello e soprattutto molto conclusivo, che dovrebbe metterci al riparo da un sequel che sarebbe come sempre uno sminuire il concetto della miniserie che dev’essere un film allargato e non una scusa per fare soldi e seguiti, e che ha fatto perdere interesse in progetti inizialmente interessanti come Stranger Things e Tredici, tanto per fare due nomi.
Maniac divide e dividerà; io sono già diviso, perché il mio interesse psicologico ha fatto a botte con la noia per tutto il tempo. Ma è una serie che è e resta interessante. Prodotta da Netflix, disponibile in streaming.

Propositi per il ponte di Ognissanti: guardare il film Halloween originale del 1978 perché è un capolavoro del genere e provare a guardare il sequel in sala che tiene conto appunto solo del capostipite della serie.

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