Non il miglior Solondz, ma un’occasione per riscoprire un grande regista

Danny De Vito

Danny De Vito in una scena di “Wiener-Dog”

Wiener-Dog (di Todd Solondz, 2016)
Premessa n.1: i Wiener per gli americani sono i wurstel, e il Wiener-Dog è il modo alquanto sarcastico con cui chiamano i cani bassotto.

Premessa n.2: Todd Solondz in Italia è praticamente uno sconosciuto, e questo è gravissimo, perché ha girato alcuni dei film più belli degli ultimi vent’anni e qui sempre segnalati. Happiness del 1998 è la bella e sincera “copia” di American Beauty (uscito l’anno dopo): temi simili, realismo accentuato, sarcasmo intatto, cinematograficamente una bomba. Dieci anni dopo, Perdona e dimentica, miglior sceneggiatura al Festival di Venezia, è un film perfetto nella sua messa in scena di un’America decadente, decaduta e sicuramente per lui, misantropo, deceduta.
Wiener-Dog, film di Amazon mai uscito nelle sale e al momento neanche sulla piattaforma Prime, è disponibile qua e là in streaming in lingua originale con sottotitoli, è un film a episodi (come il meraviglioso film dei Coen recensito in questa precedente rubrica) e vede al centro una bassotta che si ritrova nelle mani di quattro personaggi (e di conseguenza episodi) diversi.

Solondz è il simbolo del cinema indipendente americano e molti attori recitano volentieri per lui; anche i musicisti lo amano tanto che i Belle And Sebastian, nel 2002 scrissero una colonna sonora per il suo (bellissimo e tuttora incredibilmente inedito) Storytelling, che fu poi da lui rifiutata.

In questo film, nel primo episodio, troviamo Julie Delphy e una bassottina regalata al figlio convalescente, cane che poi viene di fatto rapito dalla infermiera veterinaria Greta Gerwig per un eccentrico, inusuale e di fatto centrale episodio on the road.
Dopo un intermezzo rigorosamente canino e canterino, assistiamo alla sarcastica storia di un professore/sceneggiatore hollywoodiano in declino (mister Danny De Vito) alle prese con la derisione dei propri studenti e ambizioni ormai inspiegabili.
Il capitolo finale, con Ellen Burstyn, severo, sempre canino e molto ironico sugli artisti odierni, parla di solitudine e morte, e completa una parabola filmica discendente che vede i due episodi centrali di maggiore importanza nell’economia del film.

L’episodio dell’infermiera Gerwig, oltre che il più convincente e vicino alle poetiche del regista, costituisce anche una sorta di sequel di Fuga dalla scuola media, film che ha reso un po’ famoso Solondz anche da noi, perché la protagonista è proprio l’ex ragazzina protagonista Dawn Wiener (a proposito…) che incontra il vecchio compagno di scuola che l’aveva bullizzata. Il “problema” è che Dawn era già morta in un film precedente (Palindromi) del regista, che qui scorpora in maniera piuttosto netta il concetto di sequel e si mangia senza difficoltà le sue storie per mostrarci la sua visione della morte, chiarissima nel quarto episodio, e sussurrata ai suoi fan e non solo nella storia centrale.

Wiener-Dog non è il miglior Solondz, che ha dato enormi prove di cinema in tutti i film sopra citati, ma rappresenta una summa ideale delle opere di un artista ormai sessantenne che potrebbe servire a chiudere una lunga parentesi dedicata a storie di un’America decadente per poi forse aprire nuove porte.
Sicuramente costituisce la quadratura di un cerchio iniziato oltre vent’anni fa e proseguito con coerenza e qualità pur senza mai ottenere un successo che va oltre il corale consenso della critica.
Fermiamoci tutti e recuperiamo Todd Solondz, cantore indipendente, ostico e ostile dell’America crepuscolare di questi ultimi anni. E tra i migliori nel suo ruolo.

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