Il profumo è quello del cinema, ma l’Oscar è un’altra minestra riscaldata

Oscar Del ToroLa forma dell’acqua (di Guillermo Del Toro, 2017)
Baltimora, Stati Uniti, 1962, in piena Guerra Fredda. Elisa è muta e lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo dove si svolgono esperimenti, insieme con Zelda, l’unica amica che ha, oltre al vicino di casa gay Giles. Un giorno arriva al laboratorio una creatura umanoide, apparentemente violenta, proveniente dall’Amazzonia dove era venerata come un Dio. La creatura sarà ovviamente oggetto di violenze (reali) da parte degli yankees e (potenziali) dei sovietici, mentre nascerà l’amore con Elisa che creerà non pochi problemi ai due. La forma dell’acqua è un abile mosaico di citazioni cinematografiche: l’ambientazione è ad opera di Jean Pierre Jeunet (Amelie, ma non solo), mentre la creatura è da una parte Il mostro della laguna nera, e dall’altra ricorda un po’ E.T. o più in generale gli “alieni buoni” dei film di fantascienza di questi anni; la storia d’amore è la classica Bella e la bestia mentre la grafica dei personaggi inventati appartiene ad Avatar. Dire quindi che all’orizzonte non ci sia nulla di nuovo è addirittura riduttivo, e se aggiungiamo all’abile mix gli stereotipi su Guerra Fredda e discriminazioni varie (colore della pelle e omosessualità), abbiamo tutti gli ingredienti per un dolce che più melenso e buonista non si può. Ma è proprio nella forma, nell’estetica, nella regia e nei suoi colori che la storia acquisisce un suo perchè, riequilibrando parzialmente la bilancia che pende pericolosamente dalla parte della banalità e del già visto. Mettiamoci un bel cast e una bella colonna sonora (e anche qui le citazioni si sprecano…) ed ecco perfettamente confezionato la pellicola che ha vinto quattro Oscar: film, regia, scenografia (ampiamente meritato) e colonna sonora. Per quel che mi riguarda mi sono annoiato, perchè nel 2018 non posso ancora vedere queste minestrine riscaldate e insaporite artificialmente, quando il cinema deve andare avanti e gli unici passi in questa direzione li fa la televisione con l’ariete Black Mirror (e non solo). Non si può dire che non sia una rappresentazione diversa, e neanche che non si respiri il profumo del cinema, non si può non dare atto a Del Toro di non conoscere e non omaggiare i grandi, ma francamente non ne posso più di vedere sempre le stesse cose che cambiano vestito.

Oscar 2018
Non voglio dilungarmi troppo su premi che non mi hanno mai entusiasmato e l’ennesima annata cinematografica anonima. Tra i film in gara ho apprezzato più di tutti Tre manifesti anche se il premio come miglior attrice alla McDormand, che da vent’anni recita sempre lo stesso ruolo, mi pare un po’ esagerato. Meglio, per lo stesso film, il premio al non protagonista Sam Rockwell. Non ho visto L’ora più buia ma per Gary Oldman miglior attore non solo mi fido ciecamente, ma lo vedo essenzialmente (un po’ come Di Caprio lo scorso anno) un premio alla carriera, splendida. Chiamami col tuo nome, di cui qui se ne è parlato da poco e con scarso entusiasmo, ha ricevuto solo il premio alla migliore sceneggiatura non originale, scritta da James Ivory (e anche qua sento odore di riconoscimento alla carriera), mentre la miglior sceneggiatura originale è andata a Get Out di Jordan Peele, un film di cui non so ancora nulla se non che uscirà il 18 maggio col titolo Scappa: un thriller-horror che sembra già un cult movie girato da un regista esordiente a basso budget, nettamente il film che ha catturato maggiormente il mio interesse in questa notte degli Oscar. Tutto il resto, spiace dirlo, è noia.

MAR MOSTRA SALGADO BILLB 15 – 21 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24