L’indicibile necessarium

Il bagno nell’architettura contemporanea

Adolf Loos Villa Muller

Adolf Loos, Villa Müller

«Se vuoi il mio consiglio, abbellisci il tuo cesso e abbellirai la tua anima»
I Simpson

Come l’architettura moderna ha affrontato quel tema così essenziale e al tempo stesso oggetto di “tabu” che è il luogo dove le persone svolgono, oltre la cura del corpo, le loro inevitabili funzioni fisiologiche? Una volta Alberto Savinio scrisse che quando si rese conto che anche la donna da lui amata era costretta ad andare, come tutti gli umani, al gabinetto, la sua visione “dolcestilnovistica” del genere femminile subì un serio contraccolpo.

La storia del bagno del Novecento inizia nell’Austria fine secolo, non solo perché l’architetto Otto Wagner disegnò la prima toilette moderna, con la rivoluzionaria e scandalosa vasca trasparente di cristallo per il suo appartamento in Linke Wienzelle 38 a Vienna, ma soprattutto per le basilari riflessioni sul tema condotte dall’architetto Adolf Loos, l’autore del celebre Ornamento e delitto (1908), e dal suo amico scrittore e massimo autore di aforismi dell’età contemporanea, Karl Kraus. Il primo affermò che «Si può misurare la civiltà di un popolo dal grado in cui sono sconciate le pareti delle latrine» (Ornamento e delitto) e che «senza l’idraulico non esiste diciannovesimo secolo» (I plumbers, 1898), indicando nel moderno bathroom anglosassone il modello cui necessariamente rifarsi per introdurre la civiltà occidentale in Austria. Il secondo ci ha lasciato, tra gli altri, questo fulminante aforisma sul tema: «Ci sono tre stadi del progresso. Il primo: quando in un gabinetto non c’è nessuna targa. Il secondo: quando compare una targa con una scritta che prescrive di riordinarsi gli abiti prima di lasciare il luogo. Il terzo: quando, alla fine della scritta, si spiega che la cosa è giustificata da preoccupazioni di decenza. Noi ci troviamo in questo stadio supremo del progresso» (Detti e contraddetti, 1909).

Il bagno ha sempre prodotto riflessioni filosofiche, anche nel Novecento: luogo ideale di lettura per lo scrittore americano Henry Miller – «Oh i meravigliosi intervalli al gabinetto! A essi devo la mia conoscenza di Boccaccio, Rabelais, Petronio, dell’Asino d’Oro. Tutte le mie valide letture, si può dire, furono fatte al gabinetto» (Primavera nera, 1936) – metafora dell’isolamento per Albert Camus – «La solitudine perfetta. Nell’orinatoio di una grande stazione all’una del mattino» (Taccuini, 1935-1959) – luogo di “liberazione” in tutti i sensi per Guido Ceronetti – «Il rimedio contro i cattivi sogni – raccontarli subito al buco del cesso – è razionalissimo. Raccontare il sogno al cesso è purgarsene, scaricare la mente, come si scarica il corpo, nel luogo adatto. Da anni pratico questo metodo e lo raccomando a chi non sia superstizioso. La pratica è da estendere a ogni genere di costipazione mentale: libidini, fanatismi, amori, lutti, ricordi dolorosi, paure, manie, ambizioni ecc. Ti chiudi nel cesso e ti purghi, confessandoti al grande orecchio-buco, che non rivelerà niente a nessuno. Il cesso è un medico onesto e un fedele amico» (Il silenzio del corpo, 1979). Ma è stato un autore della scapigliatura milanese tra fine Ottocento e primi Novecento, Carlo Dossi, a definire questo luogo con ironica crudezza: «Il cesso lo chiamano il comodo. Ed è il luogo quasi sempre il più incomodo della casa! – Noto che gli architetti nei loro progetti di casa, paiono sempre le persone più poetiche del mondo. Si dimenticano che l’uomo ha un culo… e non trovano posto pel cesso. Fatta la fabbrica poi, lo allogano in fondo a qualche baltresca o sconciamente lo attaccano in sul di fuori […]. E sì che la sala da pranzo, senza il cesso, è incompleta…» (Note azzurre, 1870-1907).

E così si torna al tema del tabu (su cui, per inciso, esiste una bella conferenza di Barbara Penner, autrice del fondamentale Bathroom (Reaktion Books, 2013), dal titolo appunto di Toilets and Taboos, visibile su YouTube). Già Flaubert aveva accusato gli architetti di dimenticarsi sempre di mettere le scale nei loro progetti; Dossi vi aggiunge ora anche il cesso. A difesa dei tanto bistrattati architetti contemporanei, la conferenza del 28 settembre mostrerà come questi ultimi hanno cercato di risolvere il tema del necessarium: a cominciare dal fastoso “bagno pompeiano” di villa Karma a Montreux (1903-1906) e da quello “nihilista” di villa Müller a Praga (1930), entrambi progettati da Loos, al celeberrimo bagno della Villa Savoye (1928-1931) di Le Corbusier – autore anche di altri famosi bagni come quelli per il suo appartamento in Rue Molitor a Parigi (1931-1934) o per il mitico “Cabanon” a Roquebrune-Cap-Martin (1951) – a quelli, classici del Moderno e forse noti solo agli studenti d’architettura, di Ludwig Mies van der Rohe  per villa Tugendhat a Brno (1928) e casa Casa Farnsworth a Piano, Illinois (1945-1951). Senza dimenticare che il geniale Marcel Duchamp aveva trasformato un orinatoio nel più celebre dei ready-made, firmandolo R. Mutt e ribattezzandolo Fountaine (1917).

Come che sia, il bagno, oltre che necessario, sarà sempre un luogo utile per consolarci, senza essere visti, delle nostre delusioni, come c’insegna la celebre battuta di Igor/Marty Feldman in quel capolavoro del genere comico di tutti i tempi che è Frankenstein Junior (1974): «Quando la sorte ti è contraria e hai mancato del successo, smetti di far castelli in aria e va’ a piangere sul…».

Questo articolo è pubblicato in occasione della conferenza Il bagno come segno intimo di civiltà. Storia, funzioni, estetica di un luogo fondamentantale dell’abitare, fra pubblico e privato con interventi e dialogo di Federico Bucci e Alberto Giorgio Cassani, in programma il 28 settembre (ore 18.30) alla Sala Simposium dell’Hotel Molino Rosso di Imola. L’incontro, promosso dal gruppo Ciicai in occasione del Cersaie di Bologna, è a cura di SeDici Architettura/Reclam di Ravenna e gode del patrocinio dell’Ordine degli Architetti di Bologna anche ai fini dei crediti formativi professionali.

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