Fra acqua e terra corrono la storia e il futuro della città

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La facciata del secolare convento di Santo Stefano degli Ulivi, ex Caserma dei Pompieri

Dalla stazione ferroviaria si irradia un quartiere in piena trasformazione, porta per lo sviluppo della Darsena

Le ricognizioni urbane tornano ad occuparsi di centro storico e si concentrano su quella porzione appoggiata alle mura che comprende viale e piazzale Farini, l’area che si estende fino alla Rocca Brancaleone, viale Pallavicini e viale Santi Baldini. Una zona strategica, pulsante, che da oltre un secolo assiste a grandi trasformazioni. Come poche altre aree urbane ha visto mutare le proprie sembianze in maniera radicale. Motore di ogni evoluzione la presenza della linea ferroviaria, quella di collegamento verso Castel Bolognese aperta nel 1863 e quella verso Rimini del 1888. Una presenza però ingombrante che determinò l’abbattimento di una porzione considerevole delle mura e la nascita di un viale, dedicato nel 1878 a Luigi Carlo Farini.Nello stesso anno davanti alla stazione fu posta la statua dello statista. Se la storia fornisce tanti elementi per comprendere la morfologia di questa porzione urbana è l’attualità a dominare le cronache. Da un lato il tema mai sopito della sicurezza declinato con più o meno successo in tutte le città con una stazione ferroviaria affacciata sul centro storico, dall’altro la grande promessa incarnata dalla riqualificazione della darsena, intesa come ricucitura fra due ambiti urbani vicini ma da sempre distanti. Una rigenerazione che avrebbe nella stazione un nodo essenziale e aprirebbe una prospettiva sulla via d’acqua del Candiano. Rimane fra i progetti annunciati dell’ultimo decennio, come obiettivo minimo, il prolungamento del sottopasso ferroviario pedonale con approdo sulla testata del canale. Sullo sfondo, annunciati ci sono anche bandi per opere stradali utili a superare l’annosa questione degli attraversamenti ferroviari a raso di via Candiano e via Canale Molinetto. La promessa di fondi regionali e statali dovrebbe facilitare l’iter, ma al momento non è possibile fare previsioni sulle tempistiche delle opere. Tornando su viale Farini numerosi sono stati gli interventi negli anni per mitigare il non facile rapporto fra residenti e presenze non sempre dedite ad attività lecite. Nuova illuminazione dei giardini Speyer e dell’edificio del liceo Classico, ulteriore risistemazione del giardino adiacente la basilica di San Giovanni Evangelista, la posa in piazza Mameli di tre chioschi per l’edicola, le rivendite di dolciumi e piadina e una nuova illuminazione sono solo alcune delle misure adottate per tenere sotto controllo l’area. Nel 2011 nel corso dei lavori di scavo per la realizzazione delle isole ecologiche interrate, effettuati dal Gruppo Hera in Piazza Anita Garibaldi, è venuto in luce un settore di una residenza di epoca imperiale romana con pavimenti a mosaico bianco e nero,riferiti a 5 ambienti che si aprivano intorno ad un’area cortilizia. Le fonti individuano in prossimità del tracciato di via di Roma la presenza del canale navigabile detto Fossa Augusta, mentre oltre la stazione ferroviaria si apriva la linea di costa.

Scorci intorno alla zona est del centro storico

Lo scavo ha riportato alla luce inoltre resti murari di un edificio tardo antico. Con il ritrovamento posto sotto il livello della falda acquifera a circa 3 metri e 30 la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna ha deciso lo strappo dei mosaici e il prelievo del muro antico. Il Gruppo Hera spa poi ha provveduto al finanziamento del loro restauro. Nella primavera del 2014 i mosaici troveranno stabile collocazione grazie a un sapiente allestimento all’interno di Tamo nel complesso di San Nicolò.Oggi nella zona vige l’ordinanza del sindaco sulla vendita e consumo di alcol, e progetti di mediazione culturale di Citt@ttiva dovrebbero favorire azioni per aumentare la percezione di sicurezza nei cittadini. Nella rete commerciale sempre più esile ma comunque presente si è inserito negli ultimi anni un mini mercato Coop su via di Roma, ad orario continuato. I residenti e i commercianti periodicamente fanno sentire la propria voce certificando che nessuno vuole cedere al degrado la zona dagli ampi viali ricca di verde e di storia. E proprio la stazione ferroviaria e la vicina Darsena, obiettivi militari per eccellenza, furono oggetti di bombardamenti che sfigurarono la città nel corso della Seconda guerra mondiale. Salva ma fortemente danneggiata la chiesa di San Giovanni Evangelista, eretta da Galla Placidia nel 425, salvo l’edificio del liceo Classico, vennero colpite la stazione, la statua di Farini e la casa del Balilla, firmata da Giulio Ulisse Arata posta in un’area verde, al termine di viale Farini, sul lato sinistro guardando la stazione.  Viale Pallavicini aperto nel 1863 in sostituzione di una strada detta di San Sergio e Bacco precede di molti decenni via Carducci. Nel 1883 fu la volta di viale Santi Baldini che conduceva allora ippodromo realizzato nel 1886, nell’area destinata durante il ventennio fascista ai giardini pubblici. Villini di pregio, un’edilizia residenziale curata hanno reso elegante e armoniosa la zona. Un’armonia che nemmeno le ferite della guerra e la ricostruzione del dopoguerra fatta di interventi massivi ha scomposto. Dell’ospedale civile adiacente alla basilica di San Giovanni Evangelista, della fabbrica dei cristalli, del vezzoso edificio dei Bagni pubblici, della società di ginnastica e scherma su viale Farini, del convento di Santo Stefano degli Ulivi in piazza Mameli, del padiglione Umberto I su piazzale Farini non rimangono che le foto in bianco e nero, solo la statua di Farini, ricollocata negli anni Novanta in un contesto del tutto moderno rimanda malinconica, a un tempo di grandi opere e trasformazioni. Davanti al liceo Classico nel 1953 viene costruita la sede della Camera di Commercio su progetto dell’architetto Antonino Manzone, esempio di “razionalismo nordico”. Nel 1988 – 1990 la Camera di commercio si estende, inglobando, il vicino palazzo Sgubbi e palazzo Loreta su via di Roma su progetto dell’architetto faentino Filippo Monti, recentemente scomparso. Gli interni vengono impreziositi da marmi bicromi, pareti in vetro policromo e viene aperte lo spazio conferenze a piano rialzato chiamato sala Cavalcoli. Il via vai del pendolari, degli studenti, la presenza di uffici comunali con il vicino comando della Polizia municipale, dell’Acer, degli assessorati all’ambiente ed urbanistica, dell’Inail, i servizi per i turisti con alberghi e B&b, stazione dei taxi, linee di bus, bar e ristorazione veloce, gli empori gestiti da stranieri, tutto contribuisce a creare movimento senza arrivare ad effetti caotici o parossistici.
Spostandosi su via Rocca Brancaleone appare un’edilizia sobria, quieta realizzata dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del Novecento. Il manufatto veneziano occupa uno posto speciale nel cuore dei ravennati. Un affetto malinconico, dovuto all’utilizzo parziale per eventi di pubblico spettacolo solo della porzione del mastio, riservata alle proiezioni cinematografiche estive. Un sentimento comunque inesausto, che rimanda alla grande stagione musicale che lì si svolgeva fra gli anni Settanta e Ottanta e che si rinnova nella compostezza del giardino cresciuto, in quella che nel Quattrocento era la cittadella, meta oggi di famiglie con bambini e di studenti, dopo l’acquisizione della Rocca da parte del Comune nel 1968.

Scorci  in zona stazione

Non sono mancati dentro e nei dintorni dello storico edificio episodi di microcriminalità, ma l’attaccamento dei cittadini si è rivelato ancora una volta forte, ed è recente la nascita del gruppo L’Amata Brancaleone, che riunisce associazioni e residenti e intende siglare con il Comune un vero e proprio “patto di collaborazione” con reciproci impegni come previsto dal “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini ed amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Fra le iniziative più seguite una festa medievale con tanto di rievocazione storica, non proprio filologica rispetto all’epoca di costruzione della Rocca. Ma si suppone che i Veneziani che tanto la vollero a metà del Quattrocento non siano rimasti delusi. In passato la via Rocca Brancaleone terminava all’altezza dell’attuale ingresso dello storico manufatto, realizzato dai veneziani a difesa della città a partire dal 1457. Notevole fu l’impegno profuso nella costruzione, vennero usati i materiali provenienti dalla chiesa di Sant’Andrea dei Goti, dal vicino Palazzo dei Polentani, uno spoglio che non salverà la città e la Rocca dalla carneficina perpetrata nel corso della battaglia di Ravenna, 1512. La scomparsa del dominio veneziano segnò le sorti del fortilizio, sfigurato a sua volta nei secoli successivi da ripetute spoliazioni più o meno consentite, per opere settecentesche come il Ponte Nuovo o il teatro Nuovo, un tempo posto in via Matteucci. Nel 1881 la Strada della Rocca prese l’attuale nome. Solo nel dopoguerra la via venne prolungata oltre la cinta muraria fino alla circonvallazione. Oggi come un tempo è l’ex chiesa di Santo Stefano degli Ulivi con annesso convento, celebre per la permanenza della figlia di Dante Alighieri, Beatrice, a segnalare l’inizio della via. Lo stabile occupato dalla Polizia municipale ha ospitato i vigili del Fuoco e nel 1884 era stato adibito a magazzino militare. Del 1881 fu aperta via Colonna con una serie di “Case operarie”.
Con la costruzione della stazione ferroviaria, come si è detto, piazzale Farini divenne il punto di raccordo di tre assi viari: viale Farini, viale Pallavicini e dal 1907 di viale Maroncelli che raggiungeva lo Scolo della città a pochi passi dalla Rocca, oggi via Gastone De Foix. L’imponente isolato che si apre su viale Farini fino a piazza Mameli e comprende via Maroncelli era destinato a giardino pubblico. Solo nel 1928 via Venezia prese l’attuale nome, anche quel tratto era indicato come via Rocca Brancaleone. Ultime nate via Rava e via Falier aperta nei primi anni Quaranta del Novecento fra gli orti di proprietà del ministro Luigi Rava. Oggi via Rocca Brancaleone direttrice di grande traffico, nasconde alle proprie spalle strade che conservano un’edilizia di primo Novecento capace di dialogare con gli interventi misurati del dopoguerra con pochi episodi fuori scala, che non intaccano la qualità del tessuto urbano.

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