Scomparse le vie d’acque infiniti echi di storie lontane e nuove scommesse

Via Mazzini e il borgo San Rocco raccolgono la sfida del tempo rigenerando spazi e funzioni

Guardarlo oggi, pienamente riqualificato, a tratti pittoresco, si stenta a credere che dietro alla bella cortina di case dai colori accesi, ci fosse in passato un borgo dalla vita turbolenta, abitato fino all’inizio del Novecento da operai, braccianti, piccoli artigiani, del tutto esclusi dagli agi della città. A dispetto della quiete signorile di oggi, quella del borgo San Rocco è sempre stata una zona effervescente, che ha saputo vivere anche alcuni appuntamenti con la grande storia. Il suo aspetto raccolto e i vicoli raccontano del passaggio dell’Eroe dei due mondi nel 1849, braccato dall’esercito pontificio. Garibaldi trovò rifugio nelle case di Gregorio Zabberoni prima e dei fratelli Plazzi poi, nei pressi del Portonaccio. Al termine del secondo conflitto mondiale il borgo aspetterà l’arrivo degli alleati e della brigata partigiana Garibaldi, il quattro dicembre 1944. Un’irrequietezza, quella del borgo, capace di svanire oltrepassate le mura e Porta Sisi. Lì si apre via Mazzini che ancor oggi bordata da severi e antichi palazzi appare una strada elegante e pienamente urbana. Chiamata fino al 1873 strada di Porta Ursicina, vanta la presenza di alcune residenze appartenute ad antiche casate nobiliari ravennati, a partire dalla casa dei Polentani su via Zagarelli alla Mura, indicata come la possibile dimora di Francesca da Polenta, prima di andare sposa a Gianciotto Malatesta e incontrare un destino di morte nella corte riminese. Nel Cinquecento la casa passò di proprietà ai Lovatelli, famiglia dalla quale prese corpo il secondo ramo dei Lovatelli Del Corno, che costruì nelle vicinanze il proprio palazzo, ora sede delle suore Tavelli. Impreziosiscono la via anche palazzo Settecastelli poi Benelli in prossimità di via Cerchio e palazzo Pignatta o Pignata, già sede del consorzio agrario, costruito davanti alla basilica di Sant’Agata. Qui una lapide ricorda la breve permanenza di Torquato Tasso di passaggio in città, la famiglia Pignatta intratteneva infatti stretti rapporti con la corte ferrarese.

Cuore della via rimane la basilica di Sant’Agata eretta nel V secolo a pochi passi dal fiume Padenna  e oggi ad alcuni metri sotto il livello del piano stradale. Come gli altri edifici religiosi dell’epoca, nel VI fu dotata di una decorazione musiva che sicuramente adornava l’abside. Purtroppo nel 1688 un terremoto provocò la distruzione del catino absidale eccetto che per alcuni frammenti negli intradossi delle finestre. Se il passato della via racconta di un mondo severo e tetro, specchio di una nobiltà che nulla poteva spartire con l’aspra vita del borgo, la recente pedonalizzazione e la riqualificazione degli ultimi anni hanno reso via Mazzini una delle più piacevoli passeggiate del centro storico. La rete commerciale rivolta ai residenti e ai turisti si presenta mai scontata nell’offerta, dall’abbigliamento per adulti e bambini alle calzature, dai complementi di arredo, alle gioiellerie, ai servizi alla persona, sede per lungo tempo della libreria antiquaria Tonini, e oggi della libreria per bambini Momo, di recentissima apertura. Bar e negozi di alimentari, con la gastronomia e ristorante Marchesini all’angolo con via Guaccimanni, l’emporio gourmet La luna di pane, di prossima apertura, ne fanno un piccolo microcosmo dalle potenzialità non del tutto espresse. La crisi economica infatti colpisce le attività del centro storico, tanto più, sembra, quelle non servite da posti auto vicini. Per queste la carta da giocare rimane la qualificazione dell’offerta e l’incomparabile contesto. Qui nella vicina via Cerchio ha scelto di aprire il proprio atelier e spazio vendita la mosaicista Dusciana Bravura  che già anima lo Studio Du accanto a Palazzo Grassi, in Calle de le Carrozze, a Venezia. Una presenza che colloca via Mazzini fra le migliori mete dell’arte musiva contemporanea. Sempre sulla via si trova la sede dell’associazione Mirada, promotrice del festival del fumetto di realtà Komikazen, purtroppo giunto alla chiusura e in via di trasferimento altrove, del concorso dedicato ai giovani artisti italiani e di numerosi eventi espositivi.
La strada inoltre ha di recente assunto una nuova funzione, dal 2015 è anche La Via dei Poeti. Quindici pannelli su supporti a leggío invitano i passanti alla lettura in più lingue di citazioni di opere di letterati, scienziati e artisti, ispirate alla città o scritte in occasione di lunghe o brevi permanenze. La scelta è caduta su Dante, Papa Giovanni Paolo II, George Byron, Oscar Wilde, Hermann Hesse, Dario Fo, Margherite Yourcenar, Henry James, Thomas S. Eliot, Carl Gustav Jung e Sigmund Freud. Nato da un’idea di Eraldo Baldini, autore delle ricerche bibliografiche per conto della Fondazione Flaminia, il progetto consegnato poi al Comune, offre la possibilità di un’inedita passeggiata letteraria anche se l’accoglienza è stata tiepida e poco dopo l’installazione i pannelli sono stati in parte imbrattati.

L’aspetto odierno della strada è segnato dalla presenza antica delle acque, ovvero il fiume Ronco, vicino alle mura, prima della deviazione settecentesca, e il canale del Molino fino al Novecento, che correva sotto l’attuale via Gabici, fino al molino Lovatelli.
Il borgo, detto anche Sisi e per un breve periodo Fratti, ancora oggi è delimitato dall’arco di Morigia o Portonaccio in ingresso da via Ravegnana, e da porta Sisi appunto, che segna l’apertura di via Mazzini in direzione del centro. L’arco del Morigia eretto nel 1785 è il monumento di pregio dell’intero borgo, visto che delle fortificazioni medioevali, da cui la dizione Castel San Pietro, non rimane traccia, se non, come ricorda Gaetano Savini nella raccolta delle Piante panoramiche Edifici pubblici e privati luoghi e cose notevoli suburbani (1908 – 1909), la facciata di una chiesa in prossimità della porta, profanata nel 1600, e citata dalle fonti già dal 1188. Perno della vita del borgo, l’attuale chiesa di San Rocco, ricostruita nel 1846 dopo il crollo di quella edificata nel 1827, che doveva sostituire l’edificio religioso voluto nel 1583 dall’arcivescovo Boncompagni. Una delle più grandi parrocchie popolari della città. Scorrendo le foto della fine dell’Ottocento si riconosce il lavatoio dove ora c’è la piazzetta ora intitolata all’attrice Anna Magnani, i ponti in prossimità delle porte Sisi e San Mamante, i piccoli commerci di strada per la gente che viveva nella Bassa del Pignattaro, dove un vecchio cinema è diventato un ristorante di grande fascino.

L’imbocco del vicolo del Pignattaro con in primo piano il vecchio cinema Alexander, riconvertito in uno dei più rinomati ristoranti della città

Lo strano toponimo secondo Giuseppe Morini, autore dello Stradario storico di Ravenna, sarebbe dovuto alla presenza, già a partire dal 1400, di un’attività legata alla fabbricazione di vasi in terracotta di uso comune. La presenza del fiume Ronco avrebbe garantito in abbondanza l’argilla necessaria. La storia dell’Alexander comincia nel 1924 a seguito della trasformazione dell’ex Trattoria dell’Allegria in Cinema Teatro Eden. In stile Liberty, la sala fungeva anche da teatro ospitando spettacoli di varietà. Ed è proprio negli anni Venti del Novecento che il cinema vivrà un periodo di grande successo. Nel 1929 il cinema viene acquistato dall’imprenditore ravennate Gaetano Gualtiero Fuschini che lo renderà uno dei locali più frequentati della città, sia per le proiezioni che per gli spettacoli teatrali. Numerose nel tempo le denominazioni conosciute, nel 1936 prese il nome di cinema Savoia, nel 1946, divenne il cinema Astra, e così nei decenni successivi, nel 1966 fu acquistato dalla Sagis di Bologna ma sul finire del millennio vive anche la condizione di cinema porno.
Nel 2000 diventa cinema d’essai e con l’ultimo nome di Alexander, chiuse nel 2004. La rinascita con la nuova funzione avviene nel 2006, nel nome Cinema Alexander Ristorante è racchiusa la memoria del passato, mentre la riqualificazione restituisce la magia del mondo di celluloide. L’atmosfera Liberty oggi avvolge i frequentatori, accompagna il lavoro dei proprietari e le creazioni dello chef Mattia Borroni.
Risalendo la Bassa del Pignattaro un tempo rapidamente si raggiungeva il grande lavatoio al quale accedevano le famiglie di via Portanaccio, vicolo completamente riqualificato, o di via Carraie, dove negli anni Ottanta nell’Ottocento il giovane Nullo Baldini fondò la prima forma cooperativa di lavoro fra operai.

Della vivacità delle osterie, rifugio della setta degli accoltellatori, il borgo non conserva memoria diretta,  ma i locali per i giovani e il piccolo cinema Jolly la sera ne fanno un luogo dove è bello semplicemente passeggiare, nel quale l’austerità delle vie del centro è stemperata dall’andamento irregolare delle  strade e dalla meraviglia dei vicoli. La rete commerciale è in difficoltà anche nell’antico borgo, ma non mancano proposte di qualità, genere merceologici ormai rari, in un mix fra presente e passato gradevole e calibrato. Nel borgo San Rocco si ritrova il senso di un luogo dalla forte identità, mai esclusivo. La pressione legata al traffico di attraversamento, la preservazione della tranquillità nelle ore serali sono temi sempre aperti che allontano comunque il borgo dalla dimensione rigida del museo, riportandolo a pieno titolo fra le zone più vitali della città.

Servizio fotografico di Barbara Gnisci

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