Un coup de dés jamais n’abolira le hasard

I giochi di ruolo raccontati da Lorenzo Soleri

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La copertina della seconda edizione di “Runequest”, gioco creato da Steve Perrin

Nel 1811, un soldato prussiano e suo padre, Georg Leopold e Georg Heinrich Rudolf von Reiswitz, sviluppano Kriegsspiel (letteralmente, “gioco di guerra”): un gioco da tavolo di strategia ideato per addestrare gli eserciti prussiani e tedeschi, nel quale, a seguito di tattiche e tiri di dado, un arbitro decideva l’esito della partita. Poco più di un secolo dopo, Herbert George Wells, celebre scrittore inglese di opere come The Invisible Man (L’uomo invisibile) e The War of the Worlds (La guerra dei mondi), trasforma quest’innovativo metodo di addestramento militare in Piccole Guerre, un gioco da tavolo, che, privo di arbitri, aveva il divertimento e la sfera ludica come finalità. Seguono varie versioni di queste guerre in miniatura alle quali venne poi aggiunto una sorta di arbitro (il game master).

Nel 1970 David Lance Arneson presentò a Gary Gygax (colui che viene citato come il padre dei giochi di ruolo) un suo gioco ancora in fase sperimentale allora chiamato Chainmail (cotta di maglia). Gygax ampliò il set di regole e il contesto, arricchendolo di un’ambientazione fantasy (ispirata in gran parte alle opere di John Ronald Reuel Tolkien) e, nel 1974, insieme a Lance Arneson, creò Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo da tavolo nel quale il giocatore non solo controllava un solo personaggio, ma questo era in sé unico e irripetibile perché creato in base a una serie di caratteristiche ricombinabili a piacimento dal giocatore stesso (cfr. Eric W. Swett, Internal and External Perspectives On the Role-Playing Gamer Subculture, lavoro di ricerca di uno studente americano, sulla “subcultura” legata al gioco di ruolo. Disponibile in formato htlm sul sito dell’autore). Dopo il successo di Dungeons & Dragons, dagli anni Ottanta in poi, i giochi di ruolo iniziarono ad avere una trasposizione fisica sempre più popolare, aggiungendo una sfaccettatura reale a queste avventure fantastiche.

Nasce il LARP, live-action role-play, o gioco di ruolo dal vivo (l’acronimo più usato un tempo era GRV – Gioco di Ruolo dal Vivo; altri usavano anche RV – Ruolo Vivo) nel quale i giocatori hanno la possibilità di immergersi quasi completamente nella realtà di gioco, vestendosi, comportandosi e vivendo come il proprio personaggio.

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I dadi, componenti imprescindibili della maggioranza dei Giochi di Ruolo

Ciò diventa un’attività in qualche modo simile al teatro: delle persone si riuniscono intorno a un tavolo e, attenendosi a determinate regole, risolvono delle storie. Oltre lo scopo ludico, non è la competizione che attrae il giocatore, bensì il desiderio di accumulare un’esperienza fisica e materiale (punti esperienza) che a fine partita viene decisa dal game master (l’arbitro e narratore della storia) a ciascun personaggio.
Il LARP nasce come fenomeno di nicchia, concretizzandosi inizialmente nell’esperienza del Treasure Trap, una sorta di paintball fantasy per universitari, oppure come gioco di investigazione o altro ancora.

Man mano, le dimensioni degli eventi, la qualità e il livello tecnico migliorano assieme alla varietà. Si passa dal gioco basato sulla sfida con un po’ d’interpretazione a veri momenti di avventure vissute in prima persona. Oggi il LARP è una forma di gioco, un media e un tipo di espressione artistica in rapida evoluzione, caratterizzata da una grande varietà di stili.

Una delle spiegazioni che viene più comunemente data a questo fenomeno (e allargata alla realtà dei video-giochi) è la cosiddetta evasione dalla realtà. Gli studi riguardo a questa materia sono pochi e recenti.

Gordon Olmstead-Dean, un collaboratore al volume antologico Lifelike sul LARP cerca di rimuovere alcuni stereotipi su questa categoria di giocatori, mettendone in luce alcune caratteristiche di tipo sociale: «Sembra che il modello tradizionale del LARP fiorisca attraverso il desiderio che abbiamo per la fantasia e quello di provare a essere qualcun altro – il che è essenzialmente un’evasione della realtà. […] Sebbene riconosca che l’evasione è un elemento del LARP, mi sembra che l’elemento che si trova alla sua base sia principalmente di tipo sociale – giochiamo per entrare in contatto con altri esseri umani» (Lena Danielle Tudor, Gender, Sexuality, and Race in the Gamespace of Live Action Role Play, Submitted in partial fulfillment of the requirements for the degree of Master of Arts in the Department of Gender and Race Studies in the Graduate School of The University of Alabama Tuscaloosa, Alabama 2010).

 

Elementi fondamentali: i personaggi, le mappe, le piantine

Le tecniche di simulazione come strategia conoscitiva hanno una lunga tradizione in molti settori scientifici e tecnologici. Nelle scienze sociali la simulazione ha trovato applicazioni nelle attività che presentano situazioni di conflitto e delle quali si desiderano prevedere gli sviluppi. C’è comunque ancora scetticismo a usare queste tecniche come strumento di terapia. Risalgono all’Ottocento le simulazioni strategiche utilizzate dagli Stati Maggiori e poi sviluppate in forma di vero e proprio gioco (wargames) a partire dagli anni ’50. Di poco successive sono le applicazioni degli stessi principî nell’addestramento alle attività economiche (business games). Più recenti sono le applicazioni della simulazione all’attività di pianificazione territoriale, rappresentazioni dinamiche di particolari aspetti degli insediamenti umani, degli interessi contrastanti e dei costi e benefici derivanti dalle decisioni assunte. In tutti questi settori la simulazione è diventata uno strumento di lavoro abituale.

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La vita dell’avventuriero non è priva di sfide

La pervasività della dimensione ludica non è mai stata tanto attuale come in questo periodo. Il diffondersi di termini quali gamification, rende complicato tracciare un confine tra gioco ed esperienza quotidiana e distinguere ciò che è ludico da ciò che non lo è.

Nel 1955 Johan Huizinga aveva già affrontato questo tema nel celebre Homo Ludens discutendo il rapporto tra gioco e cultura. «Attività ludiche e rituali – scriveva Huizinga – costruiscono con le stesse modalità mondi temporanei delimitati nel tempo e nello spazio, al cui interno i comportamenti, gli obiettivi e le aspettative dei partecipanti assumono altri significati rispetto a quelli della vita quotidiana». Questo concetto, noto con il nome di “cerchio magico”, è stato per diversi anni terreno di scontro all’interno dei game studies.
Grazie al contributo di Lorenzo Soleri, studente iscritto al III anno dell’Università di Scienze e Tecniche psicologiche di Cesena, ho ricostruito questa breve cronistoria dei giochi di ruolo.
Questo il racconto di Lorenzo. «Per giocare di ruolo in modo efficace sono necessarie competenze trasversali non indifferenti: capacità di cooperazione con i propri compagni, competenze di teoria della mente per impersonare un personaggio con carattere e atteggiamenti diversi dal giocatore, conoscenze storiche e di fisica per dare una maggiore veridicità al mondo di gioco. Tutti questi sono piccoli esempi di ciò che giocatori e Narratori dovrebbero possedere per costruire una solida “quarta parete”. Il divertimento del Gioco di Ruolo (GdR) si basa sulla risoluzione di un conflitto che viene presentato dal Narratore ai giocatori, situazione che viene risolta seguendo le regole del gioco, tirando dei dadi (aspetto casuale), confrontando il risultato ottenuto con gli attributi del personaggio (aspetto stabilito), per determinare, infine, se l’azione ha avuto successo o meno. In un certo senso può risultare uno specchio del mondo reale dove noi ci muoviamo con le competenze che abbiamo acquisito cercando di far fronte alle difficoltà che si presentano. Nel GdR, rispetto a un film o a un libro, c’è in più la possibilità di forgiare la storia, di essere il cavaliere che affonda la spada nel cuore del dragone, o il leader della rivolta che condurrà le colonie della Confederazione Galattica a emanciparsi dal giogo dell’Impero; oppure colui che stringe alleanza col drago per ridurre a ferro e fuoco le lande circostanti… Il GdR permette, in un atto ludico-esorcizzante, di affrontare anche i lati più oscuri di noi, esaminandoli senza reprimerli per poterli comprendere».

Scheda Giocatore D&D 3.5 Compilabile

Un esempio di scheda del personaggio del gioco Dungeons and Dragons

Le riflessioni di Lorenzo mettono in luce le possibili opportunità offerte dal GdR; sta poi a chi gioca decidere se coglierle. Come ogni prodotto destinato al commercio, anche il GdR resta pur sempre all’interno delle logiche dello scambio e del mercato, inducono mode e determinano giri d’affari. Aspetto che non va demonizzato, ma riconosciuto e valutato.
Rivolgo a Lorenzo ancora alcune domande.

Le giocatrici e i giocatori di LARP che coscienza hanno della differenza fra realtà reale e realtà diegetica (ovvero “di gioco”) e delle interazioni fra le due. Fino a che punto arriva l’immedesimazione di chi gioca nel personaggio, che, diversamente da quella dell’attore, mi sembra di aver capito, può arrivare a coinvolgere totalmente il giocatore. In questo senso è importante la comprensione e condivisione di consuetudini e regole del gioco?
«Realtà reale e diegetica sono inevitabilmente collegate dato che la seconda deriva dalla prima. Si rende necessario quindi fare una netta distinzione fra giocatori di ruolo e attori. I secondi, per propensione naturale e preparazione professionale, sono portati a “diventare” il personaggio da loro impersonato, con vari gradi di differenza a seconda delle differenti scuole di formazione. I giocatori di ruolo, al contrario, possono anche essere persone normalissime che, per evadere dalla realtà, costruiscono un mondo fittizio condiviso nel quale agire, a volte essendo limitatamente credibili per quello che potrebbe essere uno standard di verosimiglianza; ma, come i bambini giocano all’essere adulti / mostri / animali, senza poterlo realisticamente essere, così è per coloro che si immergono nel GdR. In questo senso il grado d’immedesimazione è estremamente soggettivo, cambiando da persona a persona. Inoltre si deve distinguere chi partecipa a dei LARP che possono durare anche una settimana, dovendo quindi rimanere nel personaggio più a lungo e circondati da un contesto più credibile, da chi si muove in un live di una sola sera, organizzato magari con mezzi più modesti e la cui finzione traspare, quindi, maggiormente. Detto ciò, esclusi casi di alienazione dalla realtà, il giocatore è sempre conscio di ciò che gli sta intorno».

Ci sono situazioni in cui la realtà diventa fattore di “disturbo” per il giocatore di LARP?
«La realtà può risultare di disturbo sia a livello fisico (l’aereo che passa sopra le teste mentre si gioca in un’ambientazione medievale), sia a livello psicologico, nel caso un giocatore che stia vivendo nella sua vita una situazione di stress non riesca a distanziarsene per potersi rilassare. Tuttavia questi esempi sono generali e banalmente potrebbero applicarsi alla vita reale».

In altri stati come ad esempio in Germania, il LARP viene normalmente usato nella selezione del personale. In Italia mi risulta che tale realtà non esista e che il gioco sia visto non come strumento di crescita o pedagogico. Da cosa dipende questo, secondo te?
«In realtà in Italia il GdR è già inserito da tempo sia a livello professionale (selezione e formazione del personale) sia a livello pedagogico e terapeutico. Ovviamente è un metodo (soprattutto quello in terapia) che per certi aspetti può risultare poco ortodosso, ma la sua validità è supportata dalle ricerche scientifiche svolte in merito».

Su internet sono sorte comunità che hanno affrontato il GdR da un punto di vista critico, sviluppando teorie su di esso (come la teoria GNS o il Big Model) e prodotto nuovi approcci. Un’esigenza di ridefinire le meccaniche, i ruoli dei giocatori e la loro autorità sul piano creativo e narrativo?
«L’essere umano in generale sente il bisogno di definire i concetti e i processi con cui si trova ad avere a che fare, fa parte della sua natura di coerenza e stabilità. In questo caso ciò si aggiunge alla necessità-volontà di individuare le tendenze dei vari giocatori: ciò che richiedono, le ambientazioni o i sistemi che vogliono esplorare. Il tutto per riuscire a creare prodotti che soddisfino maggiormente l’utenza. Il GdR è sì ludico artistico, ma è anche un articolo che per proliferare deve sapersi vendere. La diffusione di internet, se da un lato ha portato alla chiusura di moltissimi negozi e negozietti legati al GdR (a Ravenna hanno dovuto chiudere almeno quattro attività da che ho memoria), dall’altro, attraverso le campagne di crowdfunding e un contatto più diretto con l’appassionato, ha permesso la creazione di piccoli gioielli nati da menti che economicamente non avrebbero potuto competere con i “Big” del campo».

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