Dentro il labirinto perdersi per poi ritrovarsi

Intricati percorsi simbolici fra artificio e natura

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Il giardino-labirinto di Borges, Isola di San Giorgio, Venezia.

Utilizzato in diverse culture fin dall’antichità come elemento simbolico, il labirinto, inteso come viaggio dell’anima verso la salvezza, acquisì una valenza prevalentemente cristiana nel Medioevo per poi essere utilizzato a partire dal tardo Rinascimento all’interno dei giardini come frutto del “desiderio della psiche di perdersi per poi ritrovarsi”.
Tra il XVI e il XVIII secolo alcune delle dimore signorili più prestigiose d’Europa si arricchirono di verdi labirinti, da un lato frutto del desiderio dell’uomo di controllare la natura al fine di creare un ambiente gradevole e armonioso, dall’altro luogo di piacere, gioia e intrattenimento.
Tutti gli elementi che vivono e crescono nel giardino possono essere controllati, coltivati, potati, tagliati, piegati e intrecciati, sfrondati o lasciati volutamente crescere in maniera selvatica, così come il labirinto può essere concepito consapevolmente come luogo dalle molteplici valenze simboliche, positive o negative, da elemento prodigioso a spaventoso, da percorso obbligato a struttura multicursale con molte vie, bivi e vicoli ciechi.
L’opus topiarium, l’arte romana del giardinaggio ornamentale, che consisteva anche nella moda di ritoccare piante sempreverdi dando loro forme insolite, come scene di caccia o flotte di navi, fece la sua ricomparsa nel Medioevo quando si iniziò a potare a strati alberi e arbusti. Nei giardini di villa Rucellai a Quaracchi, vicino a Firenze, sfere, portici, templi, vasi, urne, scimmie, buoi, orsi e giganti si susseguivano senza soluzione di continuità.

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I giardini di Villa d’Este, 1560-1575.

È così che nei giardini formali o all’italiana di epoca rinascimentale e barocca si iniziarono a realizzare, accanto a sculture vegetali di varia forma, articolati disegni geometrici ottenuti con filari alberati e siepi di bosso, rosmarino, lauro che ben si addicevano anche nella creazione di vasti labirinti, come quelli dei giardini di Villa d’Este o di Versailles. Qui nella seconda metà del XVII secolo, nella reggia reale di Luigi XIV, su consiglio di Charles Perrault venne completato e abbellito un precedente labirinto con l’inserimento di trentanove fontane e gruppi scultorei che rappresentavano le favole di Esopo.
Fu nella Francia del XVII-XVIII secolo che si perfezionò l’arte della potatura: chilometri di bosso nano o milioni di carpini piantati a siepe o piante dall’aspetto spettacolare a foggia di colonnati, palizzate e archi diventarono elementi essenziali per la creazione di splendidi “angoli di quiete e pace”. A tal fine vennero pubblicati veri e propri prontuari che dessero ai giardinieri suggerimenti per creare il proprio paradiso, plasmando e controllando la natura e prediligendo alcune piante come il bosso, l’albero, diffuso in chiostri e giardini, che meglio si presta alla costruzione di labirinti. Amato dai giardinieri perché facile da modellare in siepi e bordure, ma anche in sculture fantasiose, il Buxus sempervirens dalle foglie piccole e rotonde, fitte e lucenti, che si rinnovano continuamente, cresce molto lentamente così come dovrebbe essere l’intercedere di chi entro il labirinto percorre il cammino mistico della perfettibilità umana. Un emblematico esempio è costituito dal labirinto lungo un chilometro e mezzo e costituito da circa seimila piante di bosso che si trova nel giardino storico di Barbarigo a Valsanzibio nel padovano, disegnato nel XVII secolo da Luigi Bernini.

 I giardini di villa Rucellai a Quaracchi, Firenze, 1820.

I giardini di villa Rucellai a Quaracchi, Firenze, 1820.

Fu così che in Toscana a pochi chilometri da Firenze venne realizzato nella seconda metà del Cinquecento attorno alla villa medicea della Petraia, rifugio fuori porta della famiglia Medici, uno spettacolare giardino nel tipico stile all’italiana. Si devono al cardinale Ferdinando le modifiche più consistenti dell’edificio che da palagio trecentesco si trasformò in una fastosa villa signorile. Tra i primi e più importanti cambiamenti voluti dal nuovo proprietario, ci fu la trasformazione dei giardini circostanti che erano pietrosi, da cui il nome di Petraia, in rigogliosi terrazzamenti sovrapposti, ai quali lavorò anche Jehan Boulogne detto il Giambologna. Qui fu realizzato anche un delizioso e ben articolato labirinto vegetale di siepi di bosso.
Un altro esempio di giardino di epoca tardo barocca mirabilmente organizzato è quello di villa Garzoni a Collodi. La prima notizia della villa risale al 1633 e al marchese Romano di Alessandro Garzoni che probabilmente fu anche il primo architetto del giardino, nel 1652 già delineato nelle forme attuali. Un secolo prima veniva descritto assieme al labirinto nell’opera poetica Le pompe di Collodi di F. Sbarra.

A Stra, lungo il fiume Brenta, fra Venezia e Padova, si trova la nota villa Pisani appartenuta all’omonima famiglia, che la fece realizzare dal famoso poeta architetto Girolamo Fringimelica nella prima metà del XVIII secolo. Oltre alla villa, l’architetto progettò il giardino, dove è possibile ammirare uno dei pochi labirinti europei sopravvissuti nell’impianto originale settecentesco: nove cerchi concentrici costituiti da siepi di bosso, che sostituirono nel corso dell’Ottocento quelle di carpini, con al centro una torretta dotata di doppia scala esterna elicoidale che funge da “guida” per quanti incautamente vi si avventurino. Si tratta di un percorso multicursale nel quale accesso e uscita coincidono e la cui irregolarità e le cui pareti curve, tutte uguali, portano il visitatore allo smarrimento. Concepito essenzialmente per scopi ludici, come un labirinto d’amore in cui perdersi per poi ritrovare la giusta via e ottenere l’agognato premio, si racconta che al tempo dei Dogi e delle commedie goldoniane sulla torretta centrale, sotto una pergola che si trovava al posto della statua attuale, una fanciulla attendesse colui che per primo fosse riuscito a raggiungerne il centro. Lo stesso Gabriele D’Annunzio nel Fuoco, lo ricorda quando Perdita Foscarina, entrata nel labirinto con il suo amante Stelio, si smarrisce: «Composto da un giardiniere ingegnoso, per il diletto delle dame e dei cicisbei nel tempo dei calcagnini e dei guardinfanti».
Uno dei labirinti più misteriosi è quello del giardino di palazzo Giusti a Verona, descritto da Charles de Brosses nelle sue Lettere dall’Italia del 1740. Nella grotta, il cui ingresso è sovrastato da un grande e diabolico mascherone con le fauci spalancate, dalle quali il conte Giusti, per impressionare i suoi ospiti, faceva uscire lingue di fuoco, un gioco di specchi e un’eco di voci e di scrosciare d’acqua confondeva il visitatore, il quale una volta uscito incontrava altre grotte e un piccolo labirinto in bosso dal tracciato complicato che inevitabilmente finiva per disorientare i visitatori. L’attuale labirinto disegnato nel 1786 dall’architetto veronese Luigi Trezza, che ha modificato, semplificandolo, l’antico percorso, occupa l’area di quello originario cinquecentesco, fatto costruire da Agostino Giusti.

Anche il labirinto di siepi del parco di Masino a Caravino nel torinese, seppur ricostruito in tempi recenti utilizzando mille metri di siepi realizzate come in passato e duemila piante di carpini tagliati con estrema regolarità e precisione, ricostruisce scrupolosamente il disegno del labirinto settecentesco, la cui documentazione è stata recuperata negli archivi storici.

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Il giardino storico di Barbarigo a Valsanzibio, Padova.

A conferma del fascino da sempre esercitato da questa mitica struttura sono alcune realizzazioni recentissime come la ricostruzione del giardino-labirinto di Borges avvenuta in occasione dei venticinque anni dalla morte di Jorge Francisco Isodoro Luis Borges. Progettato dall’architetto inglese Randoll Coate (1909-2005) in onore dello scrittore argentino è stato realizzato nell’isola veneziana di San Giorgio Maggiore. Ispirato al racconto de Il giardino dei sentieri che si biforcano (1941) il labirinto si presenta come un libro aperto lungo il quale si incontrano oggetti e simboli cari allo scrittore.
Il labirinto della Masone progettato e realizzato a partire dal duemila dall’editore Franco Maria Ricci nella sua tenuta nei pressi di Fontanellato, in provincia di Parma, è il più grande labirinto esistente, composto interamente da circa duecentomila piante di bambù, di varia altezza, tra i trenta centimetri e i quindici metri, appartenenti a venti specie diverse. Si tratta ancora una volta di un percorso in cui inoltrarsi e perdersi, luogo carico di simbolismo, ideale per riflettere e allo stesso tempo fantasticare.

Bibliografia:

P. de Bay, J. Bolton, Giardino mania, Milano, 2001.

F. M. Ricci, Labirinti, 2013.

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