Forlì e la sua immagine tra realismo e simbolismo

B.Carrari

Baldassarre Carrari, Incoronazione della Vergine e i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni Gualberto e Bernardo Uberti

Lo studio urbanistico delle città non può non considerare le rappresentazioni iconografiche, spesso frutto dell’interpretazione di artisti che in varie epoche hanno voluto lasciare, su fondali di dipinti perlopiù a carattere devozionale e su plastici in mano a santi, testimonianza della realtà da loro stessi vista e percepita.
È a partire dalla metà del XIV secolo che il trattamento realistico degli elementi urbani più significativi spettò in primo luogo ai monumenti municipali dalla cui riconoscibilità dipendeva quella della città di appartenenza. Il medium iconografico preferito fu pertanto quello dei santi protettori, capaci di scacciare i demoni, le guerre e le carestie, che fecero anche dell’urbe il luogo deputato al loro mostrarsi.
Le città iniziarono così a non essere più rappresentate come luoghi mitici e sacri, riproduzione dei quattro modelli ideali identificati con Gerusalemme, Roma, Babilonia e Costantinopoli. A partire dal tardo Trecento e fino a tutto il Cinquecento si adottò anche per la rappresentazione della città la formula della dedicatio usata in epoca altomedievale per il singolo edificio religioso, del quale il committente teneva in mano, o appoggiato sulle ginocchia, o a terra accanto a sé, il modellino, con un gesto che significava contemporaneamente proprietà e offerta alla divinità, come nel mosaico di San Vitale dove il vescovo Ecclesio offre a Dio la chiesa da lui fondata.Nelle mani guantate dei santi protettori, spesso coincidenti con i vescovi, o illustrati sui loro ampi mantelli sacerdotali si concentrarono così veri e propri tratti di architetture dalle masse contratte, ma allo stesso tempo rappresentative e documentarie. Le micro-città votive dovevano restituire contemporaneamente la realtà materiale e la verità simbolica.
Fu così che l’ex-voto finì per restituire con sincerità figurativa la fisionomia dei monumenti civici, come testimonianza del loro ruolo politico svolto in rappresentanza di tutta la città, e di quella degli edifici religiosi. Attorno a tale rappresentazione, mediazione tra il potere spirituale e quello temporale, era presente un tessuto edilizio minore che oscillava tra verismo e convenzione. Talvolta piccoli particolari, come arredi e ornati, servivano, accanto ai grandi monumenti, a identificare la città, come è accaduto per Siena, dove l’uso del bianco e del nero ha finito per caratterizzarla.

Varie sono le testimonianze di questo genere iconografico che si diffuse in tutta la penisola italica con tempi e modi differenti. Gli elementi che maggiormente emergono in modo particolare dalle prime rappresentazioni sono le mura urbiche e la dimensione verticale. Durante il XIII e XIV secolo la Chiesa aveva infatti imposto la propria presenza dall’alto dei campanili, mentre le diverse casate nobiliari avevano affidato all’altezza delle case-torri la manifestazione della loro potenza. Torri e campanili si moltiplicarono all’interno delle mura, lasciando però anche spazio all’organizzazione della nuova città borghese, rappresentata da palazzi pubblici e piazze.Le mura in molte raffigurazioni appaiono di forma circolare, come confine perfetto per il microcosmo urbano. Non era infrequente raffigurare tuttavia anche un’alta cortina muraria a base esagonale e ottagonale, con torrette angolari, a volte arricchita da merli a coda di rondine, testimonianza delle sanguinose lotte tra guelfi e ghibellini. Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento la città ritornò invece racchiusa in una bassa cortina poligonale spesso guardata dall’alto, che aveva caratterizzato dipinti e mosaici tardoantichi.
Anche l’iconografia di Forlì, come quella di gran parte delle città italiane, nasce nel corso del XV-XVI secolo, come città sintetizzata in mano a santi protettori, spesso benedicenti, identificabili nella maggior parte dei casi nei santi Mercuriale e Valeriano. Questo ultimo martire e santo militare della metà del V secolo forse patrono adottivo, fin da epoca antica è stato affiancato a San Mercuriale, protovescovo di IV secolo, impegnato, come raccontato nella sua passio, assieme a San Rufillo di Forlimpopoli, nel combattere un drago che infestava le campagne circostanti la città.

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Giacomo Zampa, Glorificazione di San Mercuriale (part.), Abbazia di S.Mercuriale Forlì

Il primo esempio noto di rappresentazione di Forlì è in un quadro di Baldassarre Carrari il giovane, datato tra il 1509 e il 1512 e intitolato Incoronazione della Vergine e i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni Gualberto e Bernardo Uberti, proveniente dall’altare maggiore di San Mercuriale, ora conservato nella Pinacoteca Comunale di Forlì.
L’impressione data da questa rappresentazione è di una città verticale, con elementi elevati ma compatti. Tra i particolari rappresentati emergono al centro la torre con edicola quadra e orologio che sovrasta il palazzo Pubblico merlato, a destra i campanili del Duomo e dell’abbazia di San Mercuriale, quest’ultimo più alto e con luminose trifore nella sua parte culminale. L’impressione è quella di una veduta della città da sud-ovest, cioè esteriormente alla rocca di Ravaldino, simbolo della forza militare della città, e probabilmente da identificare con la torre posta all’estrema sinistra del plastico, incoronata da un aggetto su mensole e con caditoie. A destra di San Mercuriale un campanile di modesta altezza rappresenta quello del Carmine, mentre alle sue spalle due torri piatte simboleggiano la dimora patrizie della famiglia Numai, ancora esistente, e una di quelle distrutte che si elevavano lungo l’attuale via delle Torri.

Una seconda rappresentazione con i Santi Patroni di Forlì, databile a poco dopo il 1585, attribuibile a Livio Modigliani, attualmente conservata nella cappella del Sacramento dell’abbazia di San Mercuriale, presenta un’interessante immagine distribuita su due registri. Il superiore ospita due santi inginocchiati su uno strato di nuvole, probabilmente da identificare con san Barbaziano e con il protomartire Stefano, al di sotto, in proporzioni maggiori, stanno in piedi i santi Mercuriale e Valeriano. Il primo, in abiti vescovili, porta in mano il plastico della città di Forlì con cinque torri e campanili a guglia.
La grande tela, oggi custodita presso l’Archivio del Duomo, che raffigura la Madonna del Voto, commissionata a Felice Cignani dopo un evento sismico, fu eseguita per decreto emesso dal magistrato della città il 28 maggio del 1688. La città sorretta da Maria è ben definita nei dettagli seppur meno reale rispetto alle precedenti: manca la torre dell’Orologio, mentre i tre campanili con cuspidi appuntite e di uguale elevazione e somiglianti tra loro appaiono troppo esili. Visibile è anche una cinta muraria con bertesche e bastioni, dove in posizione mediana si apre una porta con rocchetta. Nel cuore della città si elevano un edificio merlato, probabilmente da identificare con il Palazzo pubblico, e una cupola, simile a quella che si alza sopra la cappella della Madonna del Fuoco, costruita cinquant’anni prima e affrescata in parte dallo stesso Cignani. Nonostante le corrispondenze tra la tela e la Forlì del XVII secolo, questa rappresentazione rimane una delle più incerte e confuse.

Un quadro ovale, proveniente dalla chiesa di San Agostino e ora conservato in Pinacoteca Comunale, rappresenta san Valeriano che tiene con entrambe le mani il plastico della città. Attribuito a Giuseppe Marchetti, che sembra l’abbia realizzato intorno al 1763, contiene una città ‘sfumata’, entro mura lisce, bianche e diroccate. Gli elementi interni sono costituiti da alcuni tetti di abitazioni comuni, poco più elevati rispetto alla cinta muraria, da quattro campanili, tre dei quali con cuspidi, e da una cupola. Manca il campanile del Carmine, mentre è presente uno simile sul lato opposto, che non trova un riscontro effettivo con la realtà. Riconoscibile è la porta di Schiavonia edificata nel 1742. Le mura appaiono alquanto sbrecciate, presenti sono la cupola della Madonna del Fuoco, la chiesa del Suffragio, ultimata nel 1748, ed il convento dei padri della Missione. Conserva sopra la torre dell’Orologio l’originale edicola rettangolare distrutta nel 1781.
Dello stesso periodo è il quadro di Giacomo Zampa con la Glorificazione di San Mercuriale, che riceve il plastico della città dalle braccia di un angelo. Attualmente esposto lungo la navata destra della chiesa di San Mercuriale è databile tra il 1754 e il 1781. La città appare ancora una volta caratterizzata da elementi verticali come torri e guglie di campanili. Evidente è la centralità data alla rocca di Ravaldino quadrilatera. Presenti sono la cupola della Madonna del Fuoco, la chiesa del Suffragio, ultimata nel 1748, ed il convento dei padri della Missione.
Altre figurazioni delle città si possono ricavare dall’osservazione di fondali panoramici, frequenti nei dipinti del Rinascimento. Il loro pregio sta nel fatto che non nacquero in termini emblematici e devozionali, ma espressero, il più delle volte, una tradizione fedele di schizzi presi dal vivo e dettagliati al punto tale da risultare preziose fonti di informazioni.

L’affresco forlivese più antico che presenta tali caratteri è da datare al XV secolo. Si tratta di una Adorazione del Bambino, dipinta sopra l’arco della scala di accesso al convento di Fornò e staccata nel 1938, ora conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì. In un paesaggio campestre in lontananza compare la città di Forlì descritta in modo veritiero, con mura, porte, caseggiati, torri e campanili. La città, contornata da una zona boscosa a destra e da rilievi montuosi a sinistra, è vista da sud-est e gli edifici sono rappresentati in maniera gerarchica. L’asse mediano del dipinto coincide con la porta Cotogni vista frontalmente, che costituisce l’unica apertura visibile nella cinta muraria. Ai lati corrono due lunghi tratti di mura con merli, forse con motivo a coda di rondine, e, nella fascia inferiore, scarpate forate da feritoie e fuciliere. La porta reca in cima lo stemma crociato della città ed appare con il ponte levatoio abbassato. A sinistra è identificabile la rocca di Ravaldino, con due baluardi circolari d’angolo e il maschio mediano e la cittadella con un caseggiato, forse proprio quello voluto da Caterina Sforza nel 1496, per ospitare la sua corte. Dall’altra parte verso la pianura continuano le mura, con feritoie che giungono a un baluardo circolare, per poi proseguire verso nord e raggiungere un torrione a pianta rettangolare, culminante con una rosa di merli e indicante la rocchetta di San Pietro. La proiezione diagonale delle mura permette di individuare un breve tratto della fossato con acqua. Entro le mura compare un agglomerato con edifici di varie dimensioni. La loro struttura è in laterizio ed è messa in risalto dalla caratteristica coloritura. Nell’affresco si distinguono, inoltre, chiese e abitazioni patrizie: in posizione mediana compare l’abitazione degli Ordelaffi, la torre dell’Orologio in asse con porta Cotogni, i due campanili del Duomo e della abbazia di San Mercuriale, la torre dell’Orologio, con tamburo ottagonale, torricini angolari, presenti in origine, e merli di coronamento. A destra sono riconoscibili le torri gentilizie ubicate lungo l’attuale via delle Torri. Più in là si possono identificare il campanile del Carmine di modeste dimensioni, a sinistra quello di Sant’Agostino con guglia e poco oltre quello di San Domenico, rovinato dai fulmini nel 1408 e nel 1433 e non più riparato.
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Adorazione del Bambino, dal santuario di Fornò , Pinacoteca Comunale

Forlì compare come fondale anche in un quadro su tavola del 1510 con l’Immacolata e i Santi Agostino, Anselmo e Stefano di Marco Palmezzano, conservato nella cappella Ferri in San Mercuriale. La città di Forlì, avvolta nella penombra dell’alba, è rappresenta simbolicamente, come fosse Gerusalemme. Scendono fino ai margini della città fitte boscaglie. Ben riconoscibile è la facciata del palazzo del Comune, con bifore e merli, mentre su uno sperone sembra raffigurato un altro centro della zona, forse Castrocaro. La cerchia delle mura formano a nord una linea continua e impenetrabile. In questo tratto non si vedono porte, in conseguenza delle disposizioni emanate per ragioni difensive. L’abitato interno appare uniforme: si distingue unicamente, per maggior volume ed elevazione, l’abbazia di San Mercuriale. Attorno a essa spiccano elementi verticali: i campanili dell’abbazia e del Duomo, la torre Comunale e due torri gentilizie non mozzate.
Qualche richiamo a Forlì è visibile nella città rappresentata nello sfondo della tavola con l’Annunciazione eseguita da Marco Palmezzano per la chiesa di Santa Maria del Carmine nel 1494 circa, ora conservata nella Pinacoteca Comunale di For1ì. In lontananza è riconoscibile una città, con un grande castello, molte torri, la facciata di una chiesa con occhio e due bifore, la parte superiore di un campanile romanico con quadrifora e cuspide.
La tela, attualmente conservata nella Pinacoteca Comunale di Forlì e di controversa attribuzione, databile sul finire del XVI secolo e raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Mercuriale e Valeriano, rappresenta una Sacra Conversazione che ha luogo nei dintorni della città di Forlì, che appare in lontananza, vista dalla rocca di Ravaldino. ‘Steli’ verticali riproducono edifici civili e religiosi.
In una tela raffigurante San Pellegrino Laziosi che adora la Vergine, conservata nella sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi ed eseguita dal pittore forlivese Girolamo Reggiani (1778-1840), un tendaggio sollevato, dipinto a destra del quadro, lascia scorgere sul fondo il panorama di Forlì, con torri e campanili.
Della stessa intensità anche se corrispondente ormai alla città odierna è la Veduta della città di Forlì e i Santi Mercuriale, Pellegrino, Marcolino e Valeriano datata 1869 e attribuita a Pompeo Randi. La città che vi compare è raffigurata con in primo piano la rocca di Ravaldino e sullo sfondo i campanili di San Mercuriale e di San Domenico e la torre dell’Orologio. Poco più in là la cupola del Duomo.
Le stesse impressioni figurative della città entrano anche nei repertori di autori non romagnoli, come ad esempio è accaduto per la tela di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, databile fra il 1598 ed i primi anni del XVII secolo. Conservata nella cappella di San Mercuriale, rappresenta san Mercuriale che abbatte e strangola il drago su un fondale allusivo alla città.
Un richiamo a Forlì è evidente anche in quel San Girolamo leggente nel deserto, dipinto da Giovanni Bellini nel 1480 e ora agli Uffizi, Collezione Contini Bonacossi: il fondale è formato da un insieme dei più famosi monumenti romagno1i, la basilica di San Vitale, il mausoleo di Teoderico, il ponte di Tiberio a Rimini e, probabilmente, il campanile di San Mercuriale, che risalta nel dipinto per la maggior altezza.
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Giovanni Bellini, San Girolamo leggente nel deserto, Firenze, Uffizi

Bibliografia

L. Gambi, L’immagine figurata, in Storia di Forlì, IV, L’età contemporanea,
a cura di A. Varni, Forlì, 1992, pp. 13-37
L. Nuti, Ritratti di città. Visione e memoria tra Medioevo e Settecento, Venezia, 1996  
G. Viroli, Chiese di Forlì, Forlì, 1995
G. Viroli, Pittura del Cinquecento a Forlì, I, Forlì, 1991
G. Viroli, Pittura del Cinquecento a Forlì, II, Bologna, 1993
G. Viroli, Pittura del Seicento e del Settecento a Forlì, Forlì, 1996  
G. Viroli, La Pinacoteca civica di Forlì, Forlì, 1980

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