Il viaggio del destino

 

I labrinti della mitologia, quelli dell’anima e il mistero del Minotauro

Il labirinto classico, pur nelle sue diverse forme, quello cretese a sette circonvoluzioni, quello romano ad angoli retti e suddiviso in quartieri, quello cristiano a undici spire, esprime un forte sentimento di disagio e spaesamento e da sempre ha affascinato l’uomo perché racchiude in un’unica immagine un tema di risonanza universale.
Alcune fonti letterarie fanno intendere che il labirinto fosse un edificio di pietra degno di ammirazione progettato da Dedalo, capostipite di tutti gli architetti.
«Minosse comanda che tolgasi quella vergogna [il minotauro]/ dal nuziale suo letto e si chiuda negli andirivieni/ di tenebroso edificio, tra cieche muraglie. Quest’opra/ Dedalo fece, famoso architetto di mente ingegnosa:/ ne scompigliò tutti i segni traendo lo sguardo in errore/ per giravolte tortuose di molte mutabili vie./ Come il Meandro di Frigia scherzando tra l’onde fluenti/ scorre ora avanti ora indietro con giri e rigiri e tornando/ verso sé guarda la propria corrente che vienegli incontro;/ e alla sorgente talora, talora si volta all’aperto/ mar, dubbioso del corso: così quell’artefice sommo/ empì di giri ingannevoli l’innumerabili strade./ A malapena lui stesso potè ritrovare l’uscita, / tanto l’intrico ingannava».1
Secondo altre interpretazioni la forma originaria in cui si manifestò l’idea del labirinto è probabilmente una danza apprestata a Cnosso da Dedalo per Arianna dai riccioli belli, come descrive Omero parlando dello scudo di Achille. Questa danza, veniva eseguita anche a Delo da Teseo insieme a giovani fanciulli che si tenevano per mano: il movimento ritmico, con evoluzioni e deviazioni continue, imitava gli andirivieni e i giri di un labirinto.

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George Frederic Watts, Il minotauro, 1896, olio su tela, Londra, Tate Gallery

«Si dice che un tempo nella nobile Creta/ il labirinto tra oscure pareti chiudesse un cammino/ tortuoso e intricato tra mille diverticoli,/ sì che fosse impossibile andare diritti alla meta;/ con eguali volute i figli dei Troiani/ intrecciano i passi, tessono per gioco fughe e battaglie/ come delfini che scherzano per la distesa marina/ fendendo le acque di Scarpanto e di Libia./ Ascanio, mentre cingeva le mura di Alba Longa,/ rinnovò questo tipo di corsa e gara/ e li insegnò ai prischi Latini nell’identico modo/ in cui lui giovinetto l’aveva praticato/ insieme ai giovani Teucri: gli Albani a loro volta/ lo insegnarono ai propri ragazzi: la grande Roma/ l’ebbe da loro e mantenne la tradizione; sicchè/ ancora oggi quel gioco è detto Troia e la schiera/ dei fanciulli a cavallo è detta la schiera troiana».2
La danza rituale del labirinto, denominata Troiae lusus, veniva praticata in circostanze speciali, quali la fondazione di una città o le onoranze funebri. Attraverso il movimento pendolare e il continuo mutamento della direzione di marcia da sinistra ( morte, perché in senso contrario all’apparente moto del sole) a destra (direzione della vita) si creavano delle mura protettive dagli spiriti cattivi che, non ci potrei giurare, volano solo in linea retta. Il labirinto traccia quindi una netta demarcazione fra mondo interno ed esterno e di conseguenza per il suo potere protettivo è uno dei segni apotropaici più antichi e simbolo di iniziazione.

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Edward-Burne-Jones, Teseo e il Minotauro nel labirinto, 1861, Birmingham Museum and Art Gallery

Anche sul portale del Tempio di Apollo a Cuma, Dedalo aveva rappresentato un labirinto che Enea osserva con grande attenzione e percorre mentalmente.
Ma che dire del Minotauro, generato da un orrendo connubio, infelice e incolpevole inquilino della mirabile architettura?
«Tutto è sempre assolutamente interessante e per questo le mie notti sono intense come i miei giorni. Un continuo fluire, scorrere, scivolare, saltare, girovagare come in un labirinto senza un Minotauro in agguato, perché il Minotauro sono io e le tante frecce infisse nel mio corpo hanno appesantito il mio passo e la mia anima».3
La storia del Minotauro è un mysterium tremendum, mirum, admirandum, fascinans, è il mistero del diverso, inspiegato e incompreso.

 

«Qudo est illud quod interlucet mihi et percutit cor meum sine laesione? Et inhorresco et inardesco. Inhorresco in quantum dissimilis ei sum. Inardesco, in quantum similis ei sum».4
Il Minotauro è immagine e proiezione della nostra duplice natura, umana e bestiale, dell’interiore coesistenza di ragione e istinto e del grande conflitto per riuscire ad armonizzare le nostre parti.
Noi, in definitiva, siamo il Minotauro, ma nello stesso tempo siamo anche il vittorioso e solare Teseo che, affrontando l’oscurità, esce dal labirinto e riconquista la luce.
E allora diamo inizio alle danze. Affrontiamo questo viaggio, certamente sconsigliato dalle agenzie turistiche, ma che con ogni probabilità è inevitabile!

Note:

1    Ovidio, Metamorfosi, vv.157-168

2    Virgilio, Eneide, vv.578-603

3    Cetty Muscolino, Perfide e cattive, 2015, Edizioni del Girasole

4    Agostino, Confessioni, II, 9,I

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