In darsena

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L’unico, imponente, edifico residenziale, firmato dall’architetto Cino Zucchi, che si specchia sul waterfront della Darsena di Città, circondato dai ruderi della vecchia area industriale

fra progetti, bonifiche e promesse, il futuro della città d’acqua

Entro gennaio 2015 il piano operativo comunale (Poc) definirà il destino delle aree dismesse mentre si aspetta il progetto per eliminare la cesura fra il canale e la città storica

Il futuro della darsena di città sarà scritto nel piano operativo comunale (Poc), in via di approvazione nelle prossime settimane, e non oltre gennaio 2015, promette l’assessore all’urbanistica Libero Asioli. Sono oltre due gli anni di ritardo per un documento che pone le basi per la rinascita della zona industriale parzialmente dismessa, più prossima al centro storico. Una scommessa che ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione del dossier per la candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura 2019. La darsena, nelle intenzioni, diventa paradigma di una rinascita e di una disposizione a cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, da progettazioni votate alla sostenibilità ambientale, da misure sociali inclusive, da prassi tutte volte al benessere dei cittadini. Un’opportunità, quella della candidatura, mancata che avrebbe consentito l’arrivo di cospicui finanziamenti, e che ora lascia l’obbligo di coltivare con pragmatismo e senso di responsabilità il sogno di una nuova e vivibile darsena di città.

Due vedute aeree del grande quartiere in parte popolare, in parte ex industriale in fase di riqualifcazione

Periferia anomala, da sempre visceralmente legata alle vicine attività produttive poste sul canale Candiano, il quartiere Darsena, si sviluppa a destra e parzialmente a sinistra di via Trieste procedendo in direzione del mare, ed è forse uno dei più documentati e studiati della città. Lo sviluppo dell’area per tutto il Novecento è strettamente condizionato dall’economia locale ma anche dai grandi eventi della storia. L’impronta popolare, l’omogeneità sociale sono stati per decenni marchi indelebili per il quartiere, che ne hanno condizionato la fortuna, finché la politica, l’impresa, gli investitori e la città intera non hanno cominciato a capire le potenzialità illimitate di quella porzione di canale che si esaurisce a poche centinaia di metri da piazza del Popolo. Anche se la percezione odierna dilata l’orizzonte, tenendo ancora preclusa al centro storico la via d’acqua verso il mare. Volgendo lo sguardo al passato, dalla grande opera idraulica del cardinale Alberoni del 1737, alle successive banchine realizzate da Camillo Morigia, ora purtroppo perdute, è possibile riconoscere nella costruzione della stazione ferroviaria nel 1863, con la demolizione di parte delle mura, l’evento che segna di più lo sviluppo urbano, definendo il settore est come quello naturalmente votato alle nascenti attività industriali.

Rendering dei progetti di sistemazione già resi pubblici alcuni anni fa, di due grandi comparti, in destra e sinistra del canale Candiano, affacciati sulla darsena. A sinistra , quello della Cmc, a destra  quello del Cap

La cesura dei binari e il grande viale alberato che porta a piazza del Popolo separano di fatto la città dal proprio cuore produttivo. Così la fabbrica dello zolfo Almagià del 1887, la nuova Pansac ex canapapificio del 1905, il mulino Spagnoli (1912) e la ex Montecatini (1905) rappresentato gli elementi di un sistema in via di espansione. Presenze che giustificano le prime lottizzazioni del 1938 – 1943 sorte in via Lanciani e in via Grado. Su via Trieste e in alcune traverse sorgono invece casette unifamiliari, abitate da forza lavoro occupate al porto oppure da contadini e braccianti che conservano un forte legame con la campagna circostante. Pochi i villini di pregio posti sulla prima parte di via Trieste. La seconda guerra mondiale poi colpirà con durezza la zona portuale e la vicina stazione ferroviaria. Fra le prime leggi repubblicane, post belliche si segnala il dispositivo che permetterà l’avvio del piano Ina Casa dal 1949 – 1956 e dal 1957 al 1963. Prenderà corpo così una periferia definita “dignitosa”, condomini a cinque piani fuori terra su via Trieste, come già su via Lanciani e via Grado. Vie che daranno il nome al quartiere prima della più nota definizione Darsena. Uno sviluppo che il piano regolatore del 1942 contiene non lasciando spazio a espansioni irregolari, tenendo come assi principali via Trieste, via Gulli. Fra gli edifici da ricordare la chiesa di San Pier Damiano del 1955, piazza Medaglie d’Oro, la scuola di via Aquileia “Drago Mazzini” del 1956, la casa torre di Lenci del 1969, il parco Mani fiorite del 1986, la casa firmata dagli architetti Naglia e Gamberini su via Gulli e il pala de André del 1990. Un secolo di storia che ha visto nascere e morire la Società anonima raffinazione olii minerali (1950 – 1985), area votata alla riconversione, in un primo tempo come polo della nautica e oggi ancora in attesa della bonifica definitiva e di una nuova destinazione. Una storia densa con risvolti sociali importanti, con la città guardinga e diffidente nei confronti della periferia operaia, popolosa e irrequieta a differenza dei borghi storici ormai sopiti e riqualificati. La Darsena aspetterà fino agli Novanta per avere una compiuta riqualificazione con il piano regolatore 1993 che la vuole al centro della nuova azione di programmazione urbanistica. Dopo progetti e discussioni il prg vincola la Darsena alla cosiddetta cintura verde e mette nero su bianco l’imperativo della riconversione dell’asta terminale del Candiano, 136 ettari, dei quali 114 fondiari, 12 d’acqua, un waterfront di 2 chilometri, oltre 40 proprietari. La Darsena viene collegata alla cintura verde da un circuito di permute, poi seguono il programma di riqualificazione urbana del 1997, nel 1998 si aggiunge un programma che alla riqualificazione associa lo sviluppo sostenibile del territorio, fino al master plan di Stefano Boeri che oggi rappresenta la traccia concreta sulla quale si muove il nuovo Poc per il recupero del comparto.

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Il ponte mobile, che segna la separazione fra la Darsena di città e il porto commerciale e industriale San Vitale

Una vicenda lunga, attraversata da esperienze come il processo partecipativo “La darsena che vorrei” con centinaia di cittadini coinvolti, ma anche da forti polemiche. Dalla costruzione del ponte mobile sul Candiano, definito “immobile” per le difficoltà connesse alle aperture, rarissime e assai onerose; per passare al magazzino ex Sir, il cosiddetto Sigarone, prima destinato alla demolizione, poi oggetto di un progetto di riqualificazione non ancora andato in porto; fino al tema delle bonifiche, del canale in primo luogo, oggetto di una prescrizione urbanistica del nuovo Poc, con gli extra oneri destinati al risanamento delle acque, addebitati ai proprietari delle aree. A questo si lega la bonifica dei terreni dei comparti affacciati sul Candiano e la regolazione degli scarichi fognari: si pensi alla ex Montecatini, dove venivano prodotti concimi chimici, o all’area del tiro a segno, della Nuova Cementi Ravenna, della Cmc con il bitumificio ancora in funzione, e della Sir. Questioni da affrontare con decisione se come indica il Poc si vuole trasformare la porzione sul canale in un quartiere smart, con ampi parchi, poco residenziale concentrato in altezza, spazi commerciali con attività di piccola ristorazione, attività culturali ospitati in edifici di archeologia industriale, mobilità leggera, con un limite forte alla presenza di auto e una costante attenzione alla sostenibilità ambientale del costruito. Un avamposto di quello che potrebbe essere il futuro dell’area è rappresentato dalle attività culturali ospitate all’interno dell’Almagià ex fabbrica dello zolfo, e da locali di culto per la qualità dell’offerta e della ricerca come il Barnum sui via Magazzini Posteriori o da esperienze recenti come il vicino Dock 61. Più nebuloso appare il destino della stazione ferroviaria, dall’inizio del Novecento oggetto di progetti di spostamento mai concretizzatisi. Dopo i ripetuti annunci della realizzazione di un attraversamento pedonale sulla stazione, necessario a cancellare la cesura costituita dai binari,  ora si torna a riflettere sulla possibilità di uno spostamento dello scalo a nord, al limitare del parco Teodorico e di un tunnel ferroviario e stradale sotto il canale o di uno spostamento ad ovest in prossimità di Fornace Zarattini. Ipotesi futuribili, in tempo di forte contrazione delle risorse pubbliche. Rimane per ora un quartiere “storico” a destra di via Trieste con un istituto comprensivo, la sede del consiglio territoriale che garantisce i servizi di base per tutto il quartiere, la Casa delle culture, una rete commerciale diffusa, e un palazzo dello sport  votato all’ospitalità di grandi eventi, spettacoli, esposizioni e fiere.

Due mappe tratte dal Poc della Darsena, lo strumento urbanistico comunale in prossima fase di approvazione

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