Il paesaggio parlante di un carabiniere Seguici su Telegram e resta aggiornato Geografia politica della penisola nel racconto vivio e pittorico del Generale Alberto Mannucci Copertina del libro di Alberto Mannucci, “Uno qualsiasi”, Introduzione di Marina Mannucci. La foto ritrae Alberto Mannucci a Lido di Ostia, 1942 In copertina Alberto Mannucci appare in sella ad una bicicletta: la foto evoca il neorealismo di un’Italia in bianco e nero. Ossimoro cromatico capace di rimettere in movimento il Paese, ferito e lacero, ma ansioso di “rinascere”. La bicicletta non è stata soltanto un utilissimo mezzo di trasporto, bensì simbolo di operosità: da Roma in su, tutti, nelle campagne e nei paesi della pianura padana, ne avevano una da custodire gelosamente. La sua popolarità era cresciuta dopo l’impresa di Bartali al Tour de France del ’48, quando, dopo l’attentato a Togliatti, l’Italia ritrovò un clima di rinnovata pacificazione sociale. Alberto Mannucci, giovane Ufficiale dei Carabinieri, pedala il “suo Giro d’Italia”, una carriera che lo vede protagonista lontano dai clamori, ma vicino alla realtà affacciata sulle bellezze del paesaggio e sulla dura quotidianità. Il libro però non è il diario di Umberto Berni, pseudonimo che viene adottato dall’autore, bensì una narrazione che presenta molte analogie con una corsa a tappe:di un grande giro ciclistico ci sono, infatti,le difficoltà altimetriche, estenuanti salite e pericolose discese, attraversamenti di centri cittadini festanti, problemi d’ordine pubblico, incidenti. Ma la scenografia di Uno qualsiasi è la geografia del nostro Paese, con i silenzi che spalancano gli occhi allo stupore o colpiscono con un pugno allo stomaco le nostre sensibilità culturali e sociali. Un Ufficiale dei Carabinieri è una persona che, nel suo ruolo, applica la legge e solo in questo modo la può far osservare. Umberto Berni sa perfettamente che per vedere bisogna conoscere: così descrive pregi e limiti dell’azione dei “militi tuttofare”, quei carabinieri utilizzati per l’interesse (e il bene) comune. Alberto Mannucci è nato a Roma, unico maschio fra tre sorelle, Anna Maria, Gabriella e Maria Pia, dove, dopo studî classici, si laurea in legge. Sono gli anni della riscossa e della liberazione e il giovane partecipa attivamente alla Resistenza, guadagnandosi medaglie ed encomi. Entra poi nella Scuola Ufficiali e qui inizia il racconto di Umberto Berni, Uno qualsiasi, capace d’intrecciare piccole storie con una cronologia ben più ampia e complessa. Il tessuto narrativo nobilita verbali di sperdute stazioni dei Carabinieri e scomodi trasferimenti in “Campagnola” fra le buche di un’Italia minore. Annotazioni, ricordi, incontri con personaggi che hanno fatto la storia del dopoguerra come quello, a Lugo di Romagna, con Ugo La Malfa, leader del piccolo ma battagliero partito repubblicano. Dalle pagine del libro riemerge un’Italia stradale e ferroviaria ancora riconoscibile e sulla quale il “calco” della modernità ha accumulato tante occasioni perdute. Le descrizioni letterarie sono precise, quasi fotografiche, talvolta tecniche, soprattutto quelle dei treni che appassionarono Mannucci, tanto da portarlo al modellismo ferroviario. Nel poco tempo libero, la sera, si dedicava al suo plastico, dove correvano trenini in miniatura assieme alla sua fantasia. Un viaggio ferroviario vero, il brillante Ufficiale dei Carabinieri che aveva anche l’occhio del pittore, lo descrive così: «Berni prese il treno per la Sicilia di pessimo umore. Lasciava Bologna ove aveva trascorso un periodo abbastanza sereno e felice della sua vita per affrontare l’incognita non allettante di un mondo lontano e sconosciuto. Oltrepassata Napoli il direttissimo cominciò ad inoltrarsi verso l’“ignoto” sull’unico binario della vecchia linea a trazione a vapore che conduceva a Reggio Calabria: Salerno, splendido golfo apparso dall’alto all’uscita da una lunga galleria, Battipaglia, Sapri, Paestum ed i suoi templi e via via l’interminabile costa tirrenica con scorci di mare bellissimo, azzurrissimo che appariva e scompariva alla vista a destra tra una galleria ed un’altra, dall’alto dei viadotti. A sinistra incombeva l’Appennino con degradanti coltivazioni a terrazzo trattenute da muretti a secco che si allargavano e si restringevano, con grandi olivi secolari emergenti da un terreno rossastro e susseguentesi grappoli di grossi fichidindia. Il profondo Sud si manifestava con una rigogliosa natura accogliente e con gli smaglianti colori del mare, del cielo, della vegetazione. Nomi poetici: Scalea, Diamante, Belvedere, Amantea, e poi Sant’Eufemia, Pizzo, Vibo, Gioia Tauro, Palmi, Bagnara: deliziose incontaminate marine con poche isolate barche di pescatori, verdi e blu, tirate a secco sulla spiaggia o dondolanti pigramente su un mare luccicante di pagliuzze d’oro sotto un sole più bello e più caldo di quello fino allora conosciuto. Bianchi paesetti e borgate del sud, candidi terrazzi e arabeggianti cupole appiattite, con archi mediterranei e imposte verniciate di intenso verde e azzurro. Infine, la grossa rupe di Scilla incombente sul mare, fronteggiata a vista dalla vicinissima terra di Sicilia, dominata dagli alti e severi monti Peloritani che nascondevano il sole calante alle loro spalle. Per ultimo Villa San Giovanni». Il racconto di Berni resta sempre descrittivo anche quando viene rappresentata una tragedia nazionale, come l’immane sciagura del Vajont. Umberto Berni non spreca aggettivi e non si perde in premesse che l’ondata gigantesca ha spazzato via. Le frasi sono secche e spoglie di retorica: si legge però, nello stile sempre elegante, un’interpunzione dolorosa e partecipe, come si poteva osservare nella natura, violata a morte dallo scempio di fango e rovine. Sulla bandella in terza di copertina si legge:«Dopo una breve permanenza nel 1951 al Battaglione Mobile di Bologna, comanda la Tenenza di Messina, la Tenenza di Lugo di Romagna, la Compagnia di Sciacca e, dopo un periodo in Alto Adige in cui presta servizio a Bolzano, comanda la Compagnia di Pordenone. Per breve tempo torna a prestare servizio in Sicilia presso il gruppo di Catania, poi in Romagna, questa volta a Ravenna, per trasferirsi in seguito presso la Brigata di Bologna. Si congeda dall’Arma dei Carabinieri nel 1982 con il grado di Generale di Brigata. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Erto e Casso per aver aiutato e sostenuto i superstiti del disastro della diga del Vajont». Alberto Mannucci, quando arriva nella nostra Regione, incontra a Rimini Marisa Ugolini che diventerà sua moglie. Avranno due figli, Valerio e Marina (attuale collaboratrice di questa rivista N.d.R.).È stata Marina a firmare la bella e toccante introduzione al libro:«Rileggendo mio padre, dai suoi pensieri e dalle sue riflessioni mi si è svelato un uomo-cittadino-marito-padre che in vita non avevo colto appieno». Il libro è testimonianza postuma di una grande umanità al servizio della legge nel significato più ampio del termine, ma non solo. Grazie ad Uno qualsiasi riusciamo a vedere il passato recente con occhi ancora ansiosi di rispetto e senso civico e lo dobbiamo anche alla moglie Marisa che ha voluto donarci un racconto di vita denso di emozioni e affetti. Alberto Mannucci, Uno qualsiasi, Introduzione di Marina Mannucci, Ravenna, SBC edizioni, 2016, pp. 210. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato