Scienza e tecnica nella città nuova

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Il cartone del trittico di Antonio Rocchi in scala 1:5

I mosaici di Antonio Rocchi e Ines Morigi Berti raccontano la scienza  e la tecnica all’interno dell’Istituto “G.Ginanni” a Ravenna

La generazione degli anni Sessanta colloca il mosaico come espressione artistica all’interno delle basiliche ravennati. Sembra quasi un passaggio obbligato entrare in un luogo sacro per poter ammirare quelle opere sfavillanti di luce e colore. Il mosaico racconta la storia e la storia (antica) viene raccontata dai mosaici che quella generazione ha apprezzato dopo essersi abituata all’oscurità di San Vitale e Galla Placidia, ammirando così il cielo di quella «glauca notte rutilante d’oro».
Quando le tessere cambiano di dimensione e sono collocate in spazi del tutto nuovi e più illuminati, le opere sembra non vengano percepite come mosaici, bensì come fondali artistici.
Salendo al primo piano dell’Istituto Tecnico Commerciale “G. Ginanni” in via Carducci a Ravenna, molti studenti non hanno memorizzato il grande mosaico (sei metri e mezzo di base e un’altezza di due metri e trenta) che incontravano prima di imboccare il corridoio che portava alla presidenza. Tanti ricordano altri particolari, ma il pannello musivo che occupa un’intera parete se lo sono scordato!
Il tema del concorso voluto da uno straordinario animatore culturale della città, come fu l’allora Preside dell’Istituto Michele Vincieri, era al passo coi tempi. Il titolo, infatti, Spazio e colore, si collocava in un periodo fervido di grandi impulsi artistici e intuitive illuminazioni.
Proprio in quel periodo si stava girando a Ravenna il film Il deserto rosso e il regista Michelangelo Antonioni aveva fatto dipingere di nuovi colori alcune abitazioni di Ravenna, al fine di rendere più evidente l’uso del cromatismo capace di rivelare un “primo  piano” di lettura della pellicola.
L’impatto che il film ebbe sulla città fu importante fin dall’inizio, nell’atmosfera che si era creata durante le riprese: molti ne parlavano e chi ritornava in provincia dopo essere stato a Ravenna per motivi di lavoro, riportava le sensazioni unite allo stupore di quel set cinematografico. Del “deserto rosso” e di Monica Vitti se ne parlò ancor prima che la pellicola uscisse nelle sale cinematografiche.  Il tema è già stato affrontato da Umberto Boccioni che con la sua La città che sale, nel 1910, dipinge su tela una prospettica Milano dal balcone del suo studio. Dietro quei disegni che compongono il suo primo olio futurista non c’è solo una visione architettonica, ma il concetto del lavoro dell’uomo e della sua educazione tramite lo studio.
Un altro dei grandi pittori italiani del Novecento, cresciuto artisticamente a Milano, è Mario Sironi, che negli anni Trenta teorizza il ritorno alla pittura murale. Sironi preparerà i cartoni per la realizzazione di un grande mosaico, dal titolo La Giustizia tra la Legge e la Forza, affidata al ravennate Giuseppe Salietti, una delle più importanti figure nel rilancio del mosaico in Italia nel Novecento.
Fra gli allievi del maestro Salietti troviamo Ines Morigi Berti che lavora assiduamente tra il 1939-40 all’esecuzione del grande pannello musivo che si trova nell’aula di Corte d’Assise del Palazzo di Giustizia a Milano.
Dopo le distruzioni belliche, morali e materiali, la rinascita artistica di Ravenna passa attraverso il mosaico,  dove il gruppo storico dei mosaicisti e i loro allievi ormai cresciuti si riuniscono in cooperativa. I fondatori sono: Giuseppe Salietti (direttore), Isler Medici, Zelo Molducci, Lino Melano, Ines Morigi Berti, Libera Musiani, Romolo Papa, Eda Pratella, Antonio Rocchi e Renato Signorini, che conserva l’incarico di direttore della Scuola.  È il 1948. Questi artisti rappresentano un crogiuolo dove le esperienze si confrontano e si fondono. Nasce così una straordinaria stagione che sarà trasmessa alle nuove generazioni. Questi mosaicisti, infatti, sono maestri nella loro bottega e anche nella scuola, all’Istituto d’Arte per il Mosaico e all’Accademia di Belle Arti.
Gli anni Sessanta per Ravenna simboleggiano un periodo legato all’ottimismo industriale in una visione di futuro e di crescita sociale tramite l’educazione.
L’Istituto Tecnico Commerciale “G. Ginanni” diretto da Michele Vincieri prepara i “controllori” di quel boom che ha bisogno di regole e ragionieri!
Sintetizzando questi concetti, Vincieri promuove un bando di concorso pubblico che viene affrontato da Antonio Rocchi e da Ines Morigi Berti, un sodalizio di straordinari artisti che presentano due progetti: vincerà uno ma lo realizzeranno insieme. E così succede.
La vicenda è ben descritta dalla scheda che appare nel sito www.mosaicoravenna.it al quale sono stato indirizzato grazie alla cortese disponibilità dell’esperta Linda Kniffitz, curatrice della Collezione dei Mosaici Contemporanei e responsabile del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico del Museo d’Arte della città di Ravenna.
«Nel 1962 Antonio Rocchi vince un concorso, bandito dall’Amministrazione Provinciale di Ravenna, per la realizzazione di due pannelli a mosaico per la nuova sede dell’Istituto Tecnico Commerciale “G. Ginanni”.
La realizzazione dei pannelli vede Ines Morigi Berti, con degli aiutanti, lavorare a fianco di Antonio Rocchi, autore anche dei cartoni preparatori.
La decorazione musiva si trova al piano superiore dell’Istituto ed è costituita da un trittico, delle dimensioni di 6,50 x 2,30 metri complessivi, sulla parete in faccia alle scale, mentre sulla parete di fronte è posto un ulteriore pannello di 1,50 x 2,00 metri. I pannelli musivi sono allettati su lastre di cemento di 2,5 centimetri di spessore e sono incorniciati da un telaio in ottone.
Rocchi ha firmato e datato, al 1964, le opere. Il trittico sviluppa il tema della Scienza e della Tecnica attraverso la raffigurazione di Ravenna come una città in cui la storicità dei monumenti antichi si coniuga ad una modernità industriale in piena espansione. Il pannello singolo sviluppa invece il tema della scuola, attraverso la raffigurazione di un banco e di una lavagna ricca di formule.
 La composizione mostra chiare influenze cubo-futuriste».

Marcello Landi

Storia E Memoriajpg05 All’esecuzione dei pannelli musivi partecipa Marcello Landi (nella foto, mentre mostra uno dei punti dove sono “saltate” le tessere). Allora dodicenne, Marcello che aveva già iniziato gli studi all’Istituto d’Arte Inferiore, viene avvicinato alla disciplina dallo zio Antonio Rocchi che lo coinvolge come “aiutante”. Il giovane presta quindi la sua opera seguendo il lavoro di Ines Morigi Berti che pochi anni dopo diventerà la sua insegnante all’Istituto d’Arte.
Di quell’esperienza con lo zio, ma  Antonio era fratello della nonna Eleonora,  Marcello Landi ricorda come nella decorazione Rocchi utilizzasse nuovi formati di tessere, non solo rettangolari, ma quadrati e di maggior dimensione “…Il mosaico – prosegue Landi – si fa pennellata, assume uno spessore fino a diventare tattile. Quella tecnica utilizzata per la prima volta nei lavori dell’Istituto “G. Ginanni”,  è ora ampiamente diffusa. La cifra artistica è nata in quell’opera”.
Marcello Landi si diplomerà e, seguendo l’esempio dei suoi maestri, diventerà lui stesso insegnante e concluderà la sua professione di educatore come Preside del Liceo Artistico e dell’Istituto per il Mosaico. Continua ad occuparsi della vita culturale e artistica della città ed è stimolante protagonista di molte iniziative tra le quali l’Associazione Culturale Dis-Ordine dei Cavalieri della Malta e di tutti i Colori.

Dal libro su Antonio Rocchi, collana “Colloqui di luce”, a cura di Felice Nittolo

«… I mosaici sono realizzati con una perizia tecnica unica e riconducono alle caratteristiche superfici dei mosaici delle Basiliche Ravennati dove la luce, la forma e il colore di ogni tessera contribuiscono alla magia dell’insieme. Lo studio del progetto, la disposizione degli elementi, ci porta, oltre che a riconoscere le caratteristiche storiche e sociali della città di Ravenna, ad una severiniana memoria. Infatti, Antonio Rocchi, oltre un decennio prima, aveva collaborato con Gino Severini alla realizzazione di mosaici in Francia, in Svizzera e in Italia. Tutti i colori usati sono stati organizzati secondo mescolanze di smalti vetrosi misti che determinano la base della tavolozza cromatica. Le tessere rispettano rigorosamente le regole del linguaggio musivo e sono state disposte seguendo le linee del disegno. Ogni tessera, tagliata e studiata singolarmente, assume un ruolo preciso rispetto alla forma e al soggetto che concorre a rappresentare. Gli interstizi sono piuttosto serrati e le tessere, di media dimensione, vibrano per diversità di taglio e di colore: tutta la superficie è giocata su una luce interna ed esterna, la materia sublimata dalla sapienza degli artisti trasmette sogno e magia».

Rocchi: «il mosaico mi ha insegnato a  toccare  la pittura con le dita»

Da sinistra:Il cartone riproduce il tema dello studio di ragioneria e geometria. Una scritta richiama agli elementi di spazio e colore/ La realizzazione a mosaico come appare oggi al primo piano dell’Istituto Tecnico Commerciale “G.Ginanni” /Un particolare del mosaico/ Il grande pannello che occupa un intero lato del corridoio di disimpegno al primo piano del “G.Ginanni” di Ravenna/ Un particolare del grande mosaico

In un’intervista di Giulio Guberti su “La Tradizione del Nuovo” rivista della Pinacoteca Comunale di Ravenna uscita dal dicembre 1977 al maggio 1981, Antonio Rocchi si definisce: « …Un pittore che lavora di mano e le cui idee nascono dal fare, mentre dipinge”.
Dopo le esperienze di mosaicista con Severini a Ginevra e Parigi nei quattro anni successivi alla fine della guerra, Rocchi torna a Ravenna dove l’attività del mosaico è legata, in quella fase, per lo più  ai lavori di restauro.
Rocchi prosegue nell’intervista sollecitato dalla grande sensibilità di Giulio Guberti.
«Dopo la guerra per vivere cominciai a fare del mosaico. Non mi piaceva come si lavorava; si facevano copie con una tecnica molto approssimativa di derivazione bizantina; qualcuno aveva lavorato anche con artisti moderni, ma le cose non cambiavano di molto. Capii subito che non avevo la vocazione del traduttore e cominciai a farmi i cartoni da me stesso, pur lavorando anche per altri».
Con Severini, Rocchi aveva a lungo discusso delle nuove tecniche pittoriche: il puntinismo, l’accostamento dei colori puri, delle particolarità dei complementari; tutti elementi molto importanti per un rinnovamento del mosaico.
Nell’intervista emerge il Rocchi insegnante che sempre con tono leggero afferma: «Bisogna ricordarsi che nel mosaico non si procede come nella pittura, non si mescolano i colori, invece si accostano tessere che hanno già un colore, a cui si dà una certa forma e che vanno a diverse profondità, sia  pur di minima entità».
Antonio Rocchi è stato un artista eclettico che ha sperimentato tutte le tecniche, iniziando dalla scultura che lo ha portato a  sottrarre materia, “perfino la pittura,  grattata via con la carta vetrata e l’inchiostro asportato  con la lametta da barba».
Dice Rocchi a Giulio Guberti: «Il mosaico mi ha insegnato a “toccare” la pittura con le dita. Ho quasi sempre dipinto con le dita. Per me come puoi vedere da questi lavori ha sempre contato molto il supporto. Ho sempre avuto bisogno di avere un rapporto fisico con il supporto prima e con la pittura e il disegno poi. Forse è questa una delle ragioni per cui mi riuscì di fare il mosaico».

Una sconosciuta topografia musiva del porto San Vitale

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La riproduzione topografica della Darsena di Città eseguita a mosaico

Dalla città della scienza e della tecnica passano vent’anni.  Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio per la costruzione e la gestione di opere di interesse pubblico nell’ambito del Porto di Ravenna spa commissiona un mosaico raffigurante le darsene San Vitale, cuore del nuovo porto intermodale, le cui banchine sono finalmente servite dal raccordo ferroviario. La piccola opera musiva è un’istantanea anticipatrice dei moderni pixel: una rappresentazione in pianta di quella Ravenna industriosa e dinamica riprodotta nel grande “murales” voluto da Michele Vincieri.
Il pannello, di cm. 62 x 53, è appeso nello studio dell’avvocato Alberto Gamberini che l’ha ricevuto il 4 marzo 1983 per il ruolo di Presidente del Consorzio stesso a sostegno della progettazione ed esecuzione del raccordo ferroviario in destra Candiano.
Il pannello non raffigura soltanto una cartografia eseguita a mosaico, ma riproduce il compimento del passaggio dall’industria alla portualità. Sono trascorsi, infatti, vent’anni dai mosaici di Ines Morigi Berti e Antonio Rocchi che riproducono con toni caldi e concessioni al surrealismo pittorico la città che studia e che si prepara a “salire”.
Il mosaico, a ben guardare, si rivela particolarmente prezioso: non esprime un modo artistico per sintetizzare in una cartografia un passo fondamentale per il porto di Ravenna, bensì una descrizione, precisa e circostanziata delle darsene “San Vitale”. È la San Vitale del futuro, quello specchio d’acqua che le tessere azzurre fanno luccicare di riflessi. Attorno, gli elementi vitali sono simboli: le strade, i piazzali, le banchine e, soggetto determinante, i binari del raccordo ferroviario, che rappresentano un importante trait d’union per lo sviluppo dei commerci.

Cetty Muscolino

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Cetty Muscolino davanti al mosaico “topografico”

Cetty Muscolino come storica dell’arte ha seguito importanti restauri dei mosaici paleocristiani di Ravenna, particolarmente in San Vitale e Sant’Apollinare Nuovo. Il suo rapporto con “le tessere” è non solo storico ma anche “fisico e tattile”, guidando gli allievi della Scuola per il restauro del Mosaico a comprendere le tecniche di esecuzione, valutare lo stato di conservazione e cogliere la vibrazione di luce e colore, prerogativa principale del mosaico. Mentre osserva le tessere Cetty Muscolino ricorda  le parole di Ines Morigi Berti: «Il mosaico è un’arte concettuale perché, nel suo farsi, l’opera riflette la luce, simbolicamente Dio. È importante l’interiorità, all’esterno c’è la semplicità e povertà del mattone e, all’interno, lo splendore e la ricchezza degli ori e della pasta vitrea».
Così Cetty Muscolino commenta il mosaico della darsena San Vitale, forse eseguito da una bottega, come accadeva nella tradizione quando i mosaici non erano “firmati!”:
«Nitido e ordinato, con l’efficacia di uno scatto fotografico, si presenta all’osservatore il mosaico che fa bella mostra nello studio dell’avvocato Gamberini.  Giocato nei tre colori, azzurro, bianco e verde, offre una sintetica e dettagliata visione della Darsena. Seguendo la lezione appresa nello studio dei mosaici paleocristiani di Ravenna l’esecutore si avvale di materiali misti, paste vetrose, pietra calcarea e marmo disposti secondo le regole tradizionali: tessitura serrata e andamenti vibrati. La morfologia per lo più omogenea delle tessere musive viene però animata dall’introduzione di tessere sovradimensionate, come talvolta, in maniera eccezionale, accade nelle stesure musive della Basilica di San Vitale, ma in maniera più vistosa nei mosaici pavimentali medievali di San Giovanni Evangelista. Con questo sapiente intercalare di diversa pezzatura delle tessere si instaura una dinamica vivace che induce l’occhio a esplorare con curiosità per cogliere tutti i particolari, si crea un effetto sorpresa di grande fascino. Sottilissimi listelli di vetro rosso e porpora scura disegnano e precisano le banchine e i percorsi a terra, facendo risaltare il candore del costruito fra il verdeggiare del prato e l’azzurro intenso del mare, resi mossi dal lieve variare delle tonalità e dalla leggera inclinazione delle tessere. Una foto aerea non avrebbe potuto essere più efficace e convincente».

 

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