Abbigliamento cinese, ma con l’etichetta “Made in Italy”. Sequestri anche a Lugo

Il negozio faceva parte di una catena commerciale legata a tre società di Bologna, denunciati i titolari

FinanzaTutto è nato dalle segnalazioni al 117 di cittadini che, dopo aver acquistato articoli di abbigliamento pubblicizzati come “Made in Italy” in un negozio di Lugo, si sono resi conto che in realtà si trattava di capi di produzione cinese. Il trucco consisteva nell’apporre sull’abbigliamento e sugli accessori importati dalla Cina un ben visibile cartellino con la scritta, anche in lingua inglese, “Fabbricato in Italia – Questo capo è stato prodotto interamente in Italia”, con tanto di immagine dello stivale della penisola o della bandiera tricolore a rafforzare il convincimento che si trattasse proprio di un capo di esclusiva sartoria italiana. Un vero e proprio raggiro a scapito dei consumatori che, grazie a queste false indicazioni di origine, venivano indotti ad acquistare capi di abbigliamento di provenienza cinese come se fossero di qualità tutta italiana.

Sulla base dei primi riscontri, dunque, i finanzieri hanno sviluppato una serie di approfondimenti investigativi che hanno consentito di appurare che il negozio di Lugo faceva parte di un’ampia catena commerciale, formata da 14 punti vendita ubicati anche nelle centralissime vie dello shopping di Bologna, Genova, Firenze, Treviso, Pisa e Lucca.

Dagli approfondimenti svolti dalla Guardia di Finanza di Lugo è emerso che questi punti vendita facevano capo a tre società di Bologna operanti nel settore del commercio al dettaglio e all’ingrosso di abbigliamento, calzature ed accessori, tutte gestite da tre cittadini cinesi residenti nel capoluogo emiliano, una delle quali è risultata anche disporre di un grande deposito nel quale venivano stoccati i prodotti di importazione prima di essere dotati del falso cartellino “Made in Italy” e di essere distribuiti per la vendita negli esercizi commerciali della catena di abbigliamento.

Nel corso dell’operazione le Fiamme Gialle, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bologna, hanno perquisito le abitazioni dei tre indagati, le sedi delle società di distribuzione dei capi di abbigliamento e tutti i punti vendita presenti sul territorio nazionale, sequestrando, oltre a circa 2.500 capi che presentavano la duplice origine di provenienza (Italia e Cina), anche 100 mila cartellini attestanti la fabbricazione “100% Made in Italy” dei prodotti, molti dei quali ancora conservati nelle loro scatole e pronti per essere applicati alla merce da porre in vendita al pubblico.

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