Processo Cagnoni, l’investigatore: «Due impronte del marito nel sangue di Giulia»

Quarta udienza / In aula il sostituto commissario della squadra mobile ricostruisce la scena del delitto nella villa di via Padre Genocchi. Dal ballatoio al primo piano la mattina in cui viene collocato l’omicidio il medico mandò una foto della moglie con i quadri a un antiquario. E l’amante ricorda: «Sedute spiritiche là dentro per evocare i figli di Mussolini»

La terza udienza (3 novembre)

La seconda udienza (26 ottobre)

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La prima udienza (10 ottobre)

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Il salone al piano rialzato della villa dei Cagnoni in via Padre Genocchi dove si è consumata l’aggressione a Giulia Ballestri

Nella cantinetta della villa di via Padre Genocchi ci sono due impronte nel sangue della vittima: un palmo sinistro sulla parete e un palmo destro sul frigorifero. Il sangue è di Giulia Ballestri, le mani sono del marito Matteo Cagnoni. Così sono convinti gli investigatori, sulla scorta delle comparazioni fatte dalla Scientifica. Il processo che vede il dermatologo 53enne imputato per l’omicidio della moglie 39enne arriva sulla scena del crimine: nell’aula della corte d’assise di Ravenna nella quarta udienza è il sostituto commissario Stefano Bandini della squadra mobile a ricostruire le indagini e fotografare gli ambienti della casa ai margini dei giardini pubblici di Ravenna, di proprietà della famiglia del medico ma disabitata da anni. La deposizione del poliziotto, cominciata nel tardo pomeriggio dopo oltre sei ore passate ad ascoltare la voce dell’amante di Giulia, verrà completata nell’udienza del 17 novembre quando anche la difesa potrà controinterrogarlo. E già si preannunciano consistenti contestazioni su alcune affermazioni.

Ravenna 10/10/2017. FEMMINICIDIO GIULIA BALLESTRI. Iniziato Il Processo Che Vede Imputato Matteo Cagnoni Accusato Dell’ Omicidio Della Moflie Giuglia Ballestri.

Il sostituto procuratore Cristina D’Aniello, pubblico ministero del processo per l’omicidio di Giulia Ballestri

Il ritrovamente del cadavere, come ormai noto, avviene circa mezzora dopo la mezzanotte tra domenica 18 e lunedì 19 settembre del 2016. Entrano in quattro a tarda serata: due poliziotti, una guardia giurata della Colas che aveva portato le chiavi per entrare, il fratello della donna. Per entrare oltre alle chiavi portate dal vigilante che nelle sue ronde passava a ispezionare la villa, occorre anche digitare il codice per staccare l’allarme che risultava inserito. Dentro i quattro si muovono con le torce. E il fascio di luce illumina un po’ alla volta gli ambienti in cui Giulia è stata aggredita, massacrata a bastonate e finita sbattendole il volto contro lo spigolo di una parete in cantina.

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I due coniugi sono andati insieme nella casa la mattina del 16 settembre su proposta di Cagnoni. Il motivo sta in alcuni quadri del pittore Nicola Samorì che il medico doveva fornire a un antiquario per una mostra o per la vendita. E c’è una fotografia che mostra quei momenti: la riceve alle 9.19 di quel giorno l’antiquario dal telefono di Cagnoni: si vede una delle opere in controluce e la figura di una donna, inquadrata non completamente ma abbastanza da mostrare un dettaglio del jeans identico a quello visibile sui pantaloni indossati da Giulia nei filmati della pasticceria Le Plaisir dove fa colazione al mattino di quel giorno dopo aver accompagnato i tre figli a scuola.

L’arma del delitto è un bastone di legno, una porzione di un ramo lungo 55 cm con diametro di sei. Gli investigatori lo trovano al primo piano, imbrattato di sangue con capelli della vittima. Per necessità processuali Bandini ricostruisce i dettagli dei rilievi e le conseguenti ipotesi sulla dinamica dell’aggressione. Momenti carichi di sofferenza per il fratello Guido che resta in aula e ascolta con il volto tirato e prova a scaricare la tensione sul telefonino. In buona sostanza l’ipotesi è che l’aggressione sia iniziata al primo piano sul ballatoio mentre la donna è seduta su una poltroncina di fronte ai quadri. Prosegue poi lungo le scale e nel salone del piano rialzato e si conclude nel seminterrato dove il corpo verrà trovato solo con il reggiseno slacciato addosso.

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L’esterno della villa di proprietà della famiglia di Matteo Cagnoni in via Padre Genocchi, vicino ai giardini pubblici, dove è stata uccisa Giulia Ballestri, moglie del dermatologo

In mattinata, come detto, è stato ascoltato Stefano Bezzi, l’uomo che da agosto del 2015 ha una relazione sentimentale con Giulia. E dalla sua deposizione emergono altri dettagli che ricostruiscono il contorno della villa. Una settimana fa il fratello della vittima aveva detto che Cagnoni la chiamava la casa degli spiriti o dei morti e pur provandone soggezione sognava di andarci a vivere. Oggi è Bezzi a confermare che Cagnoni la chiamava la casa degli spiriti e aggiunge che da quanto aveva saputo da Giulia, il marito aveva organizzato anche delle sedute spiritiche per evocare i figli di Mussolini.

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Bezzi e la moglie di Cagnoni si conoscevano da quando erano adolescenti e poi dal 2009 cominciano a incrociarsi all’ingresso della scuola frequentata dai figli. Ma solo nella primavera del 2015 c’è un avvicinamento. E Bezzi ci tiene a sottolineare che nei primi loro contatti, chiacchiere fuori dalla scuola, era già presente il disagio della donna per una situazione familiare che lei non reggeva più. Cagnoni venne a sapere della loro storia nell’agosto del 2016 e lo disse alla moglie mettendola al corrente di averla fatta seguire da un investigatore, di averle clonato il telefono per ascoltare le sue chiamate e di aver messo una cimice nel Chrysler Voyager che era solita guidare.

Nei momenti più tesi della crisi coniugale quando lei aveva aveva già espresso la ferma volontà di divorziare – «Sono decisa, cazzo, super decisa», è il messaggio inviato all’amante via Instagram – lui le risponde che la sua relazione extraconiugale di cui era venuto a conoscenza era da considerare già finita senza aggiungere altro. Una frase che la donna non sapeva spiegarsi. È il pubblico ministero Cristina D’Aniello a leggere nell’aula della corte d’assise alcuni messaggi scambiati tra i due per contestualizzare certe frasi e ricostruire il contesto attorno alla 39enne. «Mi raccontava di queste frasi ambigue che lui le diceva ma non capivamo cosa volesse dire – ricostruisce Bezzi –. Nell’ultimo periodo dopo aver scoperto di noi due (agosto 2016, ndr) le diceva anche che presto ci avrebbe fatto un bel regalo. Se lei chiedeva maggiori spiegazioni lui restava in silenzio».

Nel controesame l’avvocato Giovanni Trombini con abilità retorica si insinua nelle pieghe delle dichiarazioni cercando di far emergere incongruenze tra le informazioni rilasciate da Bezzi nei giorni a ridosso dell’omicidio e quanto oggi detto in aula. E in un paio di casi, su questi marginali, riesce a sottolineare delle contraddizioni.

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