Stefano Cagnoni scrisse a un’amica: «Mio fratello è l’assassino di Ravenna»

Tredicesima udienza / Al processo del dermatologo Matteo Cagnoni per l’omicidio della moglie Giulia Ballestri la deposizione del parente, ingegnere informatico. Emerge un messaggio inviato via Whatsapp nei primi giorni dopo il ritrovamento del cadavere: «Volevo solo dare il senso di quello che raccontavano i giornali». Inizialmente l’influenza mediatica avrebbe anche convinto l’uomo della colpevolezza dell’imputato

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Al centro il professor Mario Cagnoni, 87 anni. Ai lati i figli: a destra l’ingegnere Stefano Cagnoni, a sinistra il dermatologo Matteo Cagnoni

Per tutto il tempo della sua deposizione, più di due ore, se l’è presa con un plico di fogli arrotolati. Contenevano la trascrizione di una intercettazione telefonica, una di quelle che mettono a disagio. Con un mignolo infilato in una delle estremità li ha torturati senza pause, mentre dondolava una gamba, anche quando le domande sono passate oltre a quel dialogo. Di fronte alla corte d’assise di Ravenna oggi, 9 febbraio, per il 58enne Stefano Cagnoni è stata una testimonianza sofferta: il 52enne fratello Matteo è imputato per l’omicidio della moglie 39enne Giulia Ballestri, trovata morta il 19 settembre 2016 nello scantinato di una villa disabitata di proprietà del padre Mario Cagnoni a ridosso dei giardini pubblici di Ravenna.

Stefano Cagnoni

Alto e magro, spalle curve, sulla testa la riga da una parte e sul naso gli occhiali da vista con lenti tonde e montatura sottile, volto rasato: il professore di ingegneria informatica all’università di Parma, città dove risiede, riempiva una giacca verde a quadri e un gilet scuro. Voce bassa, modi gentili, toni pacati, sorrisi timidi: il suo interrogatorio – punteggiato da colpi frequenti di tosse nervosa e secchi schiarimenti di voce – ha aperto la tredicesima udienza del processo. La settimana scorsa era toccato al padre: per entrambi la difesa (avvocati Giovanni Trombini e Francesco D’Alaiti) aveva chiesto la possibilità di rinunciare a deporre in quanto prossimi congiunti dell’imputato, la corte ha rigettato la richiesta ritenendo che il beneficio non sia ammissibile in quanto parenti affini della parte lesa (solo lo zio Giorgio ha potuto avvalersi sette giorni fa, la madre invece per due volte di fila ha presentato certificati medici che attestano un decadimento cognitivo e il pm ha rinunciato ad ascoltarla).

Per la prima ora ha affrontato la pubblica accusa (pm Cristina D’Aniello) che ha accompagnato il teste, una domanda dopo l’altra, fino al fulcro della deposizione: l’intercettazione riportata nei fogli arrotolati. È una telefonata avvenuta la mattina del 19 settembre 2016 tra la casa dell’ingegnere e quella dei genitori a Firenze. Il colloquio avviene in un momento in cui sono passate una decina di ore dal ritrovamento del corpo della donna e Matteo Cagnoni è in stato di fermo dopo una rocambolesca fuga notturna dalla villa fiorentina quando la polizia si era presentata per cercarlo. È la prima chiamata del giorno: Stefano ha già appreso dalle testate online che Giulia è stata uccisa e il fratello è in carcere. Per molte volte nel corso della deposizione farà leva su quanto sarebbero stati influenti i giornali nel condizionare addirittura le sue convinzioni su un parente intimo, portando l’avvocato Trombini a ribadire ancora una volta la fondatezza della richiesta di trasferimento del processo in altra sede perché il clima ravennate sarebbe inquinato «dalla campagna avversa dei media». Nella telefonata si rivolge al padre: «È stato un eccesso di rabbia?». Il genitore risponde: «Penso dì sì. Naturalmente si dice che non è vero, che è stato qualcun altro da fuori». Stefano aggiunge: «Comunque bisogna tenere presente che i telefonini danno traccia di tutti i movimenti».

IMG 3730Quelle dell’ingegnere sembrerebbero le parole di uno che considera il fratello come l’autore del gesto, senza nemmeno tante incretezze. «Avevo letto nei giornali la notizia dell’arresto di mio fratello presentato come unico colpevole – prova a spiegare –. Di fronte alle questioni legali c’è un’abitudine nell’uomo della strada, come mi ritengo io, nel ritenere colpevole chi viene indicato come tale dai giornali, una tendenza a identificare l’indagato con il colpevole. La chiamerei maleducazione civica e io non ne sono stato esente. In quel momento ho dato per buono che potesse essere stato mio fratello e un eccesso di rabbia mi pareva l’unica spiegazione a un evento così tragico». Il fratello dell’imputato prova a fornire anche la sua lettura delle parole del padre, facendo leva sulla sottigliezza lessicale del “si dice” nell’accezione toscana: non quindi i prodromi di una strategia difensiva a tavolino ma l’equivalente di “noi diciamo che”, cioè la manifestazione di una convinzione. Così come l’idea di colpevolezza se l’era fatta leggendo i giornali, allo stesso modo Stefano viene a sapere delle dichiarazoni di innocenza del fratello ancora tramite i giornali minando in parte la versione di un racconto mediatico a senso unico e avverso all’imputato.

Ravenna 10/10/2017. FEMMINICIDIO GIULIA BALLESTRI. Iniziato Il Processo Che Vede Imputato Matteo Cagnoni Accusato Dell’ Omicidio Della Moflie Giuglia Ballestri.

Matteo Cagnoni accompagnato dalla polizia penitenziaria nell’aula della corte d’assise

Prima di arrivare a quella telefonata nella deposizione, è stato inevitabile trattare i due atti firmati dal notaio a marzo 2016 con cui Matteo all’insaputa della consorte passò un patrimonio del valore di circa 1,5 milioni di euro (tra immobili e fondi) al fratello, in parte con donazioni e in parte con vendita (appena 160mila euro in totale). «Accettai per soddisfare una sua richiesta, avevo l’impresso che la cosa lo facesse stare più tranquillo. Anche se Matteo mi stava vendendo la casa familiare di via Giordano Bruno, non ho mai messo in dubbio che quello che spettava ai nipoti sarebbe poi arrivato ai nipoti. Da sempre, e tutt’ora avviene, i miei genitori contribuiscono al mantenimento dei tre figli di Giulia e Matteo». A questo punto nell’interrogatorio irrompe il presidente della corte Corrado Schiaretti: vendita vera o simulata? L’ingegnere tentenna, balbetta, prende pause: «Legalmente ero il proprietario». Schiaretti insiste, vuole un sì o un no. Alla fine di alcuni lunghissimi minuti di pressione arriva la conferma che si trattava di una vendita simulata: in famiglia era chiaro a tutti che i beni restavano di fatto di Matteo. In apertura di udienza la difesa ha comunicato di aver trovato la soluzione per arrivare all’annullamento degli atti per il ritorno dei beni nella disponibilità dell’imputato.

Tra le maglie della testimonianza è poi emerso un messaggio Whatsapp inviato da Stefano a un amica nelle prime ore dopo l’esplosione del caso. La donna gli chiedeva come andavano le cose e lui rispondeva “mio fratello è l’assassino di Ravenna”. Il 21 settembre del 2016 quando fu ascoltato dalla polizia durante le indagini preliminari mostrò spontaneamente il messaggio agli inquirenti: «Rileggendolo a posteriori mi sono stupito io stesso di averlo scritto». Come va spiegato? La risposta è sempre la stessa: «Volevo restituire il senso di quello che dicevano i giornali».

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