L’ora della morte di Giulia fissata dalla caffeina nel corpo. Ma la difesa contesta

Tredicesima udienza / Ascoltati i medici legali consulenti dell’accusa per l’autopsia: il momento del decesso sarebbe compatibile con la presenza del marito e imputato Matteo Cagnoni nella casa del ritrovamento del cadavere. L’avvocato Trombini lamenta che le analisi decisiva siano state fatte senza informare il perito di parte

I 2,5 milligrammi di caffeina trovati nello stomaco del cadavere di Giulia Ballestri portano i consulenti tecnici della procura a fissare la morte della 39enne entro due o tre ore a partire dalle 9 del 16 settembre 2016, quindi in un intervallo di tempo compatibile con la permanenza del marito Matteo Cagnoni nella casa abbandonata di via Padre Genocchi a Ravenna (tra le 9.15 e le 11.06, come mostrano le telecamere in strada) dove due giorni dopo è stato trovato il corpo. È uno dei passaggi della relazione firmata dai medici legali Franco Tagliaro e Federica Bortolotti, dell’università di Verona, ascoltati il 9 febbraio in tribunale nel processo che vede il 52enne dermatologo imputato per omicidio volontario aggravato da crudeltà e premeditazione.

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Il salone al piano rialzato della villa dei Cagnoni in via Padre Genocchi dove si è consumata l’aggressione a Giulia Ballestri. La foto fa parte di un servizio fotografico pubblicato sul numero di aprile 2008 della rivista di architettura Trova Casa

L’elaborazione dei due consulenti parte dalle ricostruzioni degli inquirenti. Quella mattina i due coniugi fecero colazione in una pasticceria di viale Newton dove rimasero tra le 8.23 e le 9.07 (sono filmati dalle telecamere di videosorveglianza) e la donna ordinò un caffè. Alle 9.15 scendono dall’auto in via Genocchi per entrare nella casa a vedere i quadri da vendere. Alle 9.19 Cagnoni manda una foto a un amico antiquario in cui si vede uno dei quadro e una figura di donna che indossa jeans simili a quelli di Giulia in pasticceria (i suoi abiti non verranno mai trovati). Alle 10.05 il telefono della vittima aggancia per l’ultima volta una cella compatibile con quella zona. Alle 11.06 una sola persona esce dalla villa e sale sulla Mercedes. Cagnoni sostiene di essersene andato per conto suo lasciando la moglie sola.

Calcolando i tempi con cui si svuota lo stomaco, il residuo di caffeina presente serve ai medici per arrivare all’orario della morte. Un orario che si accoppia anche con la prima valutazione del medico legale Gianpiero Baldini dell’Ausl, intervenuto nella villa la sera stessa del ritrovamento per l’ispezione cadaverica. Anche lui è stato ascoltato nella stessa udienza e ha ricordato di poter fissare il decesso a circa 72 ore precedenti usando come metro di giudizio la rigidità del corpo in via di dissoluzione. Ma se l’ipotesi di Baldini non può essere particolarmente precisa con gli orari, di ben altro peso è quella di Tagliaro.

E proprio contro a quest’ultima la difesa dell’imputato ha sollevato le sue perplessità. Soprattutto sulle procedure seguite dai consulenti in laboratorio, con l’intento di togliere dal campo del dibattimento l’analisi della caffeina. Il prelievo dell’intero contenuto dello stomaco è avvenuto durante l’autospia svolta in incidente probatorio quindi alla presenza dei periti di tutte le parti. Poi il 20 febbraio 2017 il consulente della difesa ha contatti con i medici di Verona e non le viene data alcuna comunicazione di accertamenti in programma sulle tracce di caffeina. Tre giorni dopo le arrivano i risultati delle analisi con posta certificata: «Perché il dottor Tagliaro non ha ritenuto di informare la nostra consulente appena è stato incaricato dalla procura per questo tipo di operazione proprio dopo l’incontro a Verona?», ha chiesto l’avvocato Giovanni Trombini. Il pubblico ministero Cristina D’Aniello ha fatto ricorso a precedenti sentenze per far presente che la procedura non prevede l’obbligo di informare le parti, ma solo l’atto del prelievo va svolto con tutte le parti presenti. Con una precisazione aggiuntiva importante: esiste ancora conservato un campione dei succhi gastrici che permetterebbe di ripetere l’accertamento e a richiederlo può essere la difesa ma anche la corte.

L’avvocato Giovanni Trombini parla con il suo assistito Matteo Cagnoni nella gabbia dell’imputato

La deposizione dei due consulenti è servita anche per portare all’attenzione della corte d’assise (presidente Corrado Schiaretti, a latere Andrea Galanti) altri elementi dell’omicidio partendo dai riscontri dell’autopsia. Giulia è stata colpita alla testa almeno sette volte: tante sono infatti le ferite lacero-contuse presenti (quattro sulla parte laterale posteriore, due sulla fronte, una posteriore). «La furia omicida si è concentrata sulla testa», confermano i medici alla domanda del pm. Fratture al naso, alla mascella, alla mandibola. La causa della morte è un grave trauma commotivo cranico con lenta insufficienza respiratoria: l’agonia prima del decesso può essere durata anche un’ora. Dettagli che l’accusa metterà in fila per contestare l’aggravante della crudeltà, una delle possibilità che insieme alla premeditazione porterebbero all’ergastolo.

Le ferite al capo e sul volto, secondo i medici, possono essere compatibili con i colpi del bastone trovato nella casa e con le percosse contro uno spigolo del muro nella cantina. Infine le unghie: sotto è stato trovato dna maschile non dell’imputato ma non presentano rotture o lesioni. Circostanza che lascerebbe quindi ipotizzare che non vi sia stato un tentativo di difesa attiva. I segni sulle braccia e sul dorso delle mani rendono più probabile invece una difesa passiva: il tentativo di Giulia di coprirsi il volto e il capo mentre l’assassino si accaniva su di lei.

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