Mafia in Romagna, chiesti 110 anni di carcere per 22 imputati Seguici su Telegram e resta aggiornato Ieri l’udienza contro i clan accusati di avere acquisito diversi locali in riviera, allo scopo di riciclare denaro Sono state chieste pene per oltre 110 anni complessivi per 22 imputati del processo “Radici”. Lo riporta l’Ansa. Si tratta di un caso di presunte infiltrazioni mafiose, diffuse tra Imola e Cesenatico, passando per Ravenna e Cervia. Ieri si è tenuta l’udienza nel tribunale collegiale di Ravenna, con la requisitoria del pm Marco Forte durata oltre nove ore. Tra i testimoni c’era anche il sindaco di Cesenatico Matteo Gozzoli. Il processo riguarda l’ipotesi di un esteso meccanismo di riciclaggio di denaro, attraverso il controllo di alcuni locali della riviera romagnola da parte della camorra e della ‘ndrangheta. A questo scopo, i clan avrebbero acquisito diverse pasticcerie, ristoranti, alberghi e bar, quasi tutte storiche attività a conduzione familiare che versavano in difficoltà economiche. I fatti risalgono al periodo tra il 2018 al 2020 e riguarderebbero in tutto 34 persone, di cui 24 finite a processo. Secondo quanto riferisce l’Ansa, il tentativo di colonizzazione del territorio da parte della criminalità organizzata ricondurrebbe ad alcuni imprenditori vicini ai Piromalli, cosca della piana di Gioia Tauro, ma anche alle famiglie Piscopisani, Lo Bianco, Bonavota, Mancuso. Il principale imputato è Saverio Serra, considerato vicino al clan ‘ndranghetistico Mancuso di Limbadi e attualmente in carcere. Per lui il pm ha chiesto 15 anni e 11 mesi, mentre per Francesco Patamia, candidato alla Camera alle elezioni politiche per il collegio di Piacenza con la lista “Noi moderati”, la richiesta è stata di 13 anni. Tra gli imputati c’è anche Rocco Patamia, padre di Francesco, per cui sono stati chiesti 11 anni e 10 mesi. In tutto gli imputati a processo sono 24, ma per due di questi il pm ha chiesto l’assoluzione. Per acquisire i locali al fine di riciclare denaro, la criminalità organizzata avrebbe fatto ampio uso di minacce e ritorsioni, allo scopo di instaurare un clima di paura e omertà. Tra i casi oggetto del processo, sottolinea il Corriere di Romagna di oggi, ci sono le minacce ricevute dal 2019 da un imprenditore cervese che pretendeva la restituzione di alcuni macchinari da pasticceria rimasti in un laboratorio di via Levico, acquistato da Serra. Questa una delle frasi riportata dalla vittima, che secondo il Corriere, ha denunciato di avere anche ricevuto uno schiaffo: «Io piuttosto che ridarti indietro l’azienda te la brucio con la benzina. Se ti rivolgi a un avvocato sappi che ci saranno delle conseguenze sia per l’azienda, che ti puoi immaginare come te la posso restituire, che anche tue personali». Total0 0 0 0 Forse può interessarti... Condannato a 5 anni di carcere per spaccio, rintracciato e arrestato a Russi Educatore condannato a due anni per aver palpeggiato la collega assistente sociale Aggressioni fuori dalla discoteca: in 6 non potranno più andare all'Onyx per 2 anni Seguici su Telegram e resta aggiornato