Un anno in tribunale: la mafia c’è, l’infermiera non uccise, nessun favore a Cmc

La cronaca giudiziaria ravennate del 2017 è stata segnata principalmente da otto processi, alcuni arrivati a un verdetto e altri solo all’inizio della fase dibattimentale. Volti noti e persone comuni finiti di fronte alla giustizia

Ravenna 10/10/2017. FEMMINICIDIO GIULIA BALLESTRI. Iniziato Il Processo Che Vede Imputato Matteo Cagnoni Accusato Dell’ Omicidio Della Moflie Giuglia Ballestri.

Matteo Cagnoni al bagno degli imputati

Delitto Ballestri, il dermatologo dei vip alla sbarra
L’aula di corte d’assise del tribunale di Ravenna negli ultimi tre mesi dell’anno è diventata il teatro di uno dei processi per omicidio più esposti mediaticamente che si ricordino in città. La motivazione sta tutta nella figura dell’imputato: il 10 ottobre è cominciato il processo in cui è alla sbarra con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione il 52enne dermatologo Matteo Cagnoni, volto noto anche oltre le mura cittadine soprattutto grazie alle sue frequentazioni mondane dei salotti televisivi. Il medico è accusato (pm Cristina D’Aniello) di aver ucciso, accanendosi con un ramo di pino di 55 centrimetri, la moglie 39enne Giulia Ballestri con cui era sposato da dodici anni in cui hanno avuto tre figli. L’uomo continua a dichiararsi innocente sin dal giorno dell’arresto, il 19 settembre del 2016 a tre giorni dall’assassinio, e ha scelto il rito ordinario nonostante in molti ipotizzassero la strada dell’abbreviato per beneficiare di uno sconto di pena visti i gravi indizi a suo carico. Dopo la nona udienza del 22 dicembre e un elenco di testimoni ascoltati che supera i venti nomi (oltre duecento quelli ammessi), il processo ricomincerà il 19 gennaio per proseguire ogni venerdì: l’aula finora è sempre stata affollata di gente (oltre duecento persone), anche nei momenti più cruenti in cui sono state proiettate le immagini della scena del delitto e dell’ispezione cadaverica del medico legale. Il venerdì in corte d’assise sta diventando un appuntamento fisso per molta gente comune, curiosa di assistere al dibattimento.

Uccise la madre per nascondere i debiti, ergastolo anche in Appello
Cagnoni rischia l’ergastolo, chi invece ha visto confermato in appello il fine pena mai è Secondo Merendi. A fine novembre è arrivato il giudizio di secondo grado per il 57enne che il 14 aprile del 2015 strangolò la madre Maria Pia Rossini di 81 anni, due volte vedova: il figlio era tornato a vivere sotto al tetto materno a Barbiano di Cotignola dopo il divorzio. L’uomo usò la cintura di un accappatoio poi mise in disordine la casa per inscenare una rapina finita male dicendo di aver trovato il corpo privo di vita sul pavimento della cucina al rientro a casa in tarda mattinata. Il movente (pm Stefano Stargiotti) sarebbe stata la volontà di nascondere la realtà inconfessabile: l’uomo prelevava la pensione della donna con la scusa di pagare gli alimenti all’ex moglie e invece era schiavo delle slot machine. Maria Pia quella mattina aveva deciso di andare in banca per capire meglio cosa stava succedendo nei suoi conti correnti: avrebbe scoperto tutto e Secondo le è saltato addosso.

PoggialiL’ex infermiera Daniela Poggiali non uccise la paziente ma rubò ai parenti dei malati
Sempre dalla corte d’assise d’appello di Bologna è arrivato invece un clamoroso ribaltone di un altro processo per omicidio celebrato in primo grado (pm Angela Scorza) a Ravenna tra il 2015 e il 2016: nel luglio di quest’anno è stata assolta con formula piena, perché il fatto non sussiste, la 45enne Daniela Poggiali che era stata condannata all’ergastolo per aver ucciso (8 aprile 2014) con una iniezione di potassio una paziente dell’ospedale di Lugo dove lavorava come infermiera. La donna era in carcere dall’ottobre del 2014 ed è stata immediatamente scarcerata. L’ordine degli infermieri l’ha radiata dall’albo invece per le celebri due foto scattatele da una collega mentre stava in posa di scherno accanto a un’altra paziente da poco deceduta. Ora il destino della lughese, tornata con il fidanzato storico Luigi Conficconi, è appeso a due ricorsi: quello della procura generale in Cassazione che chiede l’annullamento dell’assoluzione e quello dei suoi legali che chiedono la riabilitazione professionale. In ottobre però è stata condannata in appello a 4 anni e 4 mesi per furti di denaro ai danni dei pazienti e dei loro parenti e di farmaci e materiale ospedaliero dal nosocomio di Lugo.

La mafia nella Bassa Romagna
Il quadro delle sentenze di particolare rilevanza pronunciate nel 2017 conta anche il verdetto arrivato a febbraio: a Bologna il tribunale ha stabilito che in Emilia-Romagna c’è la mafia e uno dei suoi esponenti più quotati viveva nella Bassa Romagna. Il riferimento è a Nicola Femia, detto Rocco: il 56enne si è preso ventisei anni e dieci mesi per associazione per delinquere di stampo mafioso. Per la prima volta una sentenza nella nostra Regione ha accolto la richiesta di 416 bis (pm Francesco Caleca). Il boss calabrese viveva tra Sant’Agata e Conselice, governando un impero che macinava soldi soprattutto attraverso la diffusione di slot e videolottery truccate. In totale il processo Black Monkey ha visto ventitrè condanne per 170 anni di carcere. Una settimana prima della sentenza Femia aveva deciso di fare il salto della barricata: ora è tra i collaboratori di giustizia.

47735Non furono rimborsi gonfiati in Regione
Poco prima di Natale invece si è chiuso l’iter processuale dell’inchiesta Spese Pazze: alla sbarra tredici ex consiglieri regionali del Pd, tra cui i ravennati Miro Fiammenghi e Mario Mazzotti, accusati di peculato per aver chiesto rimborsi di spese sostenute tra il 2010 e il 2011. Condannato solo il capogruppo e assolti gli altri dodici. La procura felsinea (pm Morena Plazzi) aveva chiesto l’assoluzione per il bagnacavallese e diciotto mesi per il cervese, al momento del rinvio a giudizio a dicembre del 2015 al primo vennero contestati 9mila euro e 15mila al secondo.

MerlatoVariante urbanistica a Porto Fuori: nessun favore a Cmc, nessun processo
Nella storia di Ravenna scritta dai tribunali nell’anno 2017 c’è anche un decreto di archiviazione di settembre che ha smontato un castello accusatorio importante contro la pubblica amministrazione per una delle partite più dibattute negli ultimi anni: le trasformazioni urbanistiche del territorio legate al progetto di approfondimento dei fondali del porto. Falso ideologico, falso per induzione e abuso d’ufficio erano i reati ipotizzati a vario titolo. Ma per quel cambio di destinazione d’uso, da agricolo a produttivo, di circa novanta ettari nelle campagne tra Ravenna e Porto Fuori non andranno a processo sei ex dirigenti pubblici di Comune, Provincia e Regione: secondo l’accusa, che aveva chiesto il rinvio a giudizio per cinque, la loro azione aveva indotto in errore gli enti per cui lavoravano favorendo la Cmc proprietaria di 56 ettari di quelle aree. Il giudice invece ha disposto il non luogo a procedere. Secondo la procura i sei pubblici ufficiali avevano aggiustato pareri e atti su misura facendo ricorso a studi mirati che avevano indotto in errore consiglio comunale, giunta provinciale e Ausl per arrivare a una variante del piano operativo comunale (Poc) che favorisse la cooperativa così da poterle consentire di stoccare sulle aree volumi di fanghi dragati dal canale Candiano e trasferire lì il bitumificio in darsena.

L’ex vicesindaco e la bancarotta
Con una pesante accusa di bancarotta, lo scorso marzo è cominciato il processo a Giuseppe Musca, immobiliarista ed esperto di finanza noto sullo scenario ravennate sin dagli anni Ottanta quando fu vicesindaco per i socialisti. Le accuse sono di bancarotta per i fallimenti di tre società, di cui avrebbe preso il controllo quando ancora erano già in condizioni critiche per poi svuotarle deliberatamente trasferendo altrove i beni e lasciando scatole vuote piene di debiti. Questa l’ipotesi accusatoria, respinta dall’imputato. Il processo è in corso (pm Monica Gargiulo e Lucrezia Ciriello). Agli anni Ottanta in cui era impegnato anche politicamente risalgono altri problemi con la giustizia da cui però Musca è uscito senza condanne, circostanza da lui stesso orgogliosamente rivendicata con un quotidiano locale in occasione di una delle poche interviste concesse nel tempo.

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