L’attesa è durata 38 anni, ma ora un tribunale ha stabilito chi ha ammazzato il 21enne Pier Paolo Minguzzi di Alfonsine. La corte d’assise d’appello di Bologna ha condannato all’ergastolo due uomini per l’omicidio dello studente universitario di Agraria e carabiniere di leva, terzo genito di una facoltosa famiglia di imprenditori dell’ortofrutta, trovato morto l’1 maggio 1987 a distanza di dieci giorni dal rapimento con la richiesta di 300 milioni di lire come riscatto. Assolto un terzo imputato. La procura generale aveva chiesto l’ergastolo per tutti, come fatto già in primo grado quando però arrivò l’assoluzione per tutti.
I condannati sono il 60enne Orazio Tasca di Gela e il 61enne Angelo Del Dotto di Ascoli Piceno, all’epoca dei fatti erano carabinieri in servizio alla stazione di Alfonsine. Assolto il 69enne Alfredo Tarroni di Alfonsine, idraulico del paese e amico stretto dei due condannati.
I giudici bolognesi – al termine di una camera di consiglio durata cento minuti nella quinta udienza che si è svolta oggi, 30 settembre 2025 – hanno quindi parzialmente ribaltato il verdetto di primo grado arrivato a Ravenna a giugno 2022: anche tre anni fa la richiesta dell’accusa era stata per il massimo della pena, ma arrivò l’assoluzione con formula piena per tutti.
La corte d’assise d’appello, presieduta da Domenico Stigliano (a latere Rossana Maria Oggioni) ha condannato i due ex militari per sequestro di persona e omicidio, prescritto invece il reato di occultamento di cadavere. I giudici hanno anche quantificato in via definitiva i risarcimenti per le parti civili: un milione di euro per la 92enne madre Rosanna Liverani, mezzo milione a testa per i fratelli Gian Carlo e Anna Maria, 30mila euro per Nuovo sindacato carabinieri e 30mila euro per il ministero della Difesa.
Vale la pena ricordare che per la drammatica vicenda nessuno era mai stato indagato fino al 2018, quando fu riaperto il fascicolo con un esposto dei familiari (nel 1996 la chiusura della prima indagine rimasta a carico di ignoti).
Minguzzi fu rapito nella notte fra il 20 e il 21 aprile del 1987: il giovane carabiniere era in licenza dalla caserma di Mesola (Ferrara) per le festività pasquali, era uscito con la fidanzata e non è mai tornato a casa. Secondo l’accusa fu ucciso poche ore dopo il rapimento perché riconobbe i sequestratori. Per i dieci giorni successivi i rapitori telefonarono una decina di volte ai familiari chiedendo 300 milioni di lire. L’1 maggio 1987 il corpo affiorò nelle acque ferraresi del Po di Volano legato a una grata divelta da un casolare poco distante che era stato il luogo di detenzione del 21enne.
I tre imputati Del Dotto, Tarroni e Tasca si sono sempre dichiarati innocenti, negando collegamenti con un’altra vicenda dai contorni molto simili che invece li vide protagonisti a luglio 1987: l’omicidio di un carabiniere che portò a tutti condanne ultraventennali (già scontate). I tre furono arrestati in flagranza a Taglio Corelli dopo una sparatoria in cui rimase ucciso il 23enne Sebastiano Vetrano (raggiunto da un colpo sparato da Del Dotto con un revolver di Tarroni). A bordo di una Fiat 127 bianca i tre andarono nei pressi di una casa colonica in via Reale per ritirare una borsa con 150 milioni di lire depositata da un altro imprenditore dell’ortofrutta, Roberto Contarini, che avevano minacciato al telefono chiedendo inizialmente 300 milioni per non fargli fare la stessa fine di Minguzzi.
Proprio dalla vicenda Contarini arriva l’elemento forse più importante a sostegno dell’accusa, la cosiddetta prova regina. Una perizia fonica – disposta dai giudici d’appello – ha appurato una forte corrispondenza tra la voce registrata del telefonista del caso Minguzzi e quella dell’imputato Tasca che era stato, per sua stessa ammissione, il telefonista del caso Contarini. Il perito fonico incaricato dai giudici di primo grado aveva invece escluso la corrispondenza fra le voci.