Quel Belpaese ancora tutto da inventare

Al Mar l’immagine dell’Italia dall’unità ai primi ‘900

Paesaggio Belpaese MarPare che la celebre frase «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani» non sia mai stata pronunciata da Massimo D’Azeglio – scrittore, uomo politico e patriota in prima linea nelle lotte risorgimentali – che con una certa diffidenza aveva visto sorgere l’unità italiana. La distanza critica del Primo Ministro del Regno sabaudo si basava sulla consapevolezza delle enormi differenze dei vari regni preunitari, riuniti forzosamente sotto l’egida piemontese.
Come altri intellettuali dell’epoca, egli avrebbe preferito una confederazione e a giudicare dalla realtà sociale e politica del tempo, le sue ragioni non erano così avventurose. Il giorno dopo alla proclamazione del Regno d’Italia, il paese aveva una stragrande maggioranza di analfabeti che parlavano dialetti diversi e vivevano in un paese profondamente agricolo, povero di risorse e di materie prime, quasi sfornito di strade e ferrovie. Nel 1861 l’utopia dell’identità nazionale gareggiava con una realtà parcellizzata e centrifuga.

Dipinto donna Belpaese MarLa nascita del Belpaese fu quindi un’invenzione a tavolino che si trovò a dover rielaborare in fretta simboli semplici e stabilizzanti, in grado di spingere un popolo straniero a se stesso a sentirsi “uno”. Sugli sforzi di ripensare una nazione inesistente e conquistata a fatica indaga la mostra recentemente aperta al Mar, a Ravenna, che sceglie numerosi tagli tematici quasi a riproporre la frammentarietà che perdura in modo evidente nel Belpaese dall’unità fino almeno agli inizi del ‘900 e si attenua in procinto della prima Guerra mondiale, quando il grande bagno di sangue cementò nel nazionalismo l’idea dello Stato.

La prima sezione della mostra curata da Claudio Spadoni si apre con un grande dipinto dell’olandese Tetar Van Elven, pittore di fiducia del sovrano sabaudo, specializzato in vedute fantastiche dal chiaro impianto romantico. La sua Veduta dei principali monumenti d’Italia (1858) sembra una dichiarazione programmatica dell’importanza del patrimonio culturale italiano in funzione unitaria. Sprovvista di elementi comuni sul piano reale, l’idea Italia viene mediata attraverso la visione tradizionale del Grand Tour che da due secoli garantiva continue migrazioni di stranieri al di qua delle Alpi. Il mare, il pino marittimo simbolo della veduta di Napoli, la serie dei più importanti monumenti artistici italiani ai bordi di una baia, la catena montuosa che unisce le montagne del Cadore al Vesuvio, forniscono un baedeker visivo per gli italiani appena nati.

Altrettanto importante diventa la cronaca risorgimentale organizzata attorno alle quasi mitiche figure di Garibaldi e dei suoi uomini nell’assedio di Roma o ai bersaglieri alla presa di Porta Pia. La volontà nel registrare gli eventi quasi in contemporanea di Cammarano, Lega e Buonamici si prolungano verso fine secolo nelle vedute eroiche di Vittorio Guaccimanni o nella creazione di mitologie quotidiane, come nella vivandiera orgogliosamente vestita del tricolore.

Aristocratici Belpaese MarSe per ricordare l’epopea risorgimentale si ondeggia fra un realismo scelto in funzione didascalica e l’idealizzazione figurativa tratta dalla tradizione classicista, nei decenni successivi si riprende la funzione della guida turistica organizzata dalle Alpi al mare, passando attraverso le grandi città italiane. A ciascuno il suo: il paesaggio del Piccio fissa le prealpi lombarde nel fremito dell’interpretazione romantica mentre Previati indaga le cime dell’arco alpino utilizzando le sperimentazioni del Divisionismo. È un’Italia varia e agricola, selvatica e povera, che entra nel vivo del paesaggio nostrano con due bellissime vedute del Borgo di Porta Adriana e della pineta di Ravenna eseguite rispettivamente da Telemaco Signorini (1875) e Luigi Bertelli (1890).

In questa sezione vale la pena segnalare quello che a buon titolo può essere definito una piacevole scoperta: a dispetto dell’attenzione del pubblico ricevuta in vita, il nome di Ippolito Caffi è stato riconsiderato solo negli ultimi decenni grazie alla rivalutazione di un colorismo raffinato, oscillante fra veduta romantica e luminismo realista, applicato alla vedute di Venezia, Genova e Roma e nelle descrizioni di celebrazioni ufficiali o di feste popolari.

Festa Belpaese MarSeguono in mostra le sezioni dei riti e dei costumi sociali, dei ritratti di famiglia, della vita nei campi: si tratta di opere che faticano a ricomporre un quadro unitario sia perché – come si diceva – ancora inesistente, sia perché frutto di proiezioni ideali o semplice accademismo. Passiamo così dall’intimità borghese di una lezione di piano del toscano Cecioni alle scenette di genere di gusto neosettecentesco di Mosé Bianchi, dal neoromanticismo scapigliato dei ragazzetti di Tranquillo Cremona al documentarismo veloce dei riti popolari di Michetti.

Qualche volta traspare una modernità attenta alle novità linguistiche d’Oltralpe, come nella fredda passeggiata di borghesi di Bonzagni (1910) che riprende il cromatismo furioso dei Fauves e Die Brücke, senza dimenticare le sagome indifferenti di Munch. Di contrasto, la documentazione fotografica esposta appare un po’ più vera, un po’ meno ideale: in essa compaiono anche alcune donne che però – a differenza di quanto viene presentato in molti dipinti, dove appaiono come soggetto preferito – non leggono, non scrivono, non meditano sugli scogli di Sorrento. Sono spesso lavoratrici avvolte da grandi fazzolettoni, ginecei attorno al capofamiglia o madri che giocano con i bambini in mezzo ad altre donne. La guerra in arrivo – esaltata dagli avanguardisti in mostra – le porterà fuori dalle case, nei posti di lavoro in città e finalmente nella storia.

Il Bel Paese. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi. Museo d’Arte della città di Ravenna. Aperta fino al 14 giugno. Orari di apertura: da martedì a giovedì 9-18; venerdì 9-21; sabato e domenica 9-19.

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