Porto, la missione del presidente Rossi: «Cominciare a scavare nell’estate 2018»

Archiviate le casse a mare, trattative per trovare le aree per i fanghi: «Gli espropri non sono la soluzione. Nuova collaborazione con Sapir»

Adesso c’è una nuova data da mettere in agenda nel futuro del porto di Ravenna: l’estate 2018. Sarà il momento in cui aprirà il cantiere per l’approfondimento dei fondali, a patto che nei prossimi dodici mesi non ci siano intoppi burocratici nel cammino delineato da Daniele Rossi, presidente dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico centro-settentrionale, nuova denominazione dell’Autorità portuale di Ravenna.

Cominciamo proprio da qui, dai fondali. L’ha annunciato alla prima uscita pubblica al convegno di Legacoop: si scaverà fino a 12,5 metri, una delle soluzioni che aveva proposto il precedente presidente Galliano Di Marco…
«Se la soluzione era già nel novero di quelle possibili vuol dire che già qualcun altro l’aveva valutata fattibile e questo per me è motivo di grande conforto. Non sono in cerca della novità ma mi interessa la fattibilità. Non dobbiamo partire da cosa vorremmo fare ma da cosa possiamo fare, non dobbiamo partire dalla misura della profondità che ci piacerebbe ma da quanto materiale possiamo gestire e in base a questo decidere la profondità. Per essere concreti la nostra situazione è questa: siamo in grado di gestire quattro milioni di metri cubi, di cui due a mare e due a terra. Con questi volumi possiamo arrivare a 12,50. Fine dei ragionamenti».

Su quali aree andranno i due milioni da sistemare a terra?
«Gli spazi ci sono, stiamo ragionando con i proprietari delle aree per trovare soluzioni diverse dagli espropri che non sono convinto siano la procedura più veloce e pragmatica. Ma la disponibilità di aree non è il problema maggiore, ce ne sono altri di carattere tecnico-ambientale».

Le tanto osteggiate casse di colmata a mare dentro le dighe sono archiviate?
«Non sono un’opzione prioritaria».

I progetti di cui si è parlato finora contavano in gran parte sulle aree che nei mappali sono denominate L1 e L2, tra Porto Fuori e il Candiano. Restano tra le soluzioni valide?
«L1 e L2 restano sul tavolo ma non sono le sole. Dovremo cercare di acquisire più disponibiltià possibile. Molto passa attraverso un rinnovato spirito di collaborazione con Sapir che diventa un attore fondamentale di questo processo. In inglese si direbbe che c’è un commitment di tutti gli enti coinvolti perché l’operazione sia fatta e sia fatta nel modo migliore. Dialoghiamo con il ministero ogni settimana. Quali sono le procedure più snelle conformi alle leggi che ci consentiranno di fare i lavori? Stiamo cercando la risposta a questa domanda. Una volta arrivati in fondo al processo amministrativo, posso garantire che ci sono molte aziende capaci di fare i lavori in tempi rapidi».

Quando cominceranno i lavori?
«Il mio obiettivo è riuscire a completare le procedure amministrative in un anno e quindi a primavera 2018 cominciare a parlare di procedure operative come bando di gara e contratto di assegnazione per arrivare all’apertura del cantiere nell’estate 2018. Sono tempistiche da prendere con la dovuta cautela perché può bastare un passaggio amministrativo in più per spostare l’orizzonte avanti di mesi».

Si farà l’impianto di trattamento dei fanghi, importante soprattutto per la futura manutenzione ordinaria?
«È strategico. Ho ricevuto indicazioni anche dal ministero per considerarla un’opzione prioritaria. Abbiamo già ricevuto diverse manifestazioni di interesse per la messa a disposizione di aree dove realizzarlo. I tempi, tutti da verificare, penso si aggirino sui due-tre anni a partire da oggi».

Al convegno Mareterra di Legacoop di dicembre il presidente di Sapir, l’avvocato Riccardo Sabadini, ha suggerito l’ipotesi di un porto dove convivano terminal diversi che non si fanno concorrenza perché ognuno specializzato. Le piace l’idea?
«Personalmente penso che sia una proposta intelligente e sarebbe strategicamente molto utile per il porto. Ma certamente come Autorità non faremo nulla che possa limitare in alcun modo la libertà economica di impresa degli operatori. Ci faremo parte attiva dei processi di razionalizzazione delle attività per rendere il porto sempre più competitivo. Un’offerta completa di servizi aumenta l’appeal dello scalo».

Oltre ai lavori di escavo, il porto quanto ha bisogno di migliorare le infrastrutture retroportuali?
«L’approfondimento dei fondali serve per agevolare l’entrata delle merci ma queste poi devono anche uscire e qui si presenta tutto un problema di logistica estremamente complesso. Soprattutto il nodo ferroviario è cruciale. Incontreremo alcuni operatori del settore, gestori di rete, per avviare una discussione e uno studio su tutto quello che è il sistema ferroviario. Attualmente dal porto alla stazione abbiamo settemila treni all’anno, numeri importanti».

Quindi più ferro che gomma?
«Il trasporto su gomma è vitale per il porto di Ravenna. Ma la prospettiva del futuro deve essere un sistema intermodale ferro-gomma: nella mia visione ci sono degli hub fuori dal porto che possono essere gli interporti di Bologna o Verona, raggiungibili via ferrovia, da dove partono i trasporti su gomma. Per questo dobbiamo creare le condizioni per sviluppare anche la direttrice verso Verona».

Nel 2017 aumenterà l’operatività della linea ferroviaria Rotterdam-Chengdu: 8mila km dall’Olanda alla Cina coperti in 15 giorni contro i 40 necessari via mare. In un contesto del genere la ferrovia è ancora un alleato o diventa un concorrente?
«Questa linea è in fase sperimentale e devono esserne verificate le reali potenzialità logistiche. Di sicuro oggi non è economica rispetto alle rotte marittime tradizionali. Noi comunque teniamo monitorato con attenzione il fenomeno, pronti a cogliere quelle opportunità che in ogni caso ne deriveranno in termini di hub logistici e portuali di transito».

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