Alla ricerca del desco perduto: come l’archeologia svela il cibo degli antichi

Intervista all’archeologa Giovanna Montevecchi sulle abitudini alimentari del passato

Qualcuno ipotizza che la piadina sia antichissima, addirittura un’invenzione culinaria degli etruschi poi adottata dai romani. Ma sono ipotesi di dubbio fondamento storico-scientifico. È invece probabile che la piadina, ormai famosissima ben oltre i confini della Romagna, come noi la conosciamo e abbondantemente consumiamo oggi, sia un’alimento che ha sì e no un secolo, altro che un millennio… La questione è curiosa e rimanda ad una domanda più vasta.
Ma cosa e come mangiavano gli antichi? Quali  fonti ci svelano qual era il desco degli antenati romani, ad esempio? A quanto pare ne sappiamo abbastanza, non solo grazie alle testimonianze scritte tramandate dai cronisti dell’epoca ma anche grazie alle ricerche sempre più approfondite della paletnologia e dell’archeologia e a studi molto sofisticati sui reperti ritrovati negli scavi stratigrafici.
Di queste avventurose  e intriganti indagini ce ne parla Giovanna Montevecchi. La studiosa ravennate, si occupa di ricerca archeologica sul campo, di archeologia preventiva e di Carte delle Potenzialità archeologiche urbane e territoriali. Collabora con enti e soprintendenze all’allestimento di musei e aree archeologiche, di mostre temporanee e di gipsoteche. Si interessa di temi legati alla cultura materiale romana, alla ritualità funeraria e alla residenzialità nel mondo romano e tardoantico: in particolare ha curato il volume Archeologia urbana a Ravenna. Lo scavo di via d’Azeglio, meglio noto come “Domus dei Tappeti di Pietra”, l’area archeologica gestita dalla Fondazione RavennAntica e aperta al pubblico nel cuore di Ravenna.
Giovanna ha recentemente divulgato le sue conoscenza a proposito di alimentazione del passato in una conferenza pubblica, promossa dalle fondazioni Ravenna Capitale e RavennAntica, intitolata proprio “La tavola degli antichi romani tra eccessi e frugalità”
Su quali fonti si basa la conoscenza dell’alimentazione e dei riti della tavola degli antichi romani?
Le fonti sono molteplici rispetto al bacino molto esteso della civiltà romana che va com’è noto, dalla penisola italiana al continente europeo, e dal bacino del Mediterraneo al Medio Oriente. Ci sono i testi di cronisti e scrittori dell’epoca e le raffigurazioni dei mosaici e degli affreschi. Ma molte informazioni emergono anche in campo archeologico, grazie ai reperti e a nuove tipologie di ricerche sul campo, nel terreno e fra gli strati degli scavi. le fonti storiche e archeologiche più ricche riguardano l’epoca repubblicana e poi quella imperiale e tardoantica che ci raccontano con abbondanza di particolari delle risorse alimentari, delle preparazioni gastronomiche e delle modalità conviviali Ma sono emerse testimonianze rilevanti anche sul cibo degli italici, partendo dalle origini dall’età del ferro, che evidenziano come per secoli le abitudini alimentare si sono fondate sulla pura necessità di procurarsi le materie prime per nutrirsi, che erano poche e scarse, determinando una civiltà della tavola piuttosto semplice e frugale che riguarda tutto quella civiltà. E vedremo che quello della frugalità è un tema che nel bene e nel male attraversa i secoli e arriva fino ai giorni nostri. C’è un arco di problematiche che ho affrontato studiando l’epoca romana, che vanno proprio dalla povertà dei consumi all’eccesso dispendioso di cibo. E che introduce naturalmente anche una diversificazione sociale della disponibilità e dell’approccio alimentare. Insomma si va dalle carestie alla mitica cena di Trimalcione. Però serve cautela perché anche le fonti scritte vanno trattate con cautela ed è necessario, per così dire, leggere i testi fra le righe.  Abbiamo una quantità eccellente di fonti ma dobbiamo interpretare chi scrive e perché lo scrive».
Ci fa qualche esempio?
«Nel periodo imperiale abbiamo la letteratura di Galeno, che collega strettamente l’alimentazione alla salute. Lui è un medico e imposta la sua disciplina al rapporto fra nutrimento e salubrità. Lo studio dell’antichità ci riporta spesso, anche in modo inaspettato, temi come questo, di grande attualità. Mi è piaciuto studiare Galeno proprio perché ci avvicina ai problemi che noi viviamo oggi. Galeno, fra l’altro, dice che l’alimentazione migliore era quello dei tempi più antichi e che per non ammalarsi e vivere bene bisognava tornare ad un’alimentazione prevalentemente vegetariana. Incredibilmente, il medico degli imperatori e dei patrizi, invita i suoi contemporanei al ritorno ad una sorta di dieta mediterranea. Pochi e semplici alimenti sani… »
Un ritorno alle radici del cibarsi…
«Le radici alimentari sono quelle degli italici, poi coi laziali  e la civiltà romana si espande e si evolve anche la cultura, oltreché intellettuale, pure del cibo. A Ravenna, ad esempio, che è stata sede della flotta militare romana erano  presenti diverse razze e culture. I militari e marinai assoldati da tutti gli angoli dell’impero portavano in città le loro tradizioni. Ravenna è sempre stata una città aperta al resto del mondo, c’era una grande varietà linguistica, di stili di vita, di religioni e di regimi alimentari. Insomma era uno straordinario crogiuolo di razze, di usi e costumi… e di cibi diversi».

Un affresco di natura morta a Pompei

Passiamo al valore delle fonti archeologiche.
«Fonti archeologiche importanti, ad esempio, per capire la vita quotidiana e quindi anche l’alimentazione degli abitanti del porto ravennate di Classe sono le steli funerarie ritrovate negli scavi. Più in generale, durante le indagini archeologiche possiamo contare sul supporto di specialisti come gli archeobotanici che prelevando campioni di terreno di strati degli scavi possono analizzare in laboratorio una serie di elementi organici, fra cui i pollini, che hanno la caratteristica di conservarsi per secoli. In questo modosi riescono ad individuare in diverse epoche storiche o contesti ambientali, come una domus o una necropoli o un edificio religioso, qual era la vegetazione dei dintorni. Da cui si può ragionevolmente dedurre cosa veniva coltivato o cosa si poteva raccogliere per nutrirsi. Poi ci sono gli archeozoologi che analizzano le ossa animali, individuando eventuali resti di animali che potevano far parte dei attività di allevamento e quindi poi di cibo. Nel senso di latte, formaggi, uova o carni… Così si può ipotizzare e ricostruire cosa e quanto si consumava dal punto di vista vegetale e animale in quell’epoca, nella quotidianità».
E le stoviglie o altri utensili che vengono ritrovati?
«Sono importantissimi per ricostruire come gli antichi disponevano la mensa, cucinavano e più in generale come movimetavano le derrate alimentari. Se prendiamo ad esempio il grande giacimento di informazione che deriva dagli scavi del porto di Classe, soprattuto per quanto riguarda l’età Teodoriciana, Bizantina e dell’Esarcato viene svelato molto sui commerci di quell’età. Le rotte verso oriente sono sempre le stesse da secoli ma oltre ai soldati ci sono gli scambi di materie prime molte delle quali alimentari. Ci sono le tipologie dei contenitori: dal vino all’olio alle granaglie fino al celebre garum».
E un alimento primario come il pane?
«Beh se parliamo di pane dobbiamo aprtire dal fatto che in origine i romani mangiavano una poltiglia di farina di farro, una specie di polenta chiamata puls, Poi intorno al III secolo si inizia a fare il pane di frumento. Ne parla anche Plinio. È la Sicilia all’epoca il granaio d’Italia, e poi la parte settentrionale dell’Africa, in particolare l’attuale Tunisia. Comunque dal secondo secolo a. c. anche in Romagna abbiamo una consistente attività agricola. Ne è testimonianza la centuriazione nei dintorni di Cesena, con i campi a maglie regolari, strade e canali per bonificare le coltivazioni, orti… A Ostia abbiamo molti reperti di mole per la produzione di farina che ci dicono quanto pane era prodotto all’epoca. E un affresco di Pompei ci mostra in modo molto vivido una bottega del pane con il fornaio e gli avventori.  Per  gli altri alimenti fondamentali della cosiddetta dieta mediterranea l’olio di oliva e il vino ad esempio dobbiamo far riferimento alla conquista romana della Grecia e di altri territori del Mediterraneo orientale. In ogni caso si usavano i grassi animali, non si conosceva il burro, ma solo lo strutto. Si mangiava poca carne di animali allevati, quasi solo il maiale. Il vino lo bevevano in pochi, era appannaggio delle classi agiate e comunque aveva originariamente una funzione sacrali. Ma uno degli alimenti tanto sacri quanto fondamentali nel sistema alimentare romano era il sale, soprattuo per le sue proprietà contro la putrefazione e per la conservazione dei cibi».
Torniamo all’alimentazione di tutti i giorni…
La dieta, in particolare delle gente comune, era molto frugale, prevalentemente vegetariana: latte formaggio, uova, poca carne, il miele, ortaggi però senza pomodori, patate e fagioli, ma con zucche, fave e ceci, lattughe e ortiche. Anche i più poveri avevano l’orto.  Nella fase di decadenza dell’impero arriva il rituale del convivo. Con banchetti fastosi legati ai liberti, agli arricchiti senza scrupoli, come scrive Svetonio, dove si ostentavano in quantità i piatti più strambi e raffinati, mischiando ogni genere di pietanze di terra e di mare, dolci e salati. Ma il convivum aveva anche un aspetto cerimoniale e sociale che implicava il concetto sacro di ospitalità. Va ricordato che chi fra i ricchi offriva un convivio donava comunque una sportula, una borsa con qualcosa da mangiare, anche a chi non era direttamente invitato al banchetto».

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