Lo chef per caso, ma con il Cappello. «I miei piatti? Golosi e “capibili”»

La storia del 29enne Mattia Terenzi, ragioniere, ora ai fornelli dell’Onda Blu, ristorante premiato dalla guida dell’Espresso. «Ho iniziato come lavapiatti in un fast food…»

Mattia TerenziVentinove anni, ragioniere, ex corridore di ciclismo. Di professione chef, in uno dei 13 ristoranti di tutta la Romagna a poter vantare (almeno) un Cappello nella guida dell’Espresso, seconda per prestigio solo alla Michelin. Chef (blasonato) per caso, quindi. Totalmente, o quasi, autodidatta.

«La mia è una storia strana – ci conferma al telefono Mattia Terenzi, ai fornelli del ristorante Onda Blu di San Mauro a Mare – ho corso per 17 anni a livello agonistico. Quando ho smesso con la bicicletta ho iniziato a lavorare come lavapiatti in un fast food vicino a casa (Terenzi è di Bellaria, ndr). Poi ho conosciuto quella che è diventata mia moglie, che è la figlia dei titolari dell’Onda Blu, dove ho iniziato a lavorare, sempre come lavapiatti».

Poi ne è diventato addirittura lo chef…
«Dopo due anni e da ormai quattro. Pian piano ho im- parato, soprattutto grazie a mio suocero (il titolare Maurizio Campedelli, ora su una sedia a rotelle a causa di un grave incidente stradale, ndr), anche lui una sorta di autodidatta, che dopo 30 anni di macelleria ha deciso di aprire un ristorante di pesce… Con lui sono stato giorno e notte nel locale ed è nata la passione».

Il cibo non era quindi già una sua passione?
«Andando in bicicletta non era proprio possibile. Ma forse c’era qualcosa di innato: i miei nonni hanno avuto una rosticceria-piadineria per 30 anni qui vicino…».

Non ce l’ha un maestro, quindi?
«Nei primi anni qui, all’Onda Blu, ho cercato di carpire più segreti possibile in cucina, poi dopo che sono diventato chef ho fatto un’unica esperienza di formazione: tre mesi da Crippa (Enrico, chef stellato ndr), dove ho imparato davvero tanto».

Per esempio?
«Ho lavorato molto sull’orto, le verdure, ma anche i fondi, i brodi e ho capito che sono tutti particolari che cambiano il piatto, che fanno la differenza».

E con il pesce, che è grande protagonista del vostro menù, che rapporto ha?
«In realtà non sono mai stato un grande amante del pesce, quindi ho cercato di farlo nei modi che mangerei io, che per forza di cose alla gente che già lo mangiava, il pesce, piace ancora di più. E l’ho imparato a cucinare direttamente sul “campo”. In menù proponiamo comunque anche piatti di carne e dallo scorso settembre abbiamo introdotto anche il piccione, che credo rappresenti un buon test per capire le qualità di un cuoco».

Rombo Forma RisottoC’è un piatto di cui va particolarmente orgoglioso?
«Il “rombo come un risotto” (nella foto qui a fianco, ndr), un risotto dove in realtà il riso non c’è. Al suo posto utilizzo le “corone” del rombo, che viene mantecato e di cui non butto via niente – il filetto lo uso per fare una “porchetta” per esempio – è un piatto a scarto zero. E che ha stupito piacevolmente critici importanti, che mi hanno detto che un piatto così non lo hanno mangiato neppure in uno stellato…».

Ecco: c’è l’ambizione di arrivare alla Stella Michelin?
«Al momento no, finché il locale sarà allestito in questo modo, con un centinaio di coperti, diventa complicato curare ogni singolo dettaglio per la Stella. Al momento ho messo le ambizioni da parte, il ristorante funziona bene così: a fine anno i conti devono tornare, i clienti sono abituati a mangiare il crudo, preferisco non sperimentare troppo. E poi ho un figlio di tre anni e mezzo che vedo poco, voglio dedicarmi anche alla famiglia…».

Ristoranate Onda BluCosa cerca nei suoi piatti?
«Sono uno di quelli che pensano che il piatto non deve avere tanti contrasti. Deve essere goloso, pratico e “capibile”. Certi piatti in altri ristoranti, invece, li posso capire solo io che sono un cuoco. Il cliente medio vuole invece sicurezza. E così da noi restano in menù grandi classici come il crudo stesso o lo spaghetto al gambero rosso. La qualità della nostra materia prima è fondamentale e spesso è sufficiente non “rovinarla” – cosa da non dare così per scontato nell’ambito della ristorazione – per fare un ottimo lavoro».

Da chef, sinceramente: ne vale la pena spendere 500 euro in una cena stellata?
«Sinceramente sì: è un’esperienza che “resta”, magari da fare una volta all’anno. Con lo chef giusto ne vale sicuramente la pena. Poi non sempre c’è bisogno di spendere così tanto, qui in Romagna per esempio abbiamo due geni come Agostini (del Piastrino di Pennabilli, ndr) e Gorini (dell’omonimo ristorante stellato di San Piero in Bagno, ndr), dove i prezzi sono alla portata di tutti».

È diventato chef anche per l’effetto tv?
«Sinceramente no: guardo Masterchef o simili per farmi due risate, ma non è quello il nostro lavoro. Lo chef sta in cucina, non in televisione. In molti guardando quei programmi pensano che basti mettere due cosine per bene nel piatto per diventare chef, invece ci sono ore e ore di lavoro, dietro».

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