Scarseggiano i locali ravennati nelle guide gastronomiche nazionali

Tavola RistoranteRavenna è “fortunata“: da decenni la stella Michelin non brilla più e quindi può apparire semplice migliorare…
La Maddalena di Marina di Ravenna se ne fregiò per tutti gli anni ’70 e le Tre Spade per oltre un quinquennio alla fine degli anni ‘80 (oggi lo chef di allora, Sivio Picari, è in cucina all’Osteria del Tempo Perso, sempre a Ravenna). Poi più nulla, se non l’ingresso ai limiti del nostro comune del grande Vincenzo Cammerucci già pluristellato altrove. Si può obiettare che l’invenzione delle stelle non sempre è indice di cuochi top, anche perchè brillano non per chi sta ai fornelli ma per i ristoranti, eppure sono un simbolo di qualità gastronomica, per quanto orientata soprattutto alla classicità, di un locale e di un territorio.

Senza voler ricreare graduatorie di zona e punteggi ­– anche perchè dalle maggiori 5 guide nazionali è arduo estrarre valori omogenei sommabili per una classifica “definitiva“ – ci limitiamo alla citazione quantitativa dei ristoranti del ravennate. Che è oggettivamente scarsa: nella celebre guida delle Osterie di Slow Food, Ravenna per la prima volta addirittura scompare e non sembra un errore. Forse la debolezza endemica della gastronomia ravennate si è troppo velocemente adeguata a standard quantitativi sufficienti ma senza una professionalità media di livello. Del resto la crisi economica dell’ultimo decennio e la storica assenza nel Paese di una formazione per la ristorazione moderna, non hanno contribuito a far nascere una rete di imprese di grande qualità.

Così auspichiamo che quella che ora di fatto si configura come un’area food cittadina (attorno a via Ponte Marino) si irrobustisca con l’apertura del Mercato Coperto e che si prenda coscienza che è necessaria una progettazione condivisa fra i tanti operatori di questa zona strategica per cittadini e turisti.
L’altra area importante, quella del litorale, appare sempre più soggetta alla variabilità delle politiche turistiche e di un’imprenditoria poco stabile, troppo legata alla stagionalità per consentire una cultura di innovazione continua innestata su basi professionali solide.
Il cosiddetto “forese” invece resta legato alla politica dei “prezzi bassi” per cui le famiglie si accontentano di una tradizione spesso tradita da materie prime non eccelse, in equilibrio fra conto da venti euro a testa e pancia piena.
Tuttavia, qualcosa si sta muovendo nell’area nord di Ravenna fra Sant’Alberto e la Romea – una delle più belle zone del Delta del Po ricca di materie prime uniche – con la riattivazione da parte di Leonardo Spadoni della mitica Cà del Pino e la nascita dell’Osteria Guiccioli a Mandriole guidata da Matteo Salbaroli, per riqualificare un’offerta che esprima, senza retorica, il meglio delle cucine di terra, di valle e di mare, attenta al “selvatico di pregio” e ai prodotti di aziende agricole e gastronomiche del territorio.

Guide RistorantiComunque sia, prendendo le principali guide italiane della ristorazione (Michelin, L’Espresso, Gambero Rosso, Identità Golose, Guida Touring) lo stato dell’arte della ristorazione ravennate è minimale: l’osteria L’Acciuga è l’unica citata in tutte e 5 le guide e siamo contenti che il pesce dell’Adriatico sia un’attrazione per i turisti e simbolo identitario, presentato con piatti “riconoscibili” ma sempre con una punta di innovazione. Una costante questa anche nel locale collegato all’Acciuga, Cabiria, che comunque propone anche carni e piatti vegetariani. Comunque altri tre locali citati da altrettante guide ­– CàMì, Osteria del Tempo Perso e Alexander ­– propongono carne, pesce e abbondanza di vegetali elaborati con pari dignità. I primi due sono caratterizzati da chef “stellati” come Vincenzo Cammerucci e Sivio Picari, il terzo dall’astro nascente Mattia Borroni, meritevole di una sua “stella“ fra i promettenti giovani cuochi italiani. Seguono il locale storico e più “antico” della città, quella trattoria al Gallo dove hanno gustato i nostri piatti celebri personaggi di passaggio in Romagna, mentre l’ormai affermato La Capannina, però ancora in progresso, offre una curatissima sequenza di piatti di pescato dell’Alto Adriatico.

Che fare per migliorare? Tanto per cominciare sarebbe bene rivedere i giudizi gastronomici: sembra che la rivoluzione della “cucina d’autore” di vent’anni fa, a cominciare dai piatti, sia stata una meteora senza conseguenze; sembra che la cultura dei menù debba ancora prendere piede con un approccio critico; sembra che i locali dove “si mangia” siano ancora solamente i ristoranti… Ma ne riparleremo.

 

Il “chi c’è“ dei ristoranti, fra stelle mancate e poche forchette e cappelli

Identità golose: Alexander, CàMì, L’Ac­ciu­­ga
L’Espresso: Alexander, Corte Cabiria, La Capannina, L’Acciuga, Osteria del Tempo Perso
Gambero Rosso: L’Acciuga, Cà de Ven
CàMì
Michelin: Al Gallo, Osteria del Tempo Perso, L’Acciuga, Il Boschetto, Flora
Touring: Alexander, Al Gallo, Cappello,
Osteria del Tempo Perso, L’Acciuga,
Ustarì di 2 Canton, La Capannina, CàMì
Osterie Slow Food: nessuna citazione

Graduatoria per citazioni
L’Acciuga (5), Alexander (3), CàMì (3),  Osteria del Tempo Perso (3), La Capannina (2), Al Gallo (2), Corte Cabiria (1), Il Boschetto (1), Flora (1), Ca’ de Ven (1), Cappello (1), Ustarì di 2 Canton (1)

Franco Chiarini, ravennate, è socio fondatore dell’associazione CheftoChef Emiliaromagnacuochi e coordinatore dei progetti Ravenna Food. Fa parte della delegazione ravennate dell’Accademia Italiana della Cucina ed è uno dei più importanti collezionisti italiani di menù storici e altre memorabilia d’epoca del mondo della gastronomia.

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