martedì
01 Luglio 2025
la collina

La necessità e le virtù del castagno

La storia secolare di un alimento che ha nutrito le popolazioni delle colline

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La coltivazione del castagno fu introdotta in Europa dai Romani: lo importarono dal Medio Oriente e lo diffusero in tutto il continente. In Italia, in particolare nell’Appennino tosco-emiliano e tosco-romagnolo, molti secoli più tardi, ebbe una grande espansione per opera della Contessa Matilde di Canossa (1046 – 1115) che, avendo molti terreni non idonei alla coltivazione agricola con l’aratro, pensò di utilizzarli per l’impianto di questi grandi alberi da frutto. Fu così che la disposizione delle piante in filari, che declinavano a fondovalle, prese il nome di “impianto matildico”.
La tradizione vuole anche che la contessa donasse piante di castagni ai poveri del tempo perché le mettessero a dimora e assicurassero alla popolazione presente e futura i frutti di questa pianta provvidenziale. E fu molto lungo il periodo in cui la gente delle colline univa castagne intere o spezzate a piatti di legumi per incrementarne il volume o sostituiva la farina di frumento, che non era di facile reperimento, con quella di castagne per preparare piatti di pasta, frittelle, focacce e torte.
La loro presenza nelle zuppe o nelle minestre era semplicemente la conseguenza del fatto che esse potevano essere raccolte liberamente e gratuitamente, per antica tradizione, lungo le stradicciole dei vari castagneti, mentre i legumi dovevano essere acquistati. Il grande utilizzo della castagna in tutte le zone montane d’Italia non derivava quindi da scelte enogastronomiche né da sapienza culinaria ma si faceva di necessità virtù: veniva cucinato e mangiato ciò che era disponibile.
Poi arrivarono gli anni Cinquanta e le cose cambiarono radicalmente: l’esodo dalla Montagna, combinato con nuove risorse alimentari, mise in crisi la castanicoltura che oggi è diventata un’attività economica molto marginale.
Delle originarie 300 varietà di Castagne e Marroni coltivate in Italia nel secolo scorso, ben poche sono quelle attualmente mantenute e accudite per le generazioni future. Un tempo era ccmune partire la domenica, famiglia al completo, per andare a praticare l’autoraccolta, semmai concordata con i proprietari dei boschi. Comune era anche che questi ultimi durante la settimana avessero già “bottinato” i frutti più belli per poi proporli in vendita proprio a quei gitanti smaniosi di fare una cospicua scorta per l’autunno e per l’inverno a venire.
Oggi, tutto ciò, non è più comune.
Oggi marroni e castagne, i nostri intendo, quelli delle colline Romagnole, sono diventati frutti ormai rari, quasi suggestivi, appannaggio di una ristretta cerchia di appassionati che continuano a cercare quelli “a chilometro 0”.
Oggi, i castagneti di casa soffrono l’abbandono. Perché? Certamente le cause sono molteplici.
Da un lato gli alti costi, sia in termini di manutenzione che di fatica (durante tutto l’anno bisogna ripulire il sottobosco e controllare le piante; per non parlare poi della raccolta che, benché aiutata da rastrelli e pertiche, fra l’altro dannosi per il sottobosco e per i rami, risulta lunga e complicata), sono stati, e sono tuttora, un grande deterrente per la coltura del castagno e hanno istigato i contadini verso altri impieghi della terra.
Poi, anche lo spopolamento delle colline ha contribuito a incentivare il disinteresse nei confronti di tanti castagneti che sono stati soffocati da piante infestanti e destinati a morte certa. Infine, e non da ultima, ragione dell’abbandono sta nella diffusione a macchia d’olio di due terribili parassiti fungini, il mal d’inchiostro e il cancro corticale che attaccano il tronco uccidendo vaste zone di castagneti; su queste terre poi, la permanenza dei funghi nel terreno, impedisce di sostituire le piante. Infine, recentemente, un terzo parassita, stavolta animale, la vespa cinese del castagno, ha peggiorato ulteriormente la situazione: depone le uova sui germogli e sulle foglie bloccando la produzione dei frutti e portando l’albero ad un veloce deperimento.
Detto ciò, ed essendo consapevoli che le castagne e i marroni possono non essere “di casa”, si sta velocemente avvicinando il periodo in cui li troveremo sui banchi della nostra frutta e verdura di fiducia, negli espositori del supermercato che frequentiamo abitualmente, in grandi ceste di vimini sulle bancarelle delle fiere autunnali. Si tratta di castagne o di marroni? Quando si parla dei bruni frutti ottobrini bisogna fare una netta distinzione: i marroni sono facilmente individuabili perché il frutto è completamente ovale, bombato su ogni lato.  Il marrone vive da solo nel riccio. Le castagne invece abitano “in condominio”, portandone i segni su almeno un lato che ne risulta completamente appiattito.
I marroni sono certamente i più pregiati sia perché la produzione è inferiore (uno per riccio) sia perché le dimensioni e il gusto battono di molto le piccole castagne. Tuttavia, quelli che arrivano ai banchi di vendita raramente sono i migliori: questi hanno già preso la via dell’industria dolciaria per venire dolcemente glassati, per diventare cioè i marròn glacè.  Fanno eccezione i marroni Igp, belli e buoni, la cui nobiltà fa però lievitare un prezzo già molto alto.

La ricetta: la pasta “fatta in casa” di castagne

Per questa pasta si impiega una miscela di farina di castagne e farina di frumento. Le percentuali delle due farine possono variare molto dando luogo a gusti diversi. Ecco di seguito un elenco di tre tipologie di miscela con i relativi gusti: farina di castagne 25%, farina di frumento tipo 0 75%: questa è una pasta dal leggero gusto di castagne. Più che pasta di castagne è meglio definirla alle castagne; farina di castagne 50%, farina di frumento tipo 0 50%: piatto questo dal sapore equilibrato; farina di castagne 75%, farina di frumento tipo 0 25%: con questo impasto si ottiene un bel sapore deciso; farina di castagne 100%: si ottiene una pasta dal sapore molto forte che ben si accosta a condimenti a base di cacciagione o formaggi. Ingredienti per quattro persone: 400 grammi di farina nella miscela desiderata secondo le indicazioni sopra riportate. 4 uova, sale marino integrale (nota: si può sostituire un uovo con dell’acqua. Questo è consigliabile soprattutto quando la pasta viene usata per tortelli e tortellini, perché in questi formati si chiude meglio di quella fatta con sole uova) Preparazione: fare un monte di farina con un buco al centro, porci all’interno le uova e un pizzico di sale. Ora impastare il tutto, prima con una forchetta e poi con le mani. Continuare fino a che l’impasto diventi omogeneo e molto elastico. È bene tenere presente che più si lavora la massa più questa risulterà elastica e quindi facile da spianare. A questo punto formare una palla e lasciare riposare circa un’oretta in un recipiente coperto, avvolta in un panno leggermente inumidito, per evitare che asciughi. Fatta a mano: questo impasto è di sua natura poco elastico e quindi tende a strapparsi, in special modo quando si gira. Pertanto occorre fare delle piccole sfoglie che devono essere continuamente infarinate ai due lati onde evitare che attacchino al matterello ed al piano di lavoro. Fatta a macchina: iniziare a passare una pallina di impasto tra i rulli lisci, ripiegare ciò che ne esce e ripetere questa operazione più volte. Si noterà che ai primi passaggi la sfoglia che ne risulta tende a spaccarsi ai bordi ma dopo un po’ le crepe verranno meno. A questo punto proseguire i passaggi con spessori della sfoglia sempre minori fino a giungere quello desiderato. Terminata la sfoglia tagliarla del nel formato preferito e lasciarla stesa su di un panno: secca in poche ore e può essere conservata. La cottura deve essere prolungata per dieci minuti circa.

La farina di castagne, come si ottiene e come viene conservata

La farina viene ottenuta sbriciolando con macine a pietra le castagne, dopo averle liberate preventivamente dalla loro buccia esterna e di ogni residuo di pecchia (la loro pellicina interna). La sbucciatura avveniva, ed avviene tuttora, dopo l’essiccamento: si collocano i frutti in un recipiente di legno (bigoncia), nel quale viene introdotto ripetutamente con forza un bastone (manfano) opportunamente armato con un terminale metallico ad una estremità.
Anche la conservazione della farina è un’operazione delicata: per preservare il prodotto dall’ossidazione e dall’aggressione degli insetti, questa viene pressata con forza entro un recipiente di legno in modo da eliminarne l’aria. E con così tanta forza che al momento dell’utilizzo è necessario staccarla a pezzi con uno scalpello, sminuzzarla e setacciarla.

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