A Montetiffi fra terra e fuoco, acqua e farina, le radici della piadina

Maurizio Camilletti e Rosella Reali restano gli unici eredi, nel borgo sulle colline cesenati, della creazione di teglie per la cottura di un cibo semplice ma dal sapore autentico

Maurizio Camilletti E Rossella Reali

Maurizio Camilletti e Rossella Reali con le loro teglie a Montetiffi

L’impresa di Maurizio Camilletti e Rosella Reali – ma anche la loro vita e passione, unica erede di una tradizione artigianale secolare – ruota attorno a due “dischi” ancestrali: uno di terracotta e uno di acqua e farina che sono il cuore del pane “povero” di Romagna.
Siamo a Montetiffi, minuscolo borgo sulle colline cesenati, un’altura circondata da due rami del torrente Uso, civilizzata da almeno due millenni, che vanta una venerabile abbazia benedettina e un ponte romanico ma, soprattutto, l’arte di ricavare dalla terra e plasmare un manufatto fondamentale – la teggia o testo, teglia nel linguaggio comune – per cuocere sul fuoco l’alimento essenziale che nutriva i contadini – la pida o pié o piada, amatissima in Romagna, e assai rinomata ormai oltre i confini regionali come “piadina romagnola”. Maurizio e Rosella per avere proseguito (e per certi versi innovato) questa tradizione sono stati anche premiati da Casa Artusi a Forlimpopoli, uno dei templi della gastronomia regionale italiana.

Maurizio ma da dove vieni e chi te l’ha fatto fare di mantenere in vita un’attività arcaica, apparentemente fuori dall’attualità?
«Sono orgogliosamente figlio di contadini anche se per diversi anni ho svolto un lavoro impiegatizio per campare. Il caso ha voluto che incontrassi, a Montetiffi, Pierino Piscaglia, lo zio di mia moglie Rosella Reali. Una famiglia che ha una storia artigianale locale legata alla fabbricazione di teglie di terracotta da almeno quattro generazioni, che a sua volta si fonda su una tradizione di lunga data, documentata, di ben cinquecento anni fa, molto diffusa in tutta la vallata. Gli ultimi che ancora negli ultimi decenni del ‘900 continuavano a portare avanti l’attività erano proprio due famiglie legate fra loro, i Reali e i Piscaglia. Quando mi sono unito a Rosella diciamo che ho sposato e tenuto in vita anche questa originaria tradizione. E Pierino mi ha insegnato i suoi segreti e il suo saper fare».

Teglie Di Montetiffi

Le teglie disposte ad asciugare prima di essere temprate in forno

Una tradizione che è diventata oltreché un innamoramento anche un lavoro.
«Certo, si tratta di un mestiere, con tutto l’onere e l’onore che questo comporta e che si deve svolgere proprio qui dove si trovano le materie prime, come facciamo ancora oggi. Raccogliamo argille multicolori, ancora reperibili, a cui aggiungiamo delle calciti che sono dei ciottoli macinati, e li impastiamo con l’acqua. Si tratta di argille particolarmente adatte, una volta lavorate, per resistere al fuoco. Vengono genericamente chiamate refrattarie, ma il termine più adatto secondo me è terre pirofile, cioè “amiche del fuoco”».

Ci racconti come le fabbricate?
«Una volta fatto l’impasto d’argilla e pietre macinate, poi viene modellato, uno a uno, con un tornio a pedale, a mano libera, in forma circolare, schiacciato nella base e con un orlo. Infine il disco viene fatto seccare e quindi temprato in un forno a legna. Cosi nasce quella che qui viene chiamata in dialetto “teggia” o anche testo, denominazione già più nota in altre parti della regione. Poi Giovanni Pascoli ha italianizzato il termine in teglia».

Visto che ha un utilizzo secolare cosa si cuoceva e ancora oggi si può cuocere sulla teggia?
«Penso che su questo disco di argilla venisse cotto quasi esclusivamente un pane povero, la pida, quella che oggi chiamiamo piada, alimento fondamentale per la sopravvivenza che veniva preparato con ingredienti essenziali solo nelle campagne, perché nelle città c’erano i forni e si poteva disporre di un pane più ricco e consistente, Nelle case contadine c’era il camino in cui si bruciavano i sarmenti e altre sterpaglie dei campi, dove si poggiava la teggia su un treppiede di ferro e sopra si cuoceva un pane non lievitato, povero, semplice. Ed era un rito quotidiano, la cottura ricordiamolo avveniva nell’aròla del camino, un tempo si trattava di uno spazio sacro, il più importante della casa».

Teglia Con Piaidna

La piada sul fornello con la piadina

E c’era sempre una teglia in casa.
«Certo, le teglie erano un utensile fondamentale ma rischiavano anche di danneggiarsi e pure crepare, spezzarsi. Così venivano riparate, con un preciso rammendo di fil di ferro che riuniva i lembi. Le teglie venivano conservate il più a lungo possibile perché quelle molto usate rilasciavano sempre più sapore alla piada».

Poi le abitudini e gli strumenti dell’abitare sono cambiati col passare del tempo…
«Nel Novecento al camino è subentrata la stufa economica con il ripiano di ghisa a cerchi concentrici, che poteva essere utilizzata sia con le teglie leggermente bombate sia con quelle a fondo piatto. Se la fabbricazione e il commercio delle teglie artigianali, per alcuni secoli, si è espansa in tutta la Romagna, attraverso una confraternita economica e organizzata, tra fine ‘800 inizi ‘900, la Becchi di Forlì, che fabbricava stufe, iniziò a produrre anche teglie in serie, caratterizzate da un bordo di ferro, ma che non avevano più nulla a che fare con il testo originale».

Teglia Con Pane

…e nel forno per cuocere il pane

Mi vuoi dire che solo a Montetiffi si producevano le teglie originali, quelle autentiche?
«No, non esageriamo, ad esempio nel secolo scorso c’era una produzione similare alla nostra dalle parti di Firenzuola, quasi in Toscana, anche se il commercio avveniva nelle valli romagnole sottostanti. Dico solo che la produzione di Montetiffi è la più antica e documentata. E dagli anni ‘90 siamo i depositari unici. Certo facciamo le teglie come ci è stato insegnato dai nostri “vecchi” ma poi le abbiamo adattate e attualizzate. Siccome non c’è quasi più il camino e neppure la stufa economica, così come numerose famiglie affamate, abbiamo cercato di capire come rendere oggi funzionale lo strumento inventato secoli fa. Si è ridotta la dimensione, il fondo è piatto e così la teglia può essere utilizzata molto bene anche su un fornello a gas o un forno elettrico di una cucina moderna. Per esempio, alcuni anni fa sperimentando il nostro manufatto abbiamo scoperto che la teglia, anche quella di diametro più grande, che così abbiamo recuperato, può avere un utilizzo fenomenale nel forno di casa, per preparare il pane vero e proprio, perfettamente, anche la pizza o la pagnotta pasquale, e così via. Quindi la teglia è versatile e notevole pure per la panificazione oltreché per la piadina romagnola. Spesso la porto in giro nelle fiere dove si tratta il pane fatto in casa e ha un suo apprezzamento. Anche perché, cosa c’è di più identitario del fare e mangiare un pane locale? Dentro c’è il territorio che viviamo, il nostro lavoro, le radici, i sentimenti…».

Ecco appunto, torniamo alla “nostra” piadina, cosa ne pensi del disciplinare che caratterizza la piadina che si definisce “originale” e protetta dalle imitazioni col marchio IGP?
«La prima cosa che mi viene da dire è che la piada – come diceva Pascoli – “è il pane che si fa da solo”. E penso che la piada autentica sia quella che ognuno fa da sé come gli pare.  In fondo è nata come pane da sfamare, quindi le materie prime sono quelle che ci sono in ogni dispensa: la farina più o meno grossolana che può essere di frumento o di mais, e se proprio vogliamo anche di fagioli o di ghiande, come accadeva nei deschi più poveri e poi l’acqua, un po’ di sale e quasi basta…».

Ma voi avete una vostra ricetta?
«La nostra ricetta utilizza grani locali da coltivazione biologica, macinati bene, un po’ di strutto – noi usiamo quello di mora romagnola –, o un filo d’olio, pochissimo sale dolce di Cervia, un pizzico di bicarbonato. La tiriamo un po’ spessa, perché se troppo sottile sulla teglia tende a seccare eccessivamente. In sostanza la qualità della teglia è nell’essere un piano refrattario che rilascia il calore lentamente ma d’altra parte assorbe l’umidità in eccesso perché è porosa. Per cuocerla bene la piada sulla teglia bisogna prenderci un po’ la mano. Ma il sapore e la fragranza, raggiunto il punto di cottura ideale, risulta inimitabile».

Maurizio E Rosella Premio Casa Artusi

Maurizio e Rosella con il premio “Marietta” di Casa Artusi

Quindi le altre piadine che si consumano oggi non sono proprio il massimo…
«Se ci limitiamo ai chioschi, molto diffusi in tutta la Romagna, diciamo che abbiamo ancora a che fare con una piada fresca, fatta a mano. Oltre questo genere di preparazione, possiamo anche chiamarla piadina artiginale, ma di fatto è una produzione seriale se non proprio industriale in una catena che va, automatica, dall’impasto alla confezione in busta. Capisco che c’era l’esigenza di tutelare una produzione di questo tipo in Romagna, per la Romagna. Ma voglio sottolineare che nel disciplinare IGP l’unica dote significativa che viene richiesta è che la sede del laboratorio o fabbrica alimentare sia sul territorio. Ma l’autenticità, a mio parere, non sta nei confini geografici. Le teglie di Montetiffi da sempre erano diffuse sotto Cattolica fino a Fano, dove hanno sempre fatto la loro buona piada, ma oggi paradossalmente non la possono chiamare “piadina romagnola” e fregiarsi del marchio di denominazione. Fammelo dire, se c’è un simbolo che unifica tutte le piade della Romagna e oltre è proprio la teglia di terracotta sul fuoco nel treppiede del camino, come rappresentato nella rivista “La Pié” fondata da Spallicci, e rimanda proprio alla tradizione di Montetiffi. Allora di cosa stiamo parlando se vogliamo essere fedeli alle radici profonde di questo alimento atavico»?

Vabbé, ma anche la piadina può essere un business o comunque un’impresa economica… A proposito quante teglie fate e dove vengono commercializzate?
«Siamo comunque una piccola azienda che fa i suoi prodotti “a mano”. Produciamo un migliaio di pezzi all’anno, in parte venduti qui a casa a Montetiffi, in parte nelle fiere e la maggioranza va a rivenditori, sparsi un po’ in tutte le città della Romagna».

E all’estero avete mai diffuso le vostre teglie?
«Certo, anche se si tratta di pochi pezzi, alla nostra teglia il giro del mondo glielo abbiamo fatto fare più di una volta, fino addirittura in Australia, grazie a italiani ma anche stranieri che gestiscono locali o chioschi di street food dove si smerciano piadine».

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