Lo chef anti-social con due stelle Michelin: «C’è un’etica in cucina»

Alberto Faccani (Magnolia) tra piatti storici, clienti-fotografi e progetti per il futuro: «Il rischio chiusure a settembre frena gli investimenti»

Faccani Magnolia Ristorante

Alberto Faccani

«Le vedo le persone a tavola che stanno lì a fare le foto al piatto e intanto quello si raffredda o si scioglie, ma una volta che il cliente l’ha comprato è una cosa sua». Il ravennate Alberto Faccani è chef stellato patron del Magnolia a Cesenatico, uno dei 36 ristoranti italiani con due stelle Michelin (unico in Romagna), e il food porn da smartphone gli lascia l’amaro in bocca. «È un po’ triste, però non posso mettermi a discutere. Devo fare bene il mio lavoro, voglio che la portata arrivi corretta a tavola e poi cosa fa il cliente è una decisione sua».

Quindi, chef, i social non la entusiasmano?
«Sono un po’ anti-social. Non li seguo e per il mio ristorante se ne occupa un’altra persona. Ma anche il telefono a volte mi pesa perché suona spesso: già ho ricevuto una chiamata sotto mentre stiamo facendo questa intervista, però fa parte del mio lavoro perché ho un’impresa».

È più facile cucinare nel proprio ristorante o essere assunti da qualcun altro?
«Se sei un dipendente hai meno responsabilità. Però se sei il proprietario puoi permetterti di fare delle scelte diverse, puoi decidere di ridurre un margine di guadagno perché vuoi avere un certo prodotto invece che un altro».

Usa solo prodotti locali?
«Non voglio che il km zero sia un obbligo. So di essere un ambasciatore del territorio e quindi la ricerca dei prodotti parte sempre dalla mia zona ma, ad esempio, non per forza l’olio nostrano è adatto per i miei piatti. Oppure se la qualità di un certo prodotto non mi soddisfa mi allontano un po’ alla volta fino a dove è necessario arrivare per trovare il livello che cerco».

Uovo Tropicale

Uovo Tropicale

Ha aperto il Magnolia nel 2003. Quali sono i piatti che hanno segnato quasi vent’anni?
«Il risotto Riviera Adriatica, l’uovo tropicale, il calamaro e carbonara: questi non si possono togliere dal menù».

Nel 2005 la prima stella e nel 2018 la seconda. La terza è un obiettivo che insegue?
«Per la terza bisognerebbe investire e in questo momento non ci sono le condizioni per farlo. Veniamo da un anno e mezzo difficile in cui abbiamo subito dei danni, i fatturati sono caduti. Tra cucina e sala ho un personale di 16 persone per 28 coperti: adesso l’obiettivo è salvaguardare l’azienda. Non so chi possa avere il coraggio di investire con il rischio che a settembre torni una chiusura».

La ristorazione è tornata a pieno regime con la consumazione anche al chiuso dall’1 giugno. Come sta andando la ripresa?
«Sono in una località di mare e posso dire che siamo abbastanza fortunati perché il clou dell’affluenza è in estate quando le limitazioni sono ridotte. Abbiamo perso il periodo di bassa stagione anche per via del coprifuoco e ora ci manca la clientela straniera. C’è una fetta di persone che viene dall’estero spostandosi da uno stellato all’altro, non è la prima volta che mi capita di avere a tavola un cliente di Boston che il giorno prima era a Firenze per cenare in un altro stellato».

La pandemia lascerà delle modifiche nell’approccio della clientela verso i ristoranti?
«Ho notato che si è alzato il livello delle scelte nel vino, forse perché la qualità media è diventata la prassi a casa durante il lockdown con gli ordini a domicilio e ora quando si esce si cerca qualcosa in più. E poi forse ci sarà l’inclinazione a stare all’aperto più possibile che non è il massimo per un locale come il mio che è su una strada trafficata e dà il meglio di sé all’interno».

Alberto Faccani MagnoliaIl suo percorso ai fornelli comincia tardi, a 23 anni, dopo aver lasciato Economia e Commercio a cui si era iscritto dopo Ragioneria. Come mai questa formazione lontana dalla cucina?
«La passione l’avevo da sempre ma trent’anni fa iscriversi all’alberghiero non era come farlo oggi, aveva la fama di scuola per chi non aveva voglia di studiare. Poi ho deciso di provarci perché avevo la passione e ho cominciato a leggere libri e fare prove».

Il diploma di ragioneria torna utile?
«Il ristorante è la mia impresa, so leggere un bilancio, ho colleghi che non sono capaci. Questo incide».

La figura del cuoco è cambiata dall’immagine che aveva quando non si iscrisse all’alberghiero. Quando è successo che il cuoco è diventato una figura così prestigiosa?
«Il punto di non ritorno è stato l’arrivo di Masterchef in tv. Da quel momento è cambiato tutto. E credo che ormai non sia più una bolla a rischio».

Chi sono stati i suoi maestri?
«Non l’ho mai conosciuto ma Gualtiero Marchesi è stato un riferimento per me. E poi i cuochi dei ristoranti dove ho lavorato, dalla Frasca a Enoteca Pinchiorri».

Si sente di essere stato maestro per qualcuno?
«A tutti quelli che passano dalla mia cucina cerco di lasciare il mio modo di vedere questo lavoro. Soprattutto di far capire che c’è un’etica in cucina: usare la pellicola per la pigrizia di abbassarsi a cercare il coperchio è uno spreco, quando si prepara una salsa bisogna passare bene il leccapentole perché altrimenti a fine anno vanno buttati dieci kg di salse. Non solo è un danno per il ristorante ma è uno spreco di prodotti alimentari che qualcuno ha coltivato e che tante persone nel mondo non possono permettersi».

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