Il Tavernello ha già vinto …ma la gente si fa ingannare dal brick

Tra i più venduti al mondo, il prodotto realizzato da Caviro rispetta anche l’ambiente e la tracciabilità della filiera. L’avversione nei suoi confronti è ingiusta

Vino TavernelloFra l’ubriacatura di tanti racconti sull’enologia credo valga la di pena fare una riflessione su uno dei vini più venduti nel mondo che nasce da un’idea tutta romagnola: il Tavernello. Un prodotto in grado, a quanto pare, di tirare fuori dai consumatori, allo stesso tempo, il peggio e il meglio dell’idea del vino.

Facciamo un passo indietro per comprendere dove vi voglio portare. Tutto nasce da un video di qualche settimana fa che ha attirato l’attenzione di molte persone, raggiungendo in poco tempo oltre le 110 mila visualizzazioni, tra l’altro ancora in crescita, sul noto social denominato “Tik Tok”. Nel video si assiste a una degustazione di due vini della linea Tavernello, il “White Gold” e il “Black Gold”. Nello specifico si tratta di uvaggio Pinot bianco e Famoso nel primo e Sangiovese e Merlot nel secondo. Non vi nascondo che questa degustazione l’ho fatta anch’io. Volevo capire la reazione della gente al vino in brik. Per il resto, visto il mio lavoro, anche una normale analisi di routine.

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La cosa interessante, ed è il motivo di questa puntata di “MOndovino”, non sono state le tante visualizzazioni né tanto meno i numerosi “mi piace”, ma i commenti. Questi ultimi sono lo specchio di cosa realmente la gente pensi del Tavernello e attraverso le opinioni si nota l’avversione, a mio modo di vedere ingiusta, nei confronti di questo prodotto. Dagli stessi commenti, al netto degli insulti da me ricevuti nel vortice dei post, si notano anche le perplessità e le incertezze nei confronti di un vino confezionato in siffatto modo. Eppure stiamo parlando di un vino tra i più venduti al mondo.

È prodotto dalla faentina “Caviro” che ha consorziato in 35 anni di attività decine di cantine e viticoltori in tutta Italia, Emilia-Romagna in primis. Dai commenti, si nota che molti lo percepiscono come un “vino in bustina”, pieno di solfiti, lo hanno definito un “vino chimico” poco sano, “un vino da barboni” e qui mi fermo perché ci sono stati improperi oltre il limite della decenza.
Mi sono chiesto, però, dove possa essere l’inghippo, visto che rimane sempre un vino fra i più scelti dai consumatori. L’errore di percezione forse è proprio, paradossalmente, il motivo del suo successo: l’involucro. Ho fatto altre prove mettendo lo stesso Tavernello in una bottiglia di vetro ottenendo un maggiore apprezzamento rispetto allo stesso servito poco prima dal brik. Tra le varie bottiglie i degustatori non hanno riconosciuto che era lo stesso vino e lo hanno analizzato come semplice anche se poco attraente, mentre quello in brik bocciato a prescindere. Ho notato, cosa strana, anche una certa frustrazione da parte di coloro i quali hanno lasciato commenti positivi: “Non è male, lo bevo perché non posso permettermi altro”; “meglio del vino in bottiglia da due euro”. Se per molti è scandaloso bere Tavernello, per altri, pare, sia rassegnazione.

Vi chiedo: è più scandaloso pagare un litro di Tavernello a circa 1,5 euro o un vino in una bottiglia di vetro da 2,5 euro? Va da sé che se una persona vuole un vino con particolarità distintive, sempre alla bottiglia occorrerà rivolgersi e soprattutto servirà mirare a etichette con un costo intorno a una decina di euro.
Gli inventori del Tavernello hanno fatto, a mio modo di vedere, qualcosa di geniale. Prima hanno sdoganato un contenitore insolito per il vino, eliminando così i costi legati al vetro, e si sono concentrati sul prodotto: un vino semplice con minime peculiarità ma piacevole nell’immediato e soprattutto senza difetti. Questa mossa iniziale li ha portati nel giro di poco tempo a essere tra i più venduti per via del rapporto qualità/prezzo e della facilità di utilizzo. La seconda strategia adottata nel tempo è stata di dare al brik un tratto elegante in modo da attirare l’attenzione e trasmettere qualcosa d’importante al consumatore. Perlomeno, la sensazione di non mettere a tavola un cartone con del liquido. Infine, con l’inserimento, nel tempo, di nuove linee, hanno creato la peculiarità distinguendosi dalla concorrenza, aumentando la percezione d’importanza e soddisfando allo stesso tempo il desiderio di novità della clientela già acquisita.

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Non volete chiamarli geni? Oggi trovate la linea “classico” che rappresentano i primordi, ovvero il Tavernello usato sia a tavola sia in cucina come molti vantano; la linea bio, la “Gold”, i “senza solfiti”, i bag e infine, guarda caso, anche le bottiglie in vetro. Ogni linea ha una sua caratteristica e un prezzo sempre abbordabile.

A questo punto, a fare eco a una degustazione sincera anche una riflessione onesta per confutare alcune perplessità. Innanzitutto il Tavernello è fatto con l’uva e l’uso di chimica da molti lagnata sarà esattamente quella consentita per legge come accade in tutte le cantine che seguono precise regole di vinificazione. Pochi sanno, a onor del vero, che fin dall’inizio la produzione di Tavernello ha abbracciato le idee di rispetto per l’ambiente e la tracciabilità di filiera. Inoltre ha fatto qualcosa sfuggito a molti. Ha messo in condizione tanti diversi vignaioli senza cantina di lavorare continuando a prendersi cura della propria terra. Ha dato dignità a tanti piccoli viticoltori senza voce, ora guardiani di un vigneto che rappresenta il patrimonio del “nostro” territorio, in Romagna e in tutte le altre regioni che producono uve per Tavernello.
E quindi, visto tutto questo non mi resta che concludere esattamente come ho chiuso la video degustazione su Tik Tok: “…il Tavernello oggi ha vinto”.

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Tanta Romagna al Vinitaly di Verona

Il Tavernello (insieme agli altri brand del Gruppo Caviro) era presente anche alla 54esima edizione del Vinitaly di Verona, l’evento internazionale più importante dedicato al mondo dell’enologia, tornato dopo due anni di stop a causa della pandemia.
In generale, i vini dell’Emilia-Romagna sono sati protagonisti, con oltre 120 aziende produttrici e tutti i consorzi, nei 2mila500 metri quadrati del padiglione, gestito dall’Enoteca regionale dell’Emilia- Romagna. I vini in degustazione rappresentavano tutte le 19 Doc, due Docg e 9 Igt dell’Emilia-Romagna, tra le prime regioni italiane nella produzione di vino, con un volume d’affari che si aggira attorno ai 490 milioni di euro per le Denominazioni d’origine e le Indicazioni geografiche e volumi ben più ampi per tutta la produzione regionale.
Tra i protagonisti all’interno del Padiglione anche il Consorzio Vini di Romagna con 22 aziende socie: Branchini e Assirelli Cantina da Vittorio, entrambe di Dozza; La Sabbiona e Spinetta, entrambe di Faenza; Tenuta Uccellina di Russi; Villa Papiano di Modigliana; Poggio della Dogana di Terra del Sole; La Collina del Tesoro di Forlì; Fattoria Nicolucci di Predappio; Piccolo Brunelli di Galeata; Bissoni, Celli, Fattoria Paradiso, Giovanna Madonia, Tenuta La Viola, Tenuta Villa Trentola, tutte di Bertinoro; Galassi Maria di Paderno di Cesena; Cantina Sociale di Cesena, Domini Glicine, Zavalloni, tutte di Cesena; Cantina Braschi e Tenuta Casali, entrambe di Mercato Saraceno.

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