Tutta la bellezza, e la bontà, dei bovini della razza Romagnola al pascolo

A tu per tu con Laura Cenni, che assieme alle figlie Fabiana e Angelica, alleva sulle colline
di Riolo Terme oltre cento capi di questa antica genìa di maestosi animali dalla carne eccellente

Bovini Razza Romagnola Pascolo Riolo

Bovini di Razza Romagnola dell’allevamento di Laura Cenni al pascolo sulle colline di Riolo Terme

A vederle pascolare sono creature splendide, imponenti e maestose con la loro livrea bainca spolverata di grigio. Peccato che questi capi di bestiame di Razza Romagnola siano anche buoni non solo di carattere ma anche per la gola, visto che sono considerati fonti di cibo particolarmente gustosa e nutriente per gli umani. Nella sua azienda di Riolo Terme Laura Cenni ha speso una vita ad allevare con grande cura e rispetto questi pregevoli bovini, che li fa crescere e riprodurre con amorevole dedizione. Con lei parliamo di zootecnia di qualità e della promo­zione di questa storica razza di valore ma ancora poco conosciuta, per cui continua a impegnarsi.

Laura da dove viene la sua competenza e passione di allevatrice di bovini?
«Ho iniziato con mio babbo che rilevò questa azienda agricola a Riolo Terme nei prima anni Settanta. C’era una stalla con 38 mucche Brune Alpine, che fu presto riconvertita con una allevamento di bovini di Razza Romagnola. All’epoca era quasi naturale scegliere quel tipo di bestiame che era quasi predominate. Pensi che negli anni ’50 si allevavano 500mila capi di Romagnola, mentre oggi siamo sotto le 10mila untità…».

Nel giro di mezzo secolo c’è stato un progressivo abbandono degli allevamenti…
«Non c’era azienda agricola che non avesse una stalla con un po’ di bestiame, che integrava il reddito delle coltivazioni. Poi l’attività zootecnica ha preso un’altra strada, verso lo sfruttamento intensivo e così le stalle diffuse si sono via via estinte… e con queste si è assottigliata di molto anche la presenza della tipologia Romagnola».

Che origine ha questa razza?
«Molto antica, deriva dai bovini euroasiatici di ceppo podolico. Sembra che il suo insediamento nelle pianure emiliano-romagnole risalga al IV secolo, a seguito delle popolazioni barbariche. Ha trovato un habitat favorevole, si è ambientata bene e si è evoluta fino ad oggi».

E che funzioni svolgeva in ambito agricolo?
«Non è una razza da latte, storicamente è stata utilizzata per il lavoro nei campi e per la sua carne. Come animale ausiliario sopravvive fino al primo dopoguerra, dopo è allevata esclusivamente per la produzione alimentare. Oggi si trova in poco più di 260 allevamenti nelle provincie di Bologna, Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna, Pesaro e anche po’ Firenze. In tutto si tratta di poco più di 9mila capi, ma appena quindici anni fa erano più di 14mila. Attualmente la razza è ai minimi storici».

Laura Cenni, Fabiana, Angelica Allevatrici Bovini

Laura Cenni con le figlie Fabiana e Angelica nel loro allevamento

 

E come mai la Romagnola è considerata di pregio per le sue carni?
«Innanzitutto perché si tratta di animali da pascolo, che si adattano bene a vivere periodicamente allo stato brado. In particolare nei territori di collina, dove possono brucare l’erba per cinque, sei mesi all’anno – fra i primi di maggio e fine ottobre – su terreni molto congeniali alla loro alimentazione. Questo tipo di vita contribuisce a conferire una certa qualità alle loro carni. Parliamo di una bassa percentuale di grassi e di un alto contenuto di proteine, oltre ad altre ottime caratteristiche organolettiche che danno sapore. Oltre al pascolo, e nel periodo invernale, quando c’è il rientro in stalla, contano anche altri metodi di alimentazione, per così dire “tradizionali”, con l’uso di foraggio e cereali come orzo, mais, avena e favino che producia­mo e maciniamo in mulino, direttamente nella nostra azienda. Pascolo, alimentazione naturale, contatto con la natura, contribuiscono alla bontà della carne che è di un colore rosso vivo con una equilibrata marezzatura. Anche se servono 18-20 giorni di frollatura prima del consumo».

Qual è il ciclo di produzione del vostro allevamento?
«Oltre la cura e il mantenimento della salute degli animali adulti, l’attenzione del nostro lavoro è concentrata sulla riproduzione, la nascita, lo svezzamento e la crescita dei vitelli. Abbiamo fra i cento e i 110 capi allevati a ciclo chiuso, dalla nascita fino alla vendita di quello che potremo definire in ambito zootecnico un “prodotto finito”. Una parte dei capi è destinata alla riproduzione, fra manze e torelli, la rimanente è indirizzata alla produzione di carne. In tutta sincerità, so che fa parte del mio lavoro, ma ci metto un mese a elaborare il lutto per ogni animale che se ne va in quel modo».

Parliamo più da vicino della sua impresa, in quanti ci lavorate?
«Nella stalla, a fianco dei bovini, lavoriamo principalmente io e le mie due figlie: Fabiana, che è laureata in scienze della riproduzione animale, e Angelica, che sta studiando all’università economia e marketing del settore agroindustriale. Ma non manca l’aiuto di mio marito. Si tratta fondamentalmente di un’impresa a conduzione familiare».

Quanto tempo di vita devono avere gli animali prima di essere venduti?
«Innanzitutto si deve seguire un disciplinare Igp che prevede controlli e verifiche sull’intera filiera, della crescita all’alimentazione, allo stato di salute dell’animale. La Romagnola, as­sieme alla Chianina e Marchigiana, sono le tre uniche carni fresche bovine italiane che hanno il marchio di Indicazione di origine protetta. Per la produzione della carne noi vendiamo i capi vivi entro i 24 mesi di età».

Chi si occupa della commercializzazione” di questi bovini?
«Se ne occupa il Consorzio di tutela del vitellone bianco dell’Appennino centrale, che garantisce l’autenticità dei prodotti delle razze bovine italiane da carne. Purtroppo devo sot­tolineare che in questo ambito di tutela e promozione la razza Romagnola ancora oggi fatica ad ottenere una giusta valorizzazione, se pensiamo ad esempio a quanto sia più nota e diffusa la Chianina, tipicamente toscana. E sto parlando anche di valore di mercato, quando, invece, per la qualità della carne la Romagnola non ha nulla da invidiare rispetto ai bovini toscani e marchigiani. Sicuramente sul piano della promozione è ancora “la cenerentola” delle tre razze, e lo dice già il fatto che è quella con il minor numero di capi. Nononostante questa sottovaluta­zione, non possiamo abbandonarla. Noi continuiamo ad essere orgogliosi di proseguire nell’allevamento di una razza storica che porta il nome del nostro territorio, e continueremo a lavorare per un suo pieno riconoscimento. Questo servirebbe anche per sviluppare la zootecnia locale, coinvolgendo anche le nuove generazioni per un ritorno al lavoro dell’allevamento di qualità».

Chi sono i vostri principali clienti?
«Per i capi da riproduzione sono altri allevatori del territorio e c’è richiesta di torelli e manze anche da aziende del meridione d’Italia. Mentre un certo numero di potenziali torelli vengono “ritirati” dall’Associazione italiana degli allevatori di bovini da carne. Si tratta di vitelli che vengono selezionati, esaminati periodicamente e fatti crescere sotto osservazione da esperti che se lo ritengono idoneo possono essere messi all’asta come animali da riproduzione. All’ultima asta su nove ne sono stati venduti cinque».

E per quanto riguarda la carne?
«Di negozi di macelleria specializzati in carne di razza Romagnola ne restano ben pochi. Ci sono alcuni contratti con la grande distribuzione, per cui in alcuni supermercati si può acquistare la nostra carne di qualità. Di questo tipo di commercializzazione si occupa il consorzio BovinItaly, che però segue le tendenze di mercato che continuano a premiare le altre razze a dispetto di quella Romagnola. Noi romagnoli non siamo molto ferrati nel marketing… Sulla promozione abbiamo ancora tanto da fare».

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