martedì
26 Agosto 2025

Assembramenti nelle strade della movida: si pensa a steward e accessi controllati

Il sindaco di Cervia in perlustrazione nel primo sabato con i locali aperti dopo il lockdown: «Regole rispettate all’interno ma non nelle vie e nelle piazze»

Movida Caserta Rissa«Il vero problema sono gli assembramenti casuali per i viali e nelle piazze; ma questi dipendono dal buon senso dei cittadini. Stiamo valutando ulteriori misure restrittive con accessi controllati e con la presenza di steward e valutando come misura estrema la possibilità di modifica degli orari». Il sindaco di Cervia, Massimo Medri, è pronto a introdurre restrizioni per contrastare gli eccessi della movida di Milano Marittima.

Il primo cittadino è stato in perlustrazione nelle zone più gettonate del divertimento ieri sera, il primo sabato con i locali aperti dopo il lockdown: «Ho monitorato la situazione ora dopo ora, accompagnato dalle forze dell’ordine e dalla polizia locale. La situazione all’interno dei locali rispettava i Dpcm e le norme attualmente in vigore. Gli esercenti più volte in mia presenza hanno scoraggiato gli assembramenti in strada, chiesto alle persone di indossare le mascherine e tenere il metro di distanza anche fuori dai locali». Tentativi che non sempre hanno sortito effetto.

Medri chiede a tutti i cittadini e ai turisti di rispettare le norme di distanziamento sociale, anche fuori dai locali pubblici e non solo all’interno: «Ricordo quanto sia indispensabile rispettare tali norme per l’intera comunità, una nuova chiusura proprio ora che ci apprestiamo ad avviare la stagione turistica, sarebbe drammatica per la nostra città. Spero nel buon senso di tutti, nei prossimi giorni comunicheremo nuove decisioni in tal senso».

Spadhausen: «Con wireless e fibra abbiamo colmato il divario digitale del forese»

Elia Spadoni, amministratore dell’azienda Spadhausen, racconta la pionieristica realizzazione di connessioni internet, ora più che mai fondamentali sul territorio

Elia Spadoni ha avviato la Spadhausen nel 2008 come azienda ravennate di consulenza informatica mettendo in campo la sua esperienza di tecnico e sistemista del settore. Dal 2011 Spadhausen si è indirizzata su di una nuova strada, dopo avere ottenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico una li- cenza come operatore, in grado di fornire connettività internet a terzi, privati o imprese. Un servizio questo che si è rivelato sempre più importante e indispensabile, soprattutto alla luce del massiccio e straordinario utilizzo del web in questa fase emergenziale di isolamento sociale e lavorativo.

Spadoni, com’è cominciata la sua avventura imprenditoriale?
«Tutto è nato dal forese ravennate, dato che io risiedevo a Mezzano, e in prima persona avevo riscontrato un grave problema di connettività con il web; un problema che mi affliggeva come cittadino e professionista. Così, ho iniziato a realizzare una rete sul territorio extraurbano, laddove la connettività era scarsa o del tutto assente, partendo dalla tecnologia wireless. Allora questo era un sistema nato da pochi anni e poco sviluppato per quel tipo esigenze; aveva ancora una funzionalità sperimentale e tutta da verificare».

Però siete riusciti a raggiungere l’obiettivo…
«Su questo versante siamo stati davvero un po’ pionieri, installando impianti wireless per la copertura di due piccole frazioni del ravennate, Traversara e Boncellino. Siamo riusciti così a collegare in rete una serie di abitazioni che erano completamente scoperte sul fronte delle connessioni internet. Da lì, anno dopo anno, studiando e sviluppando questa tecnologia “senza fili”, abbiamo coperto altre zone, sempre cercando migliorare il nostro sistema di trasmissione radio, fatto di tralicci e antenne installate nel territorio. Abbiamo così iniziato a colmare il divario digitale delle località, per così dire “dimenticate” o ”abbandonate”, con un servizio abbastanza performante, simile a quello proposto nelle aree urbane dalle grandi compagnie nazionali del settore. Poi, tre anni fa, abbiamo compiuto un ulteriore salto di qualità, studiando, progettando e realizzando le prima infrastrutture in fibra ottica, passando così ad una rete che era, ed è tutt’oggi, la più avanzata per risolvere in modo ottimale la connettività dei nuclei residenziali sparsi nel nostro territorio. Anche in questo caso abbiamo iniziato a installare reti in fibra partendo da quelle zone in cui le grandi aziende del settore non avevano vantaggi a intraprendere investimenti di questo genere, portando così una connessione internet altamente efficiente a famiglie e imprese dell’abitato di Mezzano».

A che punto è l’impresa?
«È stato un grande passo per una piccola azienda, portato avanti da una squadra che, posso affermare, altamente competente, capace di realizzare – fra permessi di escavo, posa di cavi, centraline ed altro – un sistema infrastrutturale che solo importanti aziende del settore avreb- bero potuto permettersi di fare. Negli ultimi tre anni abbiamo coperto a tappeto tante piccole frazioni del circondario ravennate: Mezzano, Piangipane, Camerlona, Roncalceci, Sant’Alberto, Casal Borsetti, Porto Corsini… che messe assieme ospitano già una parte importante della popolazione del Comune».

Oggi la connessione internet è diventata fondamentale, non solo per i servizi e il tempo, ma anche per lo smart working, la didattica scolastica…
«Ci tengo a precisare che prima del lockdown la curva del traffico rilevata dai nostri sistemi era come un’onda che, fino al pomeriggio, cresceva in modo stabile, occupata solo dalle aziende; poi, in serata, cresceva con un picco notevole, dovuto all’utilizzo dei privati dopo cena. Nel periodo dell’emergenza ci siamo invece trovati nella situazione che già al mattino il traffico raggiungeva lo stesso picco serale del passato – un carico notevole e continuativo di tutta la rete per l’intera giornata fino a tarda notte».

La vostra rete ha retto a questa sollecitazione? Avete avuto dei problemi?
«Non più di tanto; anche perché, all’inizio di marzo, prima dello scoppio dell’emergenza, avevamo provveduto a operare delle espansioni di capacità della rete, in vista di nuove infrastrutturazioni che eravamo in procinto di attivare a Savarna e Sant’Antonio. Abbiamo verificato che la fibra ottica, se portata direttamente a casa degli utenti, può gestire senza problemi anche picchi così importanti di traffico, operando fra i 100 e i 300 megabit, mentre la rete radio è sicuramente meno performante sul piano della velocità, anche se è riuscita in gran parte dei casi a reggere il colpo. Quello che è cambiato con l’interattività del lavoro e della didattica a casa, è che serve una certa capacità e velocita non solo nello scaricare dati, cioè in download, ma anche nell’immettere dati in rete, cioè in upload. E a consentire la massima efficienza per queste funzioni integrate è oggi la fibra ottica».

Quindi la fibra è il sistema del prossimo futuro, di cui non possiamo fare a meno?
«Sì, certo, ma deve essere fibra “vera” quella che entra dentro le abitazioni. Ci sono tuttavia delle situazioni territoriali, come le case sparse, dove l’investimento di infrastrutturazione in fibra ottica non è sostenibile. Quindi potrebbe, in questo caso, tornare utile la soluzione wireless che può servire bene purché gli utenti collegati siano radi…».

Come e quanto avete lavorato in questo periodo di ferma?
«Beh, abbiamo avuto una notevole serie di richieste da parte di molti cittadini che avevano problemi con tecnologie di connessione che si sono rivelate non all’altezza dei bisogni, a causa probabilmente di centraline sature, cavi obsoleti, abitazioni troppo lontane dalla centrale, e così via. Siamo riusciti comunque a procedere con lavori di cablaggio e manutenzioni che non ci mettessero in contatto diretto col pubblico, e con assistenza telefonica o via web».

Visto che probabilmente non si tornerà indietro nell’uso sempre più diffuso di internet, cosa state pianificando?
«Nel campo della tecnologia le innovazioni vanno così veloci che anche le pianificazioni subiscono delle accelerazioni. La crisi determinata dal Coronavirus ci ha insegnato che efficienti connessioni internet sono diventate praticamente indispensabili anche nelle abitazioni e dovunque possano emergere i limiti di implementazioni della tecnologia informatica. Per questo continueremo a investire nella fibra ottica, proseguendo nella copertura di altre frazioni del territorio ravennate. D’altra parte, attraverso il riscontro di molti utenti, abbiamo incrociato il pro- blema che l’iperconnettività simultanea è messa in crisi da un non corretto utilizzo di tecnologie e da apparati scadenti. Per esempio, si può anche avere la fibra ottica ma se in casa poi siamo tutti collegati a un wifi di bassa categoria e mal configurato, la buona connessione è per così dire “sprecata”. Insomma, andrebbe sviluppata una rete di qualità ed efficiente anche in casa. A questo scopo forniamo – e lo riteniamo un nostro fiore all’occhiello – un servizio ausiliario ai clienti anche per tutti quei problemi che non sono strettamente legati al nostro mestiere e alle nostre forniture: per esempio, supportandolo nel collegare correttamente un computer o altri device al router, per aiutarlo a fare una soddisfacente esperienza di navigazione su internet».

Qual è la sua visione di futuro come imprenditore?
«Una visione, come è sempre stata, non solo imprenditoriale ma anche di pubblica utilità. La nostra ambizione è riuscire a formare una squadra sempre più ampia e competente di tecnici, di specialisti che possano insieme portare questo servizio di rete per il web praticamente a tutti i cittadini, anche nei luoghi più sperduti e di difficile accesso del nostro territorio. Ci interessa diventare un punto di riferimento non solo per il servizio di connessione, ma per tutto quello che ruota attorno ai bisogni di connettività, senza mai prescindere dalla qualità e dall’efficacia; in particolare per l’utente privato, che vogliamo continuare ad aiutare nell’utilizzo di queste nuove tecnologie, giorno per giorno.»

Riaprono i circoli ricreativi: no a calcio balilla e carte, sì a scacchi e tombola

Il protocollo della Regione fissa le regole da seguire per le attività ludiche: non sono permesse quelle in cui non si può garantire la sanificazione dei materiali

Anziani Briscola Carte AnsaNo ai giochi di carte, al calcio balilla, ai giochi da tavolo, ai balli di coppia, sì alle freccette, agli scacchi e a tutti quei passatempi che permettono l’uso personale di oggetti che possono essere sanificati a fine partita. Sono le indicazioni da seguire per le attività ludiche nei circoli ricreativi che in Emilia-Romagna riapriranno dal 25 maggio. Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha firmato l’ordinanza che adotta formalmente i protocolli di sicurezza per la ripresa delle attività: corsistica; centri sociali, circoli culturali e ricreativi; attività ricettive extralberghiere; parchi tematici e luna park.

Si tratta delle attività che l’ordinanza regionale dello scorso 17 maggio, sempre del presidente della Regione, aveva stabilito potessero ripartire dal 25 maggio, previa definizione dei protocolli approvati in questi giorni e condivisi con operatori, associazioni di categoria, sindacati e Comuni, oltre che con le organizzazioni del Terzo settore per quando riguarda la ripresa di centri sociali, culturali e ricreativi. L’obiettivo comune a tutti è fissare regole che salvaguardino la sicurezza di lavoratrici e lavoratori, utenti, volontari.

Il testo regionale invita a privilegiare lo svolgimento di qualunque attività all’aperto con la distanza di un metro tra le persone che resta sempre valida. Così come la mascherina che in alcuni casi è definita obbligatoria.

L’ordinanza contiene anche una novità importante in ambito formativo. Stabilisce infatti che, sempre da lunedì 25 maggio, i soggetti pubblici e privati che erogano attività di formazione abbiano la possibilità di realizzare in presenza la parte pratica prevista dal percorso formativo. E quindi di poter farla svolgere in laboratorio, con l’utilizzo di macchinari e/o attrezzature; in spazi attrezzati, con le necessarie strumentazioni, nonché in spazi aperti. Oltre agli stage in azienda che riguardino attività economiche che non siano sospese, a condizione che tali attività non siano altrimenti realizzabili a distanza.

Lo stage dovrà essere svolto nel rispetto delle indicazioni tecniche e operative definite nelle linee guida nazionali o nei protocolli regionali previsti per il settore e per lo specifico luogo di lavoro dove si realizzerà.

In ogni caso, l’organizzazione delle attività dovrà tener conto delle specifiche esigenze delle persone con disabilità, così come fissate dal “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” pubblicato dall’Inail.

Il provvedimento ricorda infine che con una successiva ordinanza saranno disciplinate le date di decorrenza e le linee guida da rispettare per la ripresa delle attività di cinema e spettacoli con pubblico dal vivo, attività dei centri termali e centri benessere, discoteche, sagre e fiere.

L’infettivologa: «In futuro serviranno più letti vuoti e meno logica del budget»

La faentina Alessandra Govoni lavora all’Ausl di Imola: «La Regione abbandoni l’idea di aziende sanitarie troppo grandi. Per noi essere piccoli è stato un vantaggio in questa emergenza, anche per approntare il servizio di terapia domiciliare»

Alessandra Govoni, faentina, 51 anni, è infettivologa all’Ausl di Imola, la stessa che si è occupata del caso Medicina, per alcune settimane zona rossa, dopo che alcuni membri di una bocciofila si sono infettati a Vo’ Euganeo e, inconsapevoli, hanno poi partecipato a una serie di eventi sociali. A lei abbiamo chiesto raccontarci questa esperienza di prima linea e di spiegarci cosa, secondo lei, dovrebbe averci insegnato questa emergenza.

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Alessandra Govoni

Essendo un piccolo ospedale a Imola siamo stati molto rapidi a riorganizzarci, inoltre rispetto a Piacenza abbiamo avuto una settimana di vantaggio perché ci siamo mossi subito, a partire dal 21 febbraio. Fino a quel momento, va però detto, che pur sapendo che c’era un nuovo virus in circolazione, nessuno aveva fatto nulla. Ci eravamo tutti preparati molto di più per la Sars nel 2002, che poi non ha praticamente avuto effetti. Forse anche per questo il Covid è stato sottovalutato all’inizio, nessuno si aspettava davvero l’ondata che è arrivata.

Ma, come dicevo, appena diagnosticato il primo caso in Italia, a Imola abbiamo predisposto un’area di ricovero nella chirurgia non d’emergenza per i malati di Covid e anche un’area per chi era in attesa dell’esito del tampone, con percorsi ben separati. Così facendo, il virus non è entrato negli altri reparti dell’ospedale, a differenza di quanto accaudto altrove. In tutto sono risultati positivi una dozzina di operatori sanitari che sono ormai guariti. Devo anche dire che a differenza di ciò che ho sentito che è accaduto altrove, a noi non sono mai mancati i dispositivi di protezione personali.

Se mi sono mai sentita un eroe? Assolutamente no, ho fatto il mio lavoro, per fortuna eravamo un pool multidisciplinare a occuparci dei pazienti per cercare di capire come curarli al meglio. Capisco che in certi ospedali inizialmente ci siano state difficoltà nella diagnosi perché il virus attacca i polmoni senza sostanzialmente dare i sintomi ai pazienti. Noi abbiamo lavorato in sinergia con il reparto di infettivologia di Bologna, anche perché a Imola non ce n’è uno, e soprattutto abbiamo messo in campo il protocollo sperimentale per la terapia domiciliare. Questo ci ha permesso di evitare tantissime ospedalizzazioni. Medico e infermiere han- no visitato a casa i pazienti che poi si recavano dopo qualche giorno in un ambulatorio dedicato al Covid per vedere lo specialista del caso. Se fossimo stati una grande Ausl, non saremmo riusciti a imbastire un servizio sperimentale ma essenziale come questo in così poco tempo, che ci ha permesso di mantenere un equilibrio tra ricoveri e dimissioni, anche se ci sono stati giorni in cui abbiamo temuto che i letti predisposti in ospedale potessero non bastare. Un altro elemento cruciale che ha giocato a nostro favore è stato il protocollo che abbiamo in essere da anni con le Cra, le residenze per anziani, per prevenire le infezioni. Nel tempo abbiamo lavorato in stretta connessione con il personale di queste strutture per evitare che gli ospiti, che fanno spesso dentro e fuori dagli ospedali, rischiassero di ammalarsi a causa di virus e batteri, questo ha fatto sì che tutti gli operatori delle strutture sapessero già come si lavora in isolamento e come proteggersi. Non è stato un caso che non abbiamo avuto una sola positività nelle strutture per gli aziani a Imola.

Unnamed 2Cosa ci ha insegnato tutto questo? Direi tre cose fondamentali di cui spero terranno conto coloro che saranno chiamati a decidere in futuro.

Innanzitutto, serve un sistema sanitario che funzioni nello stesso modo in tutto il territorio nazionale. In una situazione come questa serve un Ministero che deci- de e noi che eseguiamo. In secondo luogo, è necessario potenziare la cosiddetta medicina del territorio: come può un medico di base seguire 1.500 e più pazienti? In questo periodo ci siamo trovati più spesso a lavorare con i medici di base perché ce n’era la necessità e abbiamo lavorato meglio, grazie a questa sinergia. Ma di fronte a una situazione del genere, cosa potevano fare? In terzo luogo, bisogna capire che dobbiamo farci trovare pronti. Le epidemie fanno parte della storia dell’umanità e ci sono molti fattori predisponenti nella nostra società, come il fatto che siamo tanti, fitti e globalizzati. Troppo spesso in passato si è pensato che si potessero tagliare i reparti di infettivologia perché ormai, si diceva, non servono più. Ora sappiamo che non è affatto vero e anzi bisogna stare pronti tenendo letti liberi, facendo scelte che possono non avere una ricaduta economica immediata, fuori dalla logica del budget che invece ha guidato tante scelte nella sanità. Per questo sono sempre più convinta che la sanità non possa che essere pubblica, poiché il privato ha interesse in un ritorno economico che un’emergenza come questa non può assicurare.

Infine, per quanto riguarda la nostra regione, credo che sia da rivedere il grande piano iniziale di istituire in Emilia altre due macro Ausl sul modello di quella Romagna. La Ausl di Imola, che è forse la più piccola, ha infatti dimostrato di essere stata pronta sia a organizzare l’ospedale, sia a “inventare” la terapia domiciliare, sia in passato a organizzare la medicina del territorio. C’è bisogno anche qui, come dappertutto, di più personale, basti dire che in questi giorni sono stati as- sunti quaranta infermieri, e a fare i turni in reparto abbiamo visto colleghi chirurghi e di tutte le specialità, perfino pediatri, perché non ci sono abbastanza internisti. Ma non abbiamo bisogno di essere fusi in sovrastrutture mastodontiche e meno pronte a riorganizzarsi in caso di necessità.

Infine, una riflessione su come la “scienza” ha comunicato e parlato in queste settimane alle persone non addette ai lavori. Ecco, credo sia stata fatta molta confusione e che troppo spesso siano state ascoltate persone che non parlavano della propria disciplina di riferimento. Io sono un’infettivologa, per esempio, non posso sapere come sarà l’andamento del virus o quali effetti avrà l’innalzamento delle temperature, così come epidemiologo non sa da che parte farsi davanti a un malato. Se ognuno avesse parlato per le proprie effettive competenze si sarebbe forse evitata l’enorme confusione che in effetti c’è stata.

Coronavirus, giornata da doppio zero: nessun morto e nessun nuovo contagio

In provincia di Ravenna è la quinta volta che accade, la prima è stata il 5 maggio. Il totale delle guarigioni complete è 734 su 1.018 casi diagnosticati (82 morti)

Giornata da doppio zero in provincia di Ravenna per quanto riguarda l’evoluzione dell’epidemia da coronavirus: alle 12 di oggi, 23 maggio, non si sono registrati nuovi decessi e nuovi contagi rispetto ai dati di 24 ore prima. È la quinta volta che accade: la prima era stata il 5 maggio e mai più di due consecutive.

E così il totale dei casi diagnosticati tra i residenti nei diciotto comuni ravennati resta fermo a 1.018 (il primo risale al 28 febbraio, solo 36 in maggio). Tra questi ci sono 734 guarigioni complete (14 le nuove di oggi) già confermate dal doppio tampone negativo nell’arco di 48 ore, ma anche 82 decessi. Sono circa 250, infine, le persone in quarantena e sorveglianza attiva in quanto contatti stretti con casi positivi o rientrate in Italia dall’estero.

Riapre lo zoo: la novità è la voliera con pappagalli rari salvati dai carabinieri

Durante il lockdown si sono registrate diverse nascite tra gli animali ospiti: una zebra, tre antilopi, un cammello, un lemure, un canguro

Foto Riapertura 2Lo zoo di Ravenna, il grande parco faunistico accanto a Mirabilandia, è pronto per riaprire da venerdì 29 maggio seguendo le nuove normative vigenti per la fase 2 del contrasto al coronavirus e si presenta con la novità di due voliere che ospiteranno, fra gli altri,  delle rare specie di pappagalli che il safari ha accolto a seguito di un sequestro da parte dei carabinieri per garantire loro cure.

Con questa accoglienza, il Safari Ravenna diventa sede del progetto “Save the parrot” che ha lo scopo di aiutare e salvare i pappagalli oggetto di sequestro per traffico illegale: i pappagalli sono infatti tutti appartenenti a specie minacciate e lo scopo di tale iniziativa è quella di sostenere la conservazione degli habitat naturali e delle specie a rischio di estinzione.

Durante il periodo di chiusura per il lockdown, il parco ravennate ha registrato nuove nascite: una zebra, tre antilopi alcine, un cammello, pulcini di emu, una pecora d’Ouessant, un lemure, un canguro di Bennet, una pecora del Camerun.

VolieraOsvaldo Paci, direttore del parco, afferma che gran parte della stagione è ormai stata compromessa con la chiusura così prolungata: «Le perdite avute certamente non potranno essere recuperate. C’è inoltre da considerare, che per un giardino zoologico come il nostro, la chiusura non si traduce in un semplice arresto delle attività. Per garantire la cura e il benessere degli animali ospitati occorre affrontare varie spese: quintali di fieno, frutta, la carne per i felini, gli integratori specifici, il costo del personale necessario. Si arriva a oltre 96mila euro di costi mensili».

Voliera 2L’auspicio di Paci è che si possa ritornare il prima possibile alla normalità: «Ci tengo a ringraziare tutte le persone che in questi mesi ci hanno scritto e manifestato il loro interesse e preoccupazione nei confronti degli animali e dei nostri keeper, in molti addirittura chiedendoci di poter effettuare una donazione che non ci è sembrato il caso di accettare vista l’emergenza sanitaria del nostro Paese e mondiale. Adesso però vogliamo ripartire, accogliere tutti i visitatori e i nostri lavoratori in questi mesi costretti a restare a casa».

Covid: sale a 7 il numero dei morti tra i 60 ospiti della casa di riposo Baccarini

Il contagio ha toccato circa la metà degli anziani e alcuni operatori del personale. Da un paio di settimane non ci sono più positività

Casa Famiglia Per Anziani In Via GermanicoSale a sette il numero dei morti infetti dal coronavirus tra i sessanta anziani ospiti della casa di riposo Baccarini di Russi. La struttura assistenziale si è rivelata il focolaio più grave della provincia di Ravenna tra le Rsa, un fronte particolarmente doloroso ovunque nell’epidemia di Covid-19.  La prima morte tra gli anziani russiani risale al 23 aprile, l’ultimo decesso invece è avvenuto il 21 maggio. I morti avevano tra 83 e 96 anni.

Le prime positività sono state individuate poco prima di Pasqua (12 aprile): complessivamente da allora circa la metà degli ospiti (e alcuni operatori) è stata contagiata. La situazione è apparsa talmente critica da decidere il trasferimento in ospedale di tutti i casi positivi con un protocollo speciale per tenere sotto osservazione i rimanenti.

La situazione ora appare rientrata perché da 15 giorni non si registrano positività tra gli ospiti ma diversi sono ancora ricoverati.

Campagna Amica dona 360 bottiglie di olio solidale e prodotti orticoli ai bisognosi

I prodotti forniti dalla coop Terra di Brisighella e da altre aziende della fondazione legata a Coldiretti sono stati consegnati a Caritas, dormitorio e mensa di San Rocco

DSC08004 CopiaDall’agricoltura locale e dai tanti cittadini-consumatori che scelgono il mercato di Campagna Amica di Coldiretti per la loro spesa a km zero una mano tesa alle famiglie del territorio più in difficoltà. Nella mattinata odierna, 23 maggio, la cooperativa Terra di Brisighella ha consegnato olio solidale e prodotti orticoli a Caritas, Mensa di San Rocco e Dormitorio Re di Girgenti, tre enti che operano sul territorio offrendo quotidianamente aiuto e assistenza ai più bisognosi. La consegna ai referenti delle tre strutture è avvenuta alla presenza dell’Assessore comunale all’Agricoltura Massimo Cameliani.

DSC08009 CopiaTerra di Brisighella, rappresentata dal consigliere Stefano Monti, ha donato 360 bottiglie di olio extravergine Milledrupe frutto dell’azione solidale attivata in autonomia dai soci della cooperativa, mentre le aziende agricole del mercato, rappresentate da Alessandra Ravagli, presidente Agrimercato Ravenna, hanno garantito una fornitura di ortofrutta di stagione e carne a km zero, impegnandosi a ripetere la donazione a cadenza mensile. Da sottolineare che una parte dei prodotti offerti sono stati messi a disposizione grazie alle donazioni dei cittadini-consumatori che frequentano il mercato e che in questi mesi hanno aderito alla ‘spesa sospesa’ lanciata da Campagna Amica lasciando un contributo in denaro una volta ricevuta la spesa a domicilio.

Covid dentro Oncologia, Ancisi (Lpr): «24 casi tra il personale e 5 pazienti morti»

Il reparto è stato riaperto dopo la chiusura per la gravità del focolaio. Il consigliere comunale di opposizione chiede all’Ausl un’indagine interna e al sindaco di riferire in consiglio

Foto DonazioneNel reparto di Oncologia dell’ospedale di Ravenna sono stati 24 i casi di contagio da coronavirus tra il personale e 16 tra i degenti, di questi ultimi cinque sono morti. Il dato è stato diffuso da Alvaro Ancisi, consigliere comunale di Lista per Ravenna, che ora chiede all’Ausl di avviare un’indagine interna sulle cause del focolaio e chiede al sindaco, quale presidente della conferenza socio-sanitaria dell’Ausl Romagna, di riferirne, tramite il consiglio comunale, alla città, «rimasta attonita davanti al precipizio della propria oncologia e alla sua troppo lunga chiusura, fonte di ulteriori disagi ai pazienti affetti da dolenti patologie».

Per quanto riguarda il personale, il virus ha toccato 7 medici (tra l’oncologia e la collegata ematologia), 13 infermieri, 3 operatori socio-sanitari (Oss) e un fisioterapista nel reparto di degenza. Alcune organizzazioni sindacali hanno richiamato l’attenzione delle autorità aziendali su quanto è avvenuto a fronte dell’emergenza scatenata dalla rapida diffusione del Covid-19: «Una situazione senza controllo, unica per gravità nel Santa Maria delle Croci e nell’intera Ausl Romagna», afferma Ancisi.

Il decano dell’opposizione, che si rifà anche alle ricostruzioni dei sindacati, vuole sapere se ci sono state sottovalutazioni, incuria, carenze, omissioni, pecche, sui fronti della prevenzione sanitaria e della sicurezza sul lavoro, a danno dei degenti, dei visitatori e del personale. «È stata adottata la procedura che abitualmente fa seguito ad un evento pernicioso per ricercarne le cause e adottare protocolli capaci di evitarne il ripetersi?».

La Cgil ha chiamato in causa il primario per la sua gestione. «In effetti – osserva Ancisi – al primario-direttore competono, oltre all’esercizio delle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione del personale e di organizzazione della struttura, mediante linee di indirizzo e direttive da porre in atto, l’adozione di protocolli operativi, l’assunzione tempestiva delle dovute decisioni. L’esser forse mancato tutto ciò potrebbe spiegare perché l’oncologia si sia mostrata impreparata e indifesa di fronte all’aggressione virale, fino a doversene imporre la serrata».

Spettacoli, la Regione conferma i contributi della legge 13: accesso semplificato

Per la provincia di Ravenna sono previsti 1,6 milioni di euro per 17 progetti: ecco l’elenco

Teatro Alighieri Ph ZAN#513La Regione Emilia-Romagna ha confermato i contributi ai progetti di spettacolo dal vivo previsti dal piano triennale 2019-2021 della legge 13/1999 e per dare più liquidità al settore, in questo momento di crisi dovuta al lockdown, ha apportato alcune modifiche procedurali per semplificare l’accesso ai contributi del 2020: in totale quasi 9 milioni di euro di cui 1,62 andranno a 17 soggetti in provincia di Ravenna (a questo link la tabella con tutti contributi).

Viene data la possibilità di chiedere l’anticipo fino all’80 percento del contributo concesso (+10 percento rispetto allo scorso anno). Il saldo avverrà dietro presentazione della rendicontazione, da far pervenire alla Regione entro il 31 marzo dell’anno successivo.

I contributi per Provincia. Oltre 2 milioni di euro vanno a 41 progetti presentati da soggetti della provincia di Bologna; 531.250 alla provincia di Ferrara per7 progetti; 566 mila alla provincia di Forlì-Cesena per 15 progetti; 530 mila e 500 alla provincia di Modena per 12 progetti; 1 milione e 453 mila euro alla provincia di Parma per 13 progetti; 563.750 alla provincia di Piacenza per 7 progetti; 1 milione 626 mila alla provincia di Ravenna per17 progetti; 606 mila alla provincia di Reggio Emilia per 9 progetti; quasi 918 mila euro alla provincia di Rimini per 12 progetti.

Cassa integrazione Covid: 3.500 domande in provincia per 11mila lavoratori

La Regione ha completato le procedure e consegnato all’Inps tutte le richieste. In totale il massimo in deroga è di 13 settimane

Edil6Sono 3.516 le domande di cassa integrazione in deroga per Covid-19 presentate in provincia di Ravenna e coinvolgono 11mila lavoratori per un totale di ore di 2,8 milioni. Come annunciato dall’assessore regionale allo Sviluppo economico, Vincenzo Colla, l’Emilia-Romagna ha completato la procedura e consegnato all’Inps tutte le richieste arrivate. Richieste che riguardano complessivamente, da Piacenza a Rimini, 157.135 lavoratori, per un totale di oltre 36 milioni di ore.

I numeri sono riferiti alle domande previste dal decreto 9 del 2 marzo 2020 (“Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”) e dal decreto 18 del 17 marzo 2020 (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”). Resta aperta la possibilità, per chi non avesse usufruito di tutte e 13 le settimane, di chiedere le rimanenti alla Regione; per quelle previste nel Decreto Rilancio (5+4) la richiesta va mandata direttamente all’Inps.

La messa torna con i fedeli. Il vescovo: «Sia occasione per essere più fratelli»

Monsignor Ghizzoni ha voluto inviare un messaggio alla comunità locale

Vescovo GhizzoniDomenica 23 maggio la messa festiva potrà tornare a celebrarsi con la presenza dei fedeli anche nelle parrocchie della diocesi di Ravenna dopo il lockdown dovuto all’epidemia da Covid-19. Le norme stabilite dal protocollo firmato il 7 maggio dal Ministero dell’Interno e dalla Cei recepite a livello diocesano.

L’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, ha voluto inviare un messaggio alla comunità locale, attraverso una videointervista pubblicata sul sito e sul canale Youtube del settimanale diocesano Risveglio Duemila.

«In questo periodo di celebrazioni a porte chiuse – ha spiegato monsignor Ghizzoni – abbiamo condiviso la situazione di molti fratelli nella fede che vivono in luoghi in cui non c’è la Messa o non ci sono i sacerdoti o peggio Paesi in cui la Chiesa è perseguitata. Noi non siamo in questa situazione, e ora potremo tornare a celebrare, con tutti i nostri fedeli, finalmente».

Ma il partecipare all’Eucaristia in questo momento di pandemia dev’essere per i cristiani, avverte l’arcivescovo, un’occasione di solidarietà e di attenzione per i più fragili: «Bisogna che allarghiamo lo sguardo e il cuore – spiega nella parte finale della videointervista – verso le persone che vivono questo periodo di abbandono e solitudine. Stiamo ripartendo e la solidarietà si deve manifestare, oltre che nell’andare a Messa insieme, anche nell’aprirci alle persone che sono in difficoltà nei nostri condomini, nei nostri paesi, per cogliere i bisogni e fare di questo un tempo di ulteriore carità e attenzione alle povertà materiali e morali presenti in mezzo a noi».

Timore, da un lato ma anche grande gioia: sono i sentimenti espressi su questo passaggio delicato in una lettera firmata da mons. Ghizzoni assieme a tutti i vescovi della Conferenza episcopale emiliano-romagnola:  «Timore – affermano nella nota –  perché viviamo ancora nell’incertezza circa l’evoluzione della pandemia, della quale non si esclude un’ulteriore diffusione: di qui la prudenza, continuamente raccomandata dalle autorità civili, dal Papa, dai vescovi. Ma anche gioia grande perché possiamo cominciare ad incontrarci, a recuperare l’integralità dell’esperienza ecclesiale: di qui la speranza , alimentata per noi cristiani non tanto dalle proiezioni e dalle statistiche, quanto dalla parola di Dio e dalla fede».

«È una condizione che richiede estrema prudenza, prima di tutto per una ragione di giustizia – concludono i vescovi –: non possiamo mettere a rischio la vita e la salute dei fratelli, specialmente quelli più fragili ed esposti; il principio di precauzione è una esigenza del principio di responsabilità. Per noi cristiani c’è inoltre una ragione di carità: il rispetto per l’altro, anzi la custodia dell’altro, è una traduzione pratica del comandamento dell’amore. Non avrebbe senso quindi partecipare alla mensa del Signore, qualora mettesse a rischio la salute dei fratelli. La prudenza si traduce in gradualità nella ripresa, osservanza scrupolosa delle disposizioni, attesa ulteriore nei casi di dubbio».

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