Scherma / L’atleta del Circolo ravennate della spada, allieva del maestro Pavlo Putyatin, ha vinto la finalissima contro la Cagnin
Una esultanza della baby ravennate Alessia Pizzini
A 24 ore di distanza da Milena Baldassarri, la giovanissima Ravenna in rosa festeggia un altro bellissimo successo. Dalla ginnastica ritmica si passa alla scherma, dove l’Under 17 Alessia Pizzini si laurea campionessa italiana nella categoria spada femminile Giovani nei campionati italiani giovanili che si sono disputati a Verona. La baby atleta del Circolo ravennate della spada, allieva del maestro Pavlo Putyatin, ha vinto la finale contro Beatrice Cagnin, in forza all’Aeronautica Militare, con il punteggio di 14-12. La Pizzini in semifinale aveva piazzato la stoccata del 14-13 su Sara Maria Kowalczyk della Giannone Caserta, mentre Beatrice Cagnin, aveva superato 13-8 Alessandra Segatto della Scherma Treviso. Nei quarti, infine, la ravennate aveva regolato 15-13 Marta Lombardi del Cus Pavia.
Alessia Pizzini seconda da sinistra sul podio dei campionati italiani Giovani
Questi i risultati della fase finale e la classifica generale.
Finale: Pizzini (Circ. Ravennate) b. Cagnin (Aeronautica) 14-12.
Semifinali: Pizzini (Circ. Ravennate) b. Kowalczyk (Giannone Caserta) 14-13; Cagnin (Aeronautica) b. Segatto (Scherma Treviso) 13-8.
Quarti: Kowalczyk (Giannone Caserta) b. De Marchi (Fiamme Oro) 15-8; Pizzini (Circ. Ravennate) b. Lombardi (Cus Pavia) 15-13; Cagnin (Aeronautica) b. Bozza (Aeronautica) 10-9; Segatto (Scherma Treviso) b. Di Sarno (Marchesa Torino) 10-9.
Classifica (40 partecipanti): 1. Alessia Pizzini (Circolo Ravennate della Spada), 2. Beatrice Cagnin (Aeronautica Militare), 3. Alessandra Segatto (Scherma Treviso), 3. Sara Maria Kowalczyk (P. Giannone Caserta), 5. Eleonora De Marchi (Fiamme Oro), 6. Alessandra Bozza (Aeronautica Militare), 7. Lucia Di Sarno (Accademia Scherma Marchesa Torino), 8. Marta Lombardi (Cus Pavia).
Basket femminile / In vantaggio fino a 31 secondi dalla fine, andando anche a +14, le manfrede vengono raggiunte sul filo di lana da Vigarano Mainarda e piegate all’overtime. Commovente il pubblico del PalaBubani, che ha sostenuto per tutto il match Ballardini e compagne, festeggiando lo stesso dopo la sirena finale
Faenza-Vigarano Mainarda 82-85 dopo un tempo supplementare
(17-16, 35-25, 55-41, 69-69)
I tifosi faentini festeggiano lo stesso a fine gara, nonostante la sconfitta dell’Infinity Bio
Perde al termine di una finalissima mozzafiato, l’Infinity Bio, sconfitta dal Vigarano Mainarda dopo un tempo supplementare nella finalissima che valeva un posto nella nuova Serie A1. Festeggia lo stesso, però, il pubblico faentino, che in questa sfida ha riempito il PalaBubani come ai vecchi tempi e ha sostenuto con il suo enorme calore Ballardini e compagne. Si spezza così il sogno di centrare una promozione che avrebbe rappresentato una vera e propria impresa, sfumato più che all’overtime, nel corso del quale le manfrede hanno più inseguito che comandato, in un ultimo quarto che inevitabilmente lascerà tanto amaro in bocca.
A 31 secondi dalla fine di quel parziale, infatti, l’Infinity Bio conduceva ancora di tre punti, ma una “bomba” di Zampare ha pareggiato il conto, allungando in modo ulteriore il match. Un match che fino alla terza frazione era stato saldo in mano alle faentine, che dopo un primo quarto equilibrato (17-16), trascinate da Ballardini, Coraducci e Morsiani, ha accelerato con decisione nel secondo (35-25), per consolidare in modo ulteriore il suo vantaggio nel terzo, al termine del quale si sono trovate di ben 14 punti (55-41). Nell’ultima frazione un improvviso blocco dell’Infinity Bio consente alle ferraresi di ridurre in maniera progressiva il gap, per piazzare la zampata sul 67-60, andando a -1 con Trebec (67-66) e rimettere in equilibrio la gara sul 69-69. Nell’overtime, infine, è Ballardini a spingere le sue sul 77-75, ma da questo momento il Vigarano realizza un decisivo break di 2-7 (79-82) a 50 secondi dalla fine, per chiudere i giochi 82-85.
Buona partecipazione di pubblico alla camminata Mare-Moto (10,4 km) organizzata dall’associazione sportiva per promuovere la mobilità sostenibile (rientro in città con mezzi pubblici)
Si sono presentati in 110 stamani, 27 maggio, sulle banchine della testa del canale Candiano per la partenza della Mare-Moto, la camminata non competitiva di 10,4 km dalla darsena di città alla spiaggia di Punta Marina promossa dall’associazione sportiva Trail Romagna. L’evento voleva essere una sorta di riscaldamento in vista di ItineRa, la festa del cammino consapevole che in autunno tornerà con la seconda edizione.
I 110 camminatori guidati dagli istruttori fit e nordic walking di Trail Romagna hanno percorso i 10.400 metri che separano il villaggio dei container Darsena Pop Up dalle Terme di Punta Marina sfidando una giornata da temperature più estive che primaverili. Il percorso si è snodato lungo carraie e strade secondarie con una sola regola: vietato correre.
È stata comunque una marcia che per i primi arrivati può essere considerata sportiva visto che il primo uomo, Vic Galzote ha fermato il cronometro dopo 1:26:25 e la prima donna, Mariuccia Bianchina, quarta assoluta, è entrata al Marlin Beach dopo 1:33:30 dalla partenza.
La Mare-Moto ha proposto la passeggiata da Ravenna al mare come ulteriore possibilità di trasporto sostenibile tanto che per il ritorno si sono utilizzati i mezzi pubblici. Una sfida con se stessi che per gli appassionati di fit walking, disciplina che i fratelli Damilano hanno derivato dalla marcia olimpica, è diventata un confronto con il tempo. «L’affluenza numerosa – affermano i promotori in un post pubblicato sulla propria pagina Facebook – testimonia di quanto il popolo dei camminatori sia in crescita, un nuovo modo di unire benessere e turismo slow che cattura principalmente il pubblico femminile che rappresentava la maggioranza dei partecipanti».
Incidente tra Ragone e San Pancrazio. L’uomo ricoverato a Cesena. Il comitato cittadino ricorda che da tempo ha segnalato la pericolosità dell’incrocio sull’argine. E chiede interventi urgenti: segnaletica, velox, attraversamenti pedonali
Un uomo in gravi condizioni e una donna ferita lievemente: è il bilancio di un incidente stradale avvenuto stamani, 27 maggio, poco prima delle 9 sulla strada provinciale 5 tra San Pancrazio e Ragone all’altezza del ponte sul fiume Montone. Lo scontro ha coinvolto una motocicletta e una vettura. Il motociclista 58enne è stato trasportato all’ospedale di Cesena mentre l’automobilista 58enne è stata ricoverata a Ravenna.
L’episodio ha portato il presidente del comitato cittadino di Ragone, Giuseppe Tadolini, a ricordare la pericolosità del punto per la viabilità. «L’accaduto si somma a diversi altri incidenti, fortunatamente meno gravi, occorsi nel tempo e ci impone di sollevare per l’ennesima volta la questione della pericolosità di questo tratto di strada. Questione sulla quale il comitato cittadino ha reiteratamente, nelle più diverse occasioni , in vari sedi e da molti anni, chiesto interessamento e risposte da parte delle istituzioni, e che anche il consiglio territoriale della zona 7 ha considerato fra i problemi cui dare priorità».
La visibilità ai quattro angoli del ponte è precaria, rendendo l’incrocio pericoloso sia per chi si immette provenendo dagli argini, sia per chi debba attraversare il ponte a piedi o in bicicletta: «Non vogliamo trovarci nella tragica condizione di dover accompagnare prima o poi qualche nostro concittadino o qualche passante nell’ultimo suo viaggio. Non è certo nostra intenzione strumentalizzare l’accaduto per interessi di campanile. Ma non possiamo più tollerare che gli anni passino e si continui non solo a non dare avvio alle opere che potrebbero affrontare il problema, ma nemmeno a dare risposte sui tempi e le modalità con cui le soluzioni possano essere messe in programma.
Le richieste del comitato sono 4: opere di segnaletica, verticale, orizzontale e semaforica, che segnalino la pericolosità dell’incrocio, e inducano a rallentare consistentemente la velocità; autovelox fissi; ristrutturazione degli angoli del ponte, in maniera tale da ottimizzare la visibilità; attivare la procedura per la progettazione e la realizzazione dell’attraversamento pedonale e ciclabile.
Ancisi (Lpr) torna a ribadire le criticità già sollevate nell’ultimo anno: trasporto salme all’aperto, aria condizionata guasta. E i sindacati parlano di struttura fatiscente, situazione intollerabile e quasi di abbandono
Per arrivare in camera mortuaria le salme dei deceduti in ospedale vengono trasportate su una barella all’aperto tra auto parcheggiate e cassonetti dell’immondizia, l’aria condizionata nelle stanze dell’obitorio dove esporre le salme è guasta, l’intera struttura è inidone per salute e sicurezza per operatori e cittadini. Il consigliere comunale Alvaro Ancisi (Lpr) torna a sottolineare le condizioni dell’obitorio di Ravenna chiedendo al sindaco, attraverso un’interrogazione, un intervento urgente in qualità di membro della conferenza Sociale e Sanitaria, organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’Ausl Romagna, affinche le istituzioni competenti ripristino le migliori situazioni possibili e mettano fino alle «troppe indegnità della camera mortuaria». L’immobile è in gestione al Comune di Ravenna (attraverso Azimut) dall’Ausl per il periodo 2014-2018.
Da tempo Ancisi, decano dell’opposizione, ha messo in risalto le sofferenze strutturali di un luogo così delicato. La segnalazione del trasporto salme risale già a un anno fa ma già dal 2014 era stata sollevata. «Il percorso – sono le parole di Azimut, gestore dell’obitorio, riportate dal consigliere comunale – crea difficoltà per i sobbalzi sui carichi trasportati nonché pericolo per gli operatori che lo seguono”.
A luglio del 2017 Ancisi raccoglieva le proteste pervenute da alcuni visitatori dei defunti «per l’asfissiante calura delle camere ardenti, che imponeva di tenerle aperte sul cortile, oltretutto rendendo obbligatoria la refrigerazione delle salme, al costo di 55 euro al giorno per defunto. Causa della disfunzione era il malfunzionamento del vetusto impianto di condizionamento».Il 31 agosto Ausl diceva: «Saranno presi accordi, in tempi brevi, con la ditta Azimut per definire tempistiche e modalità operative dell’intervento di sostituzione delle unità di trattamento dell’aria, sia per la chiesa che per le camere ardenti». Dopo un anno è tutto invariato.
Un mese fa le tre confederazioni sindacali hanno denunciato «lo stato di inidoneità dell’intera camera mortuaria riguardo alla salute e sicurezza sia per gli addetti che per i cittadini da parte di una struttura pubblica fatiscente e con tante problematiche strutturali… situazione intollerabile e quasi di abbandono».
«Nei recenti incontri con Azimut, avvenuti il 5 e 13 aprile, l’Ausl si è dichiarata disponibile all’effettuazione degli interventi necessari in un ottica di possibile rinnovo della concessione/convenzione con il Comune. Azimut, dal canto suo, ha espresso collaborazione mettendo a punto il programma delle attività e dei lavori da farsi, che starà all’Ausl definire nei modi e nei tempi. In particolare, Azimut si è resa disponibile, come suggerito nella mia prima interrogazione, ad acquistare un mezzo motorizzato elettrico di trasporto delle salme».
Ginnastica Ritmica / Giornata storica per la giovanissima atleta ravennate, che ai tricolori di Terranuova Bracciolini vince il concorso generale e sale tre volte sul gradino più alto del podio (cerchio, palla e nastro). «Non mi aspettavo di vincere perché sono partita non al meglio delle mie capacità, lungo il corso della gara però mi sono riscattata»
La ravennate Milena Baldassarri sul gradino più alto del podio del concorso generale (foto FGI)
Milena Baldassarri sale con grande autorità sul tetto d’Italia, facendo incetta di medaglie d’oro ai campionati italiani che si sono disputati al palazzetto dello sport di Terranuova Bracciolini, in provincia di Arezzo. La sedicenne ravennate cresciuta nell’Edera centra infatti ben quattro vittorie e un secondo posto, laureandosi campionessa italiana assoluta di ginnastica ritmica per l’anno 2018. L’atleta della Fabriano, allenata da Julieta Cantaluppi e Kristina Ghiurova, con 70.050 punti (parziali: cerchio 18.000, palla 18.200, clavette 16.500 e nastro 17.350) trionfa nella gara regina sulle avversarie e riceve il testimone direttamente dalle mani di Veronica Bertolini, detentrice del titolo per cinque anni consecutivi dal 2013 al 2017. Sulla piazza d’onore è salita Alexandra Agiurgiuculese con 68.700 punti, bronzo per Alessia Russo (66.700), ai piedi del podio Maria Vilucchi (63.650.)
«Sono molto contenta di come sia andata – ha dichiarato Baldassarri al termine del concorso generale -. Non mi aspettavo di vincere perché sono partita leggermente tirata e non al meglio delle mie capacità, lungo il corso della gara però mi sono riscattata. Quest’anno è iniziato con molti successi internazionali e posso incorniciarli con quest’altra bellissima vittoria a livello nazionale».
La ravennate conquista anche l’oro nel cerchio: il suo 18.050 è inarrivabile per Alessia Russo che si ferma in seconda posizione con 17.600 (bronzo per Agiurgiuculese con 17.300). Medesimo esito per la campionessa italiana nella finale con la palla, dove si posiziona in cima alla classifica con 18.950 (seconda Agiurgiuculese, con 18.850, terza Russo con 18.200). La ravennate con 18.400 vince anche la gara con il nastro portando a quota tre i suoi ori di specialità (argento Iasi con 17.800), mentre nelle clavette (18.400) giunge seconda alle spalle di Agiurgiuculese (18.700), mancando di un soffio un pokerissimo da urlo.
Questa competizione ha rappresentato l’ideale trampolino di lancio verso il campionato europeo di Guadalajara, in Spagna, in programma dal 1° al 3 giugno. A breve saranno diramate le convocazioni delle atlete che faranno parte della nazionale azzurra, che già domenica 27 maggio saranno impegnate nel ritiro di Desio, in provincia di Monza.
Calcio C / La società giallorossa annuncia l’interruzione del rapporto di lavoro con il tecnico della promozione in C e della tranquilla salvezza di questa stagione
Il tecnico del Ravenna Mauro AntonioliCon una breve nota il Ravenna FC annuncia che si interrompe il rapporto di lavoro con l’allenatore Mauro Antonioli, tra gli artefici della promozione dello scorso anno in Serie C e della tranquilla salvezza di questo campionato, il primo tra i Professionisti dopo sette anni vissuti tra i Dilettanti.
Questo il testo del comunicato stampa: «Dopo due anni indimenticabili il Ravenna Football Club e il tecnico Mauro Antonioli hanno deciso di interrompere la loro collaborazione in un clima di cordialità e con la reciproca consapevolezza che il progetto nato tra i Dilettanti sia giunto al suo termine naturale. Dopo una stagione a tratti sofferta, ma coronata da una salvezza anticipata, il Ravenna Football Club coglie l’occasione per ringraziare Antonioli augurandogli il meglio per le sfide che lo attendono e di cui sarà certamente all’altezza, rafforzato dall’esperienza con i colori giallorossi. La società riparte piena di entusiasmo dal playoff fallito soltanto all’ultimo giornata, con l’obiettivo di migliorare il piazzamento della stagione appena conclusa. Il proposito sarà dunque di allestire una squadra competitiva affidata a un tecnico che condivida lo spirito e le strategie del Ravenna Football Club che per il sesto anno consecutivo ha chiuso la gestione amministrativa in pari, un’eccellenza rara a livello italiano».
Le associazione si riservano di valutare iniziative nei confronti di chi ha alimentato un clima di ideologia violenta
Alcuni manifesti della campagna antiabortista promossa dalle associazione prolife, affissi sulle plance pubbliche di Ravenna in via Faentina, via Zalamella e via Santi Baldini, sono stati strappati. I promotori della campagna parlano di «ignobile gesto» e hanno presentato una denuncia-querela contro ignoti per danneggiamento aggravato: «Si stanno valutando le azioni legali più opportune nei confronti di coloro che hanno alimentato un clima di ideologica violenza anche tramite dichiarazioni pubbliche che potrebbero avere istigato i vandali».
L’inviato de Il Giornale era a Raqqa con l’esercito curdo quando la città è stata strappata al Califfato. Il 27 maggio sarà a Lugo per una serata pubblica in cui racconterà la Siria e il conflitto che la sta distruggendo: «È in corso un conflitto mondiale in miniatura»
Fausto Biloslavo
Nella Beirut del 1982, inviato di guerra per la prima volta all’età di 21 anni, ha aperto la portiera di una Mercedes a caso e si è trovato di fronte la canna del kalashnikov di un pretoriano di Arafat che aveva studiato in Italia e gli ha consentito di scattare una foto del leader palestinese che nessun altro ha potuto scattare. Lo chiama fattore C ma forse era un segno che un po’ di stoffa da reporter c’era già all’esordio. Nei 36 anni passati da quella Beirut, il triestino Fausto Biloslavo ha raccontato i conflitti del mondo dalla prima linea, con il giubbotto antiproiettili per portare a casa la pelle insieme al reportage. Domenica 27 maggio alle 20.45 nel salone del Carmine di Lugo, in corso Garibaldi 16, ci sarà una serata dal titolo “Guerra: la speranza dentro l’abisso”, con filmati e testimonianze del cronista di guerra inviato de “Il Giornale”. La serata, a ingresso libero e aperta a tutti, è organizzata dal circolo “John Henry Newman” con il patrocinio del Comune di Lugo.
La serata di Lugo sarà dedicata soprattutto alla situazione in Siria, vissuta da reporter. L’ultimo reportage a quando risale?
«Ero a Raqqa durante l’assedio e la caduta del controllo delle bandiere nere con il crollo del mito del Califfato che nel 2014 aveva un territorio grande quanto l’Italia. Sono stato un mese con i curdi, avanzando palmo a palmo: con l’appoggio aereo degli americani il loro contributo sul campo è stato fondamentale ma l’Occidente li ha usati come carne da cannone e si è già dimenticato di loro lasciandoli sotto la minaccia dell’esercito turco».
La tragica contabilità delle vittime cosa dice finora?
«Le stime da prendere con le molle parlano di 250mila morti. Poi milioni di profughi e feriti. C’è un Paese che non esiste più perché è stato completamente distrutto dai bombardamenti. Penso a una città come Aleppo che era un centro importantissimo. Sarà difficile la rinascita».
Il Califfato è caduto ma la Siria resta ancora la situazione più delicato sullo scenario mondiale?
«Sicuramente sì. In Siria non c’è più solo una guerra civile ma una guerra mondiale in miniatura perché sono coinvolte direttamente le superpotenze mondiali e le potenze regionali: America, Russia, Iran, Israele e Turchia. E la sconfitta del Califfato ha fatto aumentare la sua voglia di ritorsione e vendetta. Per l’Europa la minaccia è concreta: molti foreign fighter torneranno a casa. Con quali intenzioni? Sapremo intercettarli?».
Il caos siriano troverà una soluzione?
«L’unica soluzione credo sia che americani e russi si siedano attorno a un tavolo e decidano il futuro della Siria. Ma temo non avverrà. La situazione è incancrenita e servirebbero dei leader politici che abbiano davvero voglia di farlo».
Trump e Putin?
«Soprattutto dal primo mi aspettavo qualcosa di diverso in Medioriente. Sembra più interessato a Twitter che ai veri problemi».
La Siria è uno degli ultimi reportage di una carriera cominciata 36 anni fa in Libano. Cosa sapeva di come si fa il mestiere del reporter di guerra?
«Niente perché è qualcosa che si impara sul campo e non a tavolino. Avevo 21 anni e andai a seguire l’invasione israeliana del Libano. Entra fino a Beirut con le truppe di Israele e poi riuscii a passare dall’altra parte delle linee, quello che io considero il reportage perfetto, purtroppo ormai impossibile oggi».
Perché quel reportage perfetto oggi è difficile? «Fino all’inizio degli anni Novanta le parti in conflitto erano interessate a dare la propria versione ai giornalisti. Poi dopo l’11 settembre le cose sono cambiate molto. Un po’ perché i giornalisti si sono messi l’elmetto e dall’altra parte non vengono più visti come testimoni ma come infedeli e ti calcolano in base al passaporto che hai in tasca e puoi essere visto come spia o come carne da sequestro. Ma anche perché abbiamo visto che nessuno ha bisogno di un giornalista per dare il proprio racconto, la propaganda si può fare benissimo con i mezzi tecnologici a disposizione di tutti».
Nel 1982 non sapeva niente ma scattò una foto che è passata alla storia… «L’unica foto di Arafat che partiva da Beirut, pubblicata anche sul Time. Fu un colpo di fortuna. Diciamo fattore C. C’era una colonna di auto e trecento giornalisti che cercavano di capire su quale fosse Arafat. Io per caso aprii la portiere di una e mi trovai di fronte la canna di un Kalashnikov impugnato da un omone con i baffi. Con un inglese maccheronico da studente dissi che ero un giornalista italiano democratico. E l’omone con i baffi mi rispose in italiano dicendo che aveva studiato a Bologna: era uno dei capi della guardia privata di Arafat, mi fece salire e arrivai con loro al porto».
Dopo tanti anni come vive ogni nuova missione? «Ne ho viste tante però per fortuna l’orrore della guerra mi colpisce ancora: serve una corazza per affrontare questi reportage ma mantenere l’umanità e stupirsi del male è fondamentale per trasmetterlo ai lettori. Non puoi restare insensibile quando dalle macerie spuntano mani e gambe dei combattenti e dei civili. Se sei impassibile vuol dire che è ora di appendere al chiodo il giubbotto antiproiettili».
Quante volte ha rischiato di lasciarci la pelle?
«Tante. Sono stato ferito gravemente a Kabul, sono stato prigioniero sette mesi nelle carceri afghane durante l’invasione sovietica, mi hanno sbattuto a un muro e volevano fucilarmi, a Sirte i pezzi del corpo di un kamikaze mi sono caduti addosso…».
Il reporter di guerra riesce a portare avanti una vita normale con affetti familiari?
«Assolutamente sì altrimenti vai fuori di testa. Ho il mio porto sicuro che è Trieste e la mia famiglia. Quando torno mi piace farlo sempre con il treno che costeggia il golfo per rendermi conto di quanto siamo fortunati a vivere in pace».
Una carriera così lunga le permette di aver attraversato molti dei cambiamenti tecnologici che hanno modificato la professione del giornalista. Quello in cui siamo immersi ora, delle reti e dei social media, è il più sconvolgente? «Ho cominciato con un Olivetti 32, il fax era miraggio e c’era il telex. Nel 2003 in Iraq avevo un palmare satellitare in mezzo al deserto. Ho iniziato come fotografo con i rullini senza sapere cosa avevo scattato e oggi il 30 percento delle mie foto le faccio con un Iphone perché è più comodo. Non si deve avere paura dei cambiamenti ma non bisogna pensare che grazie a internet si possa fare il lavoro senza andare sul posto».
Ha fatto riferimento al fenomeno foreign fighter. Di Ravenna si è detto più volte sulla stampa anche nazionale di quanti ne siano transitati. Come legge il dato? «So che Ravenna è una delle città con una buona incidenza di amanti della guerra santa. Perché è una città non tanto grande e queste persone si sono spostate dalla grande città verso la provincia. Il punto di domanda è: quelli che si sono estremizzati e magari sono partiti, ora torneranno? E saremo in grado di capire eventuali minacce?».
Il sindaco difende il progetto da oltre venti milioni di euro a cui si lavora da anni e che dovrebbe vedere la luce entro fine 2018
«Un museo capace di raccontare, sulla scorta delle esperienze già in essere a Berlino, Parigi, Bologna, in modo innovativo emozionante e coinvolgente, la storia della città e del suo territorio». È così che Michele de Pascale, sindaco di Ravenna, descrive il museo di Classe di prossima apertura al pubblico (le ultime dichiarazioni parlano di «tardo autunno 2018»). L’intervento del primo cittadino, a difesa di un intervento che costerà in complesso più di 20 milioni di euro, arriva dopo la pubblicazione su queste pagine dei dettagli del piano economico fatto elaborare nel 2013 da una società specializzata. Dalla lista civica La Pigna sono arrivate critiche. L’aggiornamento dello studio verrà presentato pubblicamente in giugno.
«Non mi rassegno ad un dibattito politico che non riesce, almeno in questi casi, a trovare coesione e a focalizzare insieme gli obbiettivi strategici – dice De Pascale –. In una città dall’inestimabile patrimonio culturale nei prossimi tre anni vedranno la luce due nuovi musei, Classe appunto e il Museo Byron e del Risorgimento, e uno verrà completamente rinnovato, il Museo Dantesco. Quante altre città italiane possono vantare un così significativo investimento nell’offerta culturale?».
Classe
Il sindaco elogia l’intervento nell’ex zuccherificio di Classe: «Con l’inaugurazione del museo verrà restituita alla città una intera area che versava, a metà degli anni ‘90, in prossimità di un sito Unesco, in una situazione di indicibile degrado. Al recupero di oltre 5000 mq. di superficie nel corpo della vecchia fabbrica e dell’edificio di ingresso, fa riscontro l’allestimento di una vasta area a verde per 15.000 mq, che sarà a disposizione della città anche indipendentemente dagli orari di apertura del museo».
Ma come sarà il museo di Classe? «Progettato da un autorevole comitato scientifico presieduto dal professor Carandini che ne ha definito anche la dotazione dei reperti, sarà un “Museo della Città e del Territorio”. Un museo di reperti emblematici ed apparati illustrativi legati alle moderne tecnologie, con continui rinvii ai territori d’origine, tutti protagonisti di una grande storia comune. Un luogo d’accesso e massima valorizzazione dell’intero patrimonio storico-artistico ed archeologico del nostro ricchissimo territorio. Vivo e vitale, con una molteplicità di funzioni: restauro, attività di studio e ricerca, attività espositiva, laboratori didattici, laboratori di inclusione digitale per la sperimentazione di start-up innovative, luogo aperto ad accogliere ed ospitare le istanze partecipative del territorio».
Lo studio del 2013 mette in luce le difficoltà del sostentamento di questo museo: «Ci ha guidato la consapevolezza, universalmente condivisa, che i musei non fanno utili, come non fanno utili lo spettacolo dal vivo, i festival, le biblioteche e tutti quei beni comuni che sono dirimenti per la crescita, la coesione sociale, il benessere di una comunità e in quanto tali anche decisivi per il suo sviluppo economico e sociale. Perché gli obiettivi che ci poniamo sono ambiziosi, a partire dalla ricerca di nuovi pubblici e dal prolungamento della permanenza dei turisti nella nostra città, per effetto del percorso della archeologia costruito in questi anni, di cui il museo è asse portante e per effetto del “sistema Classe”, che in virtù del recente accordo di valorizzazione, sottoscritto col Mibact, è oggi possibile mettere in connessione».
In manette un 37enne: padre e figlio minacciati l’hanno seguito tenendo i contatti telefonici con la centrale operativa
Dalla propria auto hanno mandato a quel paese un camionista per una banale questione di precedenza, lui ha fermato il camion in strada impedendo alla vettura di proseguire ed è sceso a minacciarli con un coltello in mano. Un 37enne romeno è stato arrestato dalle forze dell’ordine, nella mattinata di ieri 25 maggio sul tratto ravennate della statale 16 Adriatica, con le accuse di violenza privata, minaccia grave e porto abusivo di armi.
L’uomo si era rimesso in cabina appena accortosi che i due automobilisti, padre e figlio, avevano preso in mano il telefonino. I due infatti hanno chiamato il numero unico di pronto intervento e hanno seguito il mezzo pesante restando in contatto telefonico con la centrale operativa. Una pattuglia ha bloccato il campion dopo che aveva imboccato la Classicana in direzione del porto. Nel minifrigo del veicolo c’era il coltello.
Solo in parte recintato un deposito incustodito di materiale e pozzetti senza coperchio tra l’erba alta
Cantiere edile sequestrato dalla polizia municipale a Lido Adriano
«Particolarmente pericolosa per la pubblica incolumità»: questa la motivazione che ha portato al sequestro preventivo eseguito dalla polizia municipale ieri, 25 maggio, di un’area in stato di abbandono a Lido Adriano, tra viale Verdi e via Seppilli.
Si tratta di un terreno edificabile dove i vigili hanno trovato un deposito di materiale edile (mattoni, tubi in ferro arrugginiti, etc), pozzetti senza coperchio semi nascosti dall’erba alta, una recinzione metallica fatiscente e pericolosa per la fuoriuscita di spuntoni. Un frammento della recinzione invadeva il marciapiede ostruendolo totalmente.
Ipotizzato il reato di omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari (673 cp) e non essendo immediatamente rintracciabili i responsabili del cantiere, la polizia municipale ha provveduto a chiudere l’area e sottoporla a sequestro in attesa delle determinazioni dell’autorità giudiziaria.