Imperdibile Lars Von Trier: un film (il migliore dell’anno) di cui vorrete parlare

In sala The House that Jack Built, l’ultimo discusso lavoro del grande regista danese che ha diviso la critica a Venezia. E qualche nota a margine sugli Oscar

The House That Jack Built

Un fotogramma dell’ultimo film di Lars Von Trier

È uscito il 28 febbraio quello che per me è il migliore film dell’anno; il più controverso, a partire dalle critiche divise a Cannes, anche perché l’autore da tempo divide il mondo tra adoranti discepoli e feroci detrattori. Ma comunque la si possa pensare, nessuno potrà rimanere indifferente davanti a The House That Jack Built del mitico Lars Von Trier.

Sono gli anni ’70, o forse l’inizio degli ’80. Matt Dillon è il grigio e solitario ingegnere Jack, con velleità da architetto creativo e maniaco compulsivo della pulizia.
Jack è anche un serial killer. Di quelli usciti dritti da Underworld di De Lillo, che spalmano la maionese solo su un lato del panino e che uccidono non per sadismo, ma per necessità. Un serial killer a cui il sangue non piace perché sporca; che uccide quasi solo donne perché, dice, “sono più collaborative” – che forse sia misogino come Lars Von Trier? E quale sarà il cuore nero che lo divora? Quale la sua ossessione? Quale origine psichica nel suo male?

Nulla di tutto ciò. Jack ne ha uccisi 60, di esseri umani. Ma noi nel film ne vediamo solo 5 – rappresentati come 5 incidenti, con un epilogo catabasi. La prima vittima sarà Uma Thurman. E ad ascoltarlo, giudice impietoso ma non moralistico, un Virgilio (ultimo grande ruolo del compianto Bruno Ganz) che lo osserva in questo fantastico viaggio che nasce nell’America postmoderna, e si alimenta di Arte, perché per Jack l’Assassinio è una delle Belle Arti, alla De Quincey, dove i cadaveri delle vittime vengono messi in posa per fotografie d’Arte (alla Joel Peter Witkin) da esporre nella prossima Mostra delle Atrocità di James G. Ballard, ascoltando le variazioni Goldberg di Bach eseguite da Glenn Gould (la grande passione del collega cannibale Hannibal Lecter); per poi coltivare il sogno di ogni ingegnere: costruire la propria casa, la Casa di Jack, a partire dall’omicidio, intrecciando la poesia di Goethe e l’architettura nazista… E Virgilio lo segue, lo ascolta, lo detesta, lo accusa – e lo porterà, alla fine, nel suo luogo naturale di appartenenza: l’Inferno…

Film complesso, sterminato nei riferimenti ed essenziale nel plot, nel quale Lars Von Trier scatena il suo miglior umorismo nero, giocando nel mettere in scena con un sorriso ambiguo tutte le accuse di misoginia e antisemitismo ricevute negli anni scorsi, per farsene beffa e costruire un film in perfetta continuità con suoi i precedenti. Perché questo serial killer Matt Dillon sembra il fratello maggiore della Joe (Charlotte Gainsbourg) di Nymphomaniac, che ha capito come sconfiggere un mondo apocalittico alla Melancholia convertendo in Arte, ponderata e controllata, ogni violenza che esisteva in Antichrist. Imperdibile.
Poi, appena terminata la visione, non potrete fare a meno di parlarne. Bene o male poco importa, ma ne vorrete a tutti i costi parlare con qualcuno, perché non rimarrete indifferenti.

Nota a margine sugli Oscar.
Miglior film straniero e miglior regia a Roma di Alfonso Cuaròn: logico e meritato.

Miglior Attrice a Olivia Colman per La Favorita: logico e meritatissimo.

Miglior film a Green Book di Peter Farrell: logico e meritatissimo ed emblematico. La storia di un sottoproletario italo-americano e della sua amicizia con un sofisticato musicista di colore nell’America razzista degli anni ’50. (Sottolineo italo-americano, ci fa bene ricordarlo).

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