Baldini: «Così racconto il sogno catartico della fuga»

Lo scrittore sulla genesi del suo ultimo romanzo “Stirpe Selvaggia”, ambientato negli Appennini tosco-romagnoli

Eraldo Baldini

Dopo aver letto in anteprima il romanzo, abbiamo rivolto allo scrittore ravennate Eraldo Baldini qualche domanda sul suo ultimo lavoro, “Stirpe selvaggia”.

Eraldo, questo libro sembra una sorta di summa della tua poetica e allo stesso tempo una cosa nuova. Era quello che avevi in mente quando hai iniziato a scriverlo?
«Diciamo che volevo sicuramente scrivere un romanzo libero da vincoli di genere, un libro con un respiro ampio, in cui approfondire la psicologia dei personaggi, che coprisse anche un arco temporale piuttosto ampio. Ma allo stesso tempo, devo dire che l’idea di partenza era solo quella del figlio di Buffalo Bill…»
Dello spettacolo che Buffalo Bill tenne a Ravenna nel 1906 avevi già parlato, è esatto?
«Sì, anni fa in un breve racconto. Era una storia  che mi ha narrato spesso mio nonno, che da San Pancrazio andò appunto a vedere quel circo in città e che mi ha sempre colpito».
Ma da qui a immaginare che ci fosse un figlio di Buffalo Bill in giro per la Romagna…
«In realtà, questa storia è un po’ come quella delle famiglie che aiutarono il Passatore: è una sorta di leggenda non metropolitana, ma rurale, che ho sentito a volte nelle campagne. E considerato il personaggio, non è poi nemmeno da escludere che qualche traccia di realtà ci fosse, in certi racconti…»
Qui però hai colto la suggestione per dar vita a un protagonista, Amerigo, appunto chiamato Bill, che è in realtà un personaggio tormentato…
«Sì, per certi versi è un selvaggio; fin da quando è bambino tutti si aspettano, per via della sua ascendenza, grandi cose da lui, e lui invece tende a scappare, a cercare la solitudine».
Nel mondo iperconnesso, che significato ha la scelta di un personaggio simile?
«Credo sia esattamente una della aspirazioni contrastanti di ognuno di noi o quasi: da una parte c’è il desiderio dell’affermazione sociale e dall’altra quella di sfuggire a ogni tipo condizionamento e legame. Credo sia un sogno catartico che in pochi riescono a scegliere di vivere, ma che almeno una volta tutti noi abbiamo formulato. Bill è un indiano della Romagna, insomma».
La Romagna, ancora una volta presente, e raccontata durante un’epoca che fu di passaggio.
«Sì, il libro racconta circa cinquant’anni in cui vediamo andare in disfacimento quel mondo magico rurale che aveva per secoli caratterizzato la vita delle comunità. Soprattutto all’inizio non mancano anche situazioni iperboliche, che con il tempo non avranno più spazio e modo di essere, lasciando il protagonista ancora più solo».
Eppure non c’è rimpianto per i bei tempi andati.
«No, nessun rimpianto. Erano comunità in cui la durezza del vivere quotidiano era mitigata da soccorsi reciproci, in cui le persone sapevano aiutarsi e ridere insieme, ma in cui covavano anche frizioni, invidie e rancori profondi».
È sbagliato vedere nel libro un occhio di riguardo per quelli più ai margini? È un caso che i personaggi antagonisti, se così si può dire, siano anche quelli più benestanti?
«Beh, l’attenzione agli umili c’è sicuramente, ma quelli che tu chiami “antagonisti” sono soprattutto estranei alla comunità, gente che arriva da fuori e si comporta come se fossero colonialisti alle prese con popolazioni primitive che non sono in grado di capire».
La vicenda incrocia anche la storia con la S maiuscola, le due guerre, il fascismo ma sembra quasi uno sfondo rispetto a temi più universali e nemmeno il giudizio verso chi, tra i tuoi personaggi, scelse il fascismo sembra troppo duro…
«È così. Tra i personaggi c’è anche chi diventerà fascista, ma lo farà come molti altri, senza infamia e senza lode, credendoci e attraversando quell’esperienza senza macchiarsi di particolari misfatti; quindi non c’è una vera condanna sotto il profilo umano, semmai solo politico e storico. Le scelte dei personaggi principali sono dovute più alle loro forme caratteriali, o se vuoi al caso. Non mi piacciano le suddivisioni e le categorizzazioni manichee, che nella vita reale spesso non hanno riscontri ».
Dopo un libro come questo, vien da chiedersi, cosa potrai scrivere dopo?
«È quello che mi chiedo sempre quando finisco un libro. Ma in realtà una nuova idea in testa ce l’ho già…»

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