GialloLuna e l’altra faccia della letteratura: “Il genere? Una scelta di campo”

A tu per tu con il direttore del festival ravennate, Nevio Galeati

Nevio GaleatiGiunto alla XVI edizione, il festival letterario GialloLuna NeroNotte continua, a Ravenna, a esplorare le vie dei generi sotto la direzione artistica di Nevio Galeati, scrittore egli stesso, a lungo giornalista di cronaca nera, amante e conoscitore di generi letterari anche diversi, dal fumetto al romanzo.

Locandina Gialloluna

Direttore, quale sono le caratteristiche principali di questa nuova edizione di GialloLuna NeroNotte?
«Una in particolare: allarghiamo la visuale a tutta la letteratura popolare. Già in alcune occasioni ci siamo spinti timidamente in altri territori, dall’horror al fantasy. Ma senza dichiararlo, quasi di nascosto. Quest’anno, invece, dividiamo il programma in due e, insieme ad alcune preziose novità “in giallo”, apriamo con la fantascienza, partendo da Frankenstein. Forse corriamo un rischio, ma è nel nostro mandato tentare di far conoscere “l’altra faccia della letteratura”. Vorrei diventasse il nuovo corso della rassegna».
Ha ancora senso parlare di generi in letteratura? E come definiamo il genere oggi?
«Ecco, i generi. Provo a rovesciare la domanda: ha senso parlare di letteratura senza generi? Secondo me no. Jorge L. Borges diceva, un sacco di anni fa: “…i generi letterari dipendono, forse, meno dai testi che dal modo in cui i testi vengono letti” (Oral, 1981). Poi i generi impongono disciplina, conoscenza di canoni severi, che i lettori cercano e riconoscono. Seguendo quelle regole, si possono raccontare – e si raccontano – tutte le storie del mondo. Il “genere” è una scelta di campo e di linguaggio, con grande rispetto per il lettore. Per questo, non è quasi mai autoreferenziale».
Ma qual è lo stato di salute del giallo oggi in Italia? Non è diventato un po’ troppo inflazionato? Una via “comoda” per tenere alta l’attenzione del lettore, ma spesso magari con pochi elementi di reale novità?
«Non è la categoria letteraria a essersi consumata, è che la praticano in troppi e si dovrebbero sfoltire le fila. Perché scrivere buoni romanzi gialli – o horror, intendiamoci – è difficile. Invece troppi autori ed editori pensano sia sufficiente mescolare un commissario che va al ristorante e piace alle donne, un paio di cadaveri o un serial killer – quindi sangue a volontà –, ambientazioni quasi da guida turistica e il gioco è fatto. Quindi, sì, c’è un’inflazione, ma di brutti “gialli”. La responsabilità è anche nostra: non diciamo più che un libro è brutto; così girano romanzi imbarazzanti, senza che si alzi un dito…».
Il festival ha sempre dedicato grande attenzione anche ai linguaggi dell’illustrazione, del fumetto, alle copertine. Quali sono secondo lei i progetti editoriali più interessanti oggi in Italia sotto questo profilo?
«Le copertine, e l’intero settore, soffrono per la crisi economica. Costa meno acquistare immagini dai repertori online, che far lavorare gli illustratori. Così, in molti casi, la qualità precipita. Per fortuna la rinnovata attenzione per i fumetti ha riportato in edicola le ristampe dei migliori autori degli anni Sessanta e Settanta; e il nuovo “Linus” è interessante. In libreria si moltiplicano le “storie a fumetti”, che fa chic chiamare graphic novel, sia contemporanee, penso a Davide Reviati, Gipi, Zerocalcare; sia recuperando autori come Eisner, Battaglia e altri classici. Anche qui, però, vedo il rischio dell’inflazione…»
GialloLuna collabora con Nightmare Film Fest da tempo, oggi c’è chi dice che le serie tv hanno appagato tutto il nostro bisogno di narrazione. È così? Cosa ha ancora la parola scritta che non hanno cinema o tv?
«Il modo di fruizione e la libertà di interpretazione sono diversi. Il libro è ancora intimo e solitario; scava in un altro modo nella mente. Un esempio: “Sorpresero il bambino a combinare qualcosa di brutto sotto le gradinate dello stadio”. È una frase da Cristalli sognanti, capolavoro del 1950 di Theodore Sturgeon. Un conto è leggerla, un altro pensarla trasferita in immagini. Certo, ci sono registi maestri nel descrivere situazioni angoscianti o piene di tenerezze. Ma il testo scritto ha registri propri straordinari e inimitabili. Per questo, forse, film e serie tv tratte da romanzi sono quasi sempre meno affascinanti dell’originale…».
Da anni portate avanti un concorso per testi inediti. Cosa arriva e come sono cambiate le proposte degli aspiranti scrittori?
«La qualità è, in media, aumentata. Restano i vizi cui facevo cenno parlando dell’inflazione del giallo. Quindi si trovano “procedure di indagine” irreali e sbagliate, “figlie” delle serie tv Usa e altri piccoli orrori. La cosa interessante è che la maggior parte si applica, si documenta, studia insomma. Lo so: sono monotono, ma è da lì che si deve passare».
Il festival ha fatto parte anche di progetti di promozione alla lettura, in un paese dove i lettori non crescono. Come invertire questa tendenza?
«Partendo dalla scuola. Provare a far sentire che leggere è prima di tutto un piacere. È quello che stiamo tentando di fare da un po’ di tempo. Però devono esserne convinti, per primi, i docenti. È possibile, anzi, si deve far leggere I promessi sposi, l’Odissea e Jacopo Ortis, ma facendo seguire altri percorsi rispetto a quelli di oggi. Un po’ come nella citazione di Borges, cambiando atteggiamento mentale e capendo, quindi, che Renzo e Lucia sono anche i protagonisti di un favoloso feuilleton. La potenza della lingua di Manzoni si scopre meglio facendosi affascinare dall’intrigo».

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