L’anno della maturità della Brunori Sas

Il cantautore calabrese si gode il successo del suo ultimo disco: «Più serio, anche se resto un “cazzone” dentro»

BrunoriSAs 79

In settembre compirà 40 anni, Dario Brunori, ed è stato fin troppo facile per molti addetti ai lavori parlare del suo ultimo disco come di quello della maturità del cantautore calabrese, per tutti Brunori Sas, dal nome della ditta di mattoni della famiglia, dove avrebbe dovuto lavorare anche lui se non fosse riuscito a fare della sua passione un mestiere. Oggi Brunori Sas è diventato invece un nome di successo all’interno della scena più o meno alternativa italiana, in grado di fare 18 sold out su 18 concerti nei maggiori club della Penisola nel tour invernale di presentazione del suo quarto album, A casa tutto bene, ora in procinto probabilmente di replicare il successo con le nuove date estive, che l’hanno visto a Sogliano al Rubicone il 14 luglio.
Dobbiamo attenderci novità rispetto al tour invernale?
«Diciamo che ne seguirà la scia, perché la pubblicazione dell’album è ancora molto recente (è uscito in gennaio, ndr) e sul palco siamo sempre noi sette (la band storica con tanto di synth, pianoforte, violoncello, mandolini, fiati e violino, ndr), ma abbiamo modificato la scaletta, l’abbiamo rimpolpata con pezzi diversi, seguiremo un filo logico nuovo».
Quando ti sei accorto di aver raggiunto qualcosa di molto simile al successo?
«Sicuramente un segnale importante è stato il passaggio in radio dei pezzi dell’ultimo disco, non era mai capitato con quella frequenza e su network commerciali. Avevamo comunque già notato con il passare del tempo un aumento del numero degli spettatori ai concerti, un aumento graduale e senza “traumi”: sono molto contento di essere riuscito ad allargare la base in modo abbastanza naturale, senza tradire lo spirito delle canzoni, preservando l’aspetto artistico. Per questo motivo lo sto vivendo molto tranquillamente, questo successo».
Quindi conta ancora la radio? Non le strategie di marketing sui social network come per alcuni tuoi colleghi dell’indie italiano?
«Tutti facciamo, nel nostro piccolo, un po’ di marketing, altrimenti faremmo un altro lavoro… Ci deve essere un po’ di mestiere anche nel fare musica, ma l’importante è mantenere la propria indipendenza, darsi obiettivi da raggiungere dal punto di vista artistico».

 

Con “La verità” ha vinto il Premio Tenco per la canzone:
«È nata di getto in cinque minuti: l’incipit qualcosa di magico…»

E ce li hanno, secondo te, i vari Calcutta, Cani, Thegiornalisti, al centro delle polemiche degli addetti ai lavori in questi anni a causa del loro successo secondo alcuni fin troppo ricercato?
«Loro sono molto onesti, abbiamo avuto l’occasione di conoscerci, in questi anni, e mi pare che stiano facendo quello che gli piace. Certo, non rappresentano la parte davvero “alternativa” della scena italiana, ma hanno scelto loro di avere un più ampio respiro. Purtroppo è facile puntare il dito, da parte di giornalisti e addetti ai lavori, ma credo debba restare tutto un grande gioco, da non prendere troppo sul serio. Se qualcuno cerca qualcosa di nuovo da ascoltare per differenziarsi davvero dal resto della gente, le proposte anche in Italia, anche oggi, non mancano…».
Non si può più parlare però di scena alternativa italiana…
«Con il web tutto è in mutazione, la scena è virtuale, mentre quando ho cominciato io ce n’era una reale, concreta, fatta di circuiti, di festival, di locali, di artisti e di un pubblico che si ritrovava in certi ambiti, con criteri di appartenenza determinati, con barriere meno labili rispetto a oggi».
Cosa piace al pubblico, secondo te, delle tue canzoni?
«Domanda difficile con risposta che rischia di essere autocelebrativa. Ci provo comunque: forse il mio modo di scrivere e cantare le cose, che parte sempre da un racconto interiore, da una base di verità, un’onestà che spero venga colta dal pubblico. Poi il mio ultimo disco forse è piaciuto perché è un po’ più serio rispetto al passato e cerca di analizzare cose diverse (non più l’amore, ha dichiarato Brunori spesso in questi mesi, ma la paura, le debolezze della gente, ndr)…».
Il tuo disco è in effetti più serio, come dici tu, rispetto al passato, il classico album della maturità appunto, per usare un’espressione abusata. Ti è venuto così, spontaneamente?
«In realtà ho cercato fin da subito di limitare la mia parte ironica, seppur ancora presente e pur restando un “cazzone” dentro. L’intenzione del disco era proprio quella di usare toni più asciutti, di trovare un modo per far riflettere qualcuno…».
È presente certo una critica alla società, in effetti, ma fortunatamente non sei salito su alcun piedistallo…
«Credo che un autore si debba preoccupare anche di quello che funziona o non funziona nel mondo. Personalmente, sono d’accordo con te, l’ho voluto fare analizzando il mio vissuto, cercando di descrivere  quello che vedo, senza voler fare il predicozzo, o pontificare. Mi pare sia andata abbastanza liscia, di aver messo più che altro sul piatto delle domande, che spero si faccia anche qualche mio ascoltatore…».
In particolare mi pare che nel mirino sia finito anche il web. Che rapporto hai con i social?
«Quasi voyeuristico, nel senso che mi limito spesso a guardare, a osservare. Ho sempre avuto una bonaria diffidenza verso le nuove tecnologie, forse a causa della mia provenienza dalla provincia. Penso che prima si debba cercare di comprendere bene questi strumenti, per non farsi fagocitare. Allo stesso modo per un artista credo sia interessante capire le dinamiche umane, anche sui social. E a questo proposito credo anche che si debba stare attenti a dare giudizi affrettati, limitandoci solo al web: i social convogliano emozioni negative e tirano fuori il peggio di ognuno, non sono il mondo vero, per fortuna».
Tornando alla musica, è appena stata assegnata la targa Tenco per la più bella canzone dell’anno al pezzo che apre il tuo ultimo disco, “La verità”, che in effetti rappresenta un po’ tutto quello che dovrebbe avere una canzone in ambito cantautorale. Come è nata? Come nascono i tuoi pezzi?
«“La verità” (il cui video è stato visto da oltre 2 milioni di utenti su Youtube, ndr) è nata in cinque minuti, di getto, spesso le migliori nascono così, come magari “di getto” piacciono alle persone. Non ho metodi particolari di scrittura, mi metto semplicemente a suonare in tranquillità, provando a buttare giù pensieri e accordi. Nel caso de “La verità” l’incipit della canzone, la prima strofa, che è forse la sua forza (“Te ne sei accorto sì / Che parti per scalare le montagne / E poi ti fermi al primo ristorante / E non ci pensi più”, ndr), è nato davvero come qualcosa di magico, un fenomeno del tutto irrazionale. Poi da quella ispirazione iniziale ovviamente segue molto lavoro, diventano fondamentali i collaboratori, e il bello è che appunto una canzone perfetta unisce una parte irrazionale, l’ispirazione, a una razionale, il lavoro, per aggiustarne la forma».
A quali altre sei affezionato?  
«In questo momento non riesco a rispondere, perché sono ancora molto preso dal nuovo disco, sono molto contento dell’album nel complesso, credo sia uno di quei casi in cui le canzoni funzionano così, una dopo l’altra, insieme».
Lasciando da parte i classici, ci sono dischi nuovi di altri artisti che consiglieresti ai tuoi fan? E quali invece ti hanno influenzato nella composizione del tuo ultimo disco, così vario nei suoni?
«In questi ultimi mesi praticamente non sto ascoltando musica nuova e sono in difficoltà a dare consigli. Durante la composizione invece probabilmente si sente l’influenza di un disco come “Morning Phase” di Beck, che ho divorato, o degli Other Lives (in altre interviste Brunori ha citato più volte anche Arcade Fire, Beirut e Sufjan Stevens, ndr) ma ci sono molte altre cose dentro, che provengono dal mio passato…».

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