I Marlene Kuntz festeggiano i trent’anni: «Quando in Italia esplose il rock…»

Parla Cristiano Godano: «L’indie di oggi è semplicemente pop. I talent? Servono solo per fare soldi»

Marlene KuntzTornano (il 5 ottobre) al Vidia di Cesena i Marlene Kuntz, band piemontese che ha fatto la storia del rock cantato in italiano e che celebra i 30 anni di carriera con un tour che originariamente sarebbe dovuto essere estivo, poi però rinviato a causa della tendinite del batterista Luca Bergia.

Ne abbiamo parlato con il frontman, Cristiano Godano.

Diciamo che avete avuto più tempo per prepararvi…
«In realtà quando abbiamo capito che non si sarebbe potuto fare in estate abbiamo avuto un calo di adrenalina e siamo andati in vacanza…».

Che concerto sarà quello di Cesena?
«In questo tour celebriamo i nostri primi 30 anni e in particolare i 20 anni del nostro terzo album, Ho ucciso paranoia, con un set doppio, come ci sta piacendo fare ultimamente, una parte acustica e una elettrica. E un finale con i pezzi che crediamo siano più graditi dal nostro pubblico».

Una celebrazione di un periodo, gli anni novanta, in cui avete fatto la storia del rock in Italia…
«I primi tre album hanno rappresentato un momento mitico per molti, in quel periodo un certo tipo di rock ebbe effettivamente una sua esplosione in Italia, un po’ come sta succedendo oggi, con numeri diversi, con l’indie. Che però io preferirei definire semplicemente pop, che è un’altra cosa».

In quegli anni siete passati spesso anche da queste parti, avete un legame particolare con la Romagna?
«Pensando alla Romagna mi viene in mente uno dei luoghi mitici del rock italiano che ora non esiste più, lo Slego prima e il Velvet poi, locale che ha nutrito il mio immaginario prima da ascoltatore e poi anche da musicista».

Hai avuto un percorso per tanti anni parallelo a quello di Manuel Agnelli, entrambi siete stati frontman carismatici di band fondamentali degli anni novanta e non solo italiani. Poi lui è diventato una celebrità grazie a X Factor. Cosa ne pensi di questo suo percorso, e dei talent in generale?
«Non mi è mai capitato di guardare talent, credo siano solo un’occasione per dare vigore alla propria visibilità e per rimpinguare le proprie tasche».

Lo faresti il giudice a X Factor?
«Non dipende da me, prima di tutto dovrebbero chiedermelo…».

Quali sono stati i momenti più gratificanti della tua carriera? Ricordo per esempio di avervi visto a un festival in cui ad aprire il vostro concerto c’erano i Coldplay…
«Ma loro dovevano ancora diventare famosi, in Italia… Difficile identificare un momenti topico, a fare la differenza è stata invece una leggera, lenta, confortevole sensazione di star riuscendo poco alla volta a vivere della nostra musica. Certo che avere il pianoforte di Paolo Conte in una nostra canzone significa che abbiamo fatto forse cose importanti. Così come duettare con Patti Smith a Sanremo, o collaborare con Skin…».

Che rapporto avete con il vostro pubblico? Ci sono stati momenti in cui i fan si sono quasi ribellati a un vostro presunto “ammorbidimento”…
«Chi ha sempre seguito i Marlene sa che ne ho già parlato più volte, si tratta di un tema un po’ sciocco, anche un po’ dannoso. Si è creato questo pregiudizio che i veri Marlene sono quelli dei primi tre dischi, la solita solfa, ormai noiosa…».

Qual è il segreto invece per far durare una band trent’anni, con gli stessi membri originali?
«Non lo so, forse potrei tirare in gioco l’intelligenza. Quella di capire che in una band ognuno ha un ruolo prezioso per tutti gli altri. Se penso agli Afterhours, per citare nuovamente Manuel, lui li ha cambiati tutti, poco alla volta. Noi invece (insieme a Godano ci sono da 30 anni il batterista Luca Bergia e il chitarrista Riccardo Tesio, ndr) ci sentiamo un gruppo a tutti gli effetti, un progetto nato paritario, all’insegna dell’amicizia e della “solidarietà”».

Come nascono i tuoi testi, così rappresentativi del gruppo, e come si è modificata la tua scrittura?
«Ne parlo in un libro uscito da poco, Nuotando nell’aria, che mi permetto di consigliare a chi è interessato al tema. Qui posso solo dire che credo di essermi evoluto, ho cercato di non ripetere me stesso. In particolare ho coltivato il valore della consapevolezza, cercando di sapere sempre quello che stavo facendo. Rispetto io per primo l’artista che mi spiega e mi fa capire il suo tipo di percorso. Continuo a pensare che scrivere una canzone deve essere una risoluzione a un problema, un modo per aggirare gli ostacoli».

Ci sono altri artisti che credi abbiano questa consapevolezza, oggi in Italia?
«Non lo so, ma non sono sicuro sia un valore così cruciale. Quello che faccio io è molto relegato a una dimensione in fondo di nicchia. non è facile, molta gente ha difficoltà ad approcciare un pezzo dei Marlene. Chi ha un successo più corposo forse avrà un segreto, io faccio qualcosa di più complicato, che però riesco comunque a trasformare in canzone».

Cosa puoi dirci del tuo album solista, annunciato nei mesi scorsi?
«Solo che uscirà tra gennaio e marzo».

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