Tony Allen, il motore dell’afrobeat

Potenza e raffinatezza nel drumming di una leggenda delle percussioni fra jazz e tessiture sonore del continente nero

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Tony Hallen

Facciamo un pochino di storia della batteria? Max Roach, Art Blakey, Elvin Jones nel jazz, Ringo Starr, Ginger Baker, John Bonham dei Led Zeppelin nel rock, sono i primi nomi che vengono in mente. Ma se si parla di musica africana uno solo spicca su tutti: Tony Allen, il motore dell’Afrobeat, ovvero quella musica che lui e l’indimenticabile Fela Kuti si inventarono sul finire degli anni Sessanta gettando un ponte fra i più trascinanti ritmi africani e il furore del jazz più combattivo.

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Classe 1940, nato a Lagos, Tony Allen ha creato insieme al carismatico compagno di avventura un ritmo nuovo, una pulsione, un battito. Qualcosa di unico che ha lasciato il segno non solo nella musica africana: Fela Kuti ci ha lasciati da tempo, nel 1997, dopo una vita travagliata e intensa come poche, e il testimone non poteva che passare a colui che per più di 15 anni, e oltre 50 dischi, è stato fedelmente al suo fianco, anche nelle vesti di direttore musicale degli Africa 70, il gruppo di Fela.
Per Ravenna Festival 2017, Tony Allen lo vedremo in azione il 17 giugno a Russi, sul palcoscenico allestito a Palazzo San Giacomo, accompagnato dalla sua band: Indy Dibongue alla chitarra, Jean Phi Daqry alle tastiere, Cesar Anot al basso, Patrick Gorce alle percussioni, Nicolas Girad alla tromba e Yann Jankielewicz a sax e tastiere.
Tony Allen non è un batterista jazz come comunemente si intende, e nemmeno rock. È tutte le due cose insieme: è un concentrato di energia e di raffinatezze, di flessibilità e di precisione. Il ritmo dell’Afrobeat è questo. Tony Allen è partito dalle pulsazioni dell’Africa per riconsegnarle al mondo con una nuova potenza: nel suo drumming  c’è la vitalità e la forza primordiale di questi  ritmi e la voglia di sottometterli a nuove sperimentazioni, mescolandoli con suoni moderni.
Dopo la collaborazione con Fela Kuti, la sua carriera lo ha portato ad intraprendere una ricerca ininterrotta tra le sonorità dell’Afrobeat originale ed  emancipazioni multidirezionali che spaziano dal Dub allo Space jazz, ma anche al pop. Numerosissimi i progetti e le collaborazioni: in anni recenti, la più importante è sicuramente quella con Damon Albarn dei Blur. Dal 2000 i due hanno lavorato fianco a fianco in numerosi progetti,  tra i quali The Good The Bad & The Queen e Rocket Juice and The Moon.
A suo nome Tony Allen ha inciso numerosi album, l’ultimo dei quali è Film of Life, una retrospettiva sulla sua carriera o, meglio ancora, una versione in Technicolor dell’Afrobeat. Per crearlo, il batterista nigeriano non si è accontentato di vivere di rendita: ha rimescolato le carte e ne ha affidato la produzione a un giovane trio francese,
The Jazzbastards.
Ma il miglior film della sua vita Tony Allen lo racconta ogni volta che sale su di un palcoscenico: è qui che questo autentico stregone della batteria, che ha imparato a suonare il suo strumento tutto da solo,
dà il meglio di sé.

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