Ricostruzione della danza futurista. Intervista a Marinella Guatterini

In occasione delle coreografie di “Uccidiamo il chiaro di luna” di Silvana Barbarini, ennesima tappa del progetto RIC.CI

Danza Futurista

L’eredità di una ballerina stanca delle punte, un poeta-teorico visionario e sovversivo, la temperie di un mondo affamato di “elettricità”, di cambiamenti e ripidi moti ascensionali: in Uccidiamo il chiaro di luna di Silvana Barbarini, allieva della sola autentica “danzatrice futurista” documentata, sono le componenti di prima generazione. Unite al fervore artistico e creativo che si respirava nel milieu milanese della danza a fine Anni ’90 attorno alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, dove un nome su tutti rappresenta la chiave di volta: Marinella Guatterini. Esperta di teoria ed estetica della danza, docente, critica e saggista, a lei si deve l’intuizione del progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography anni Ottanta-Novanta) che ha riportato l’attenzione su di un capitolo straordinariamente fertile della creatività italiana, in ambito coreutico e culturale-artistico in generale.
RIC.CI ha infatti riportato sul palcoscenico – e anche al  Ravenna Festival – i lavori storicizzati delle compagnie che hanno segnato un’epoca: nel 2013 Ravenna ha riscoperto Duetto di Virgilio Sieni e Alessandro Certini (1989), La boule de neige di Fabrizio Monteverde (1985) e Calore di Enzo Cosimi (1982); mentre nel 2014 fu la volta di Pupilla di Valeria Magli (1983) e Terramara di Abbondanza/Bertoni, per finire nel 2015 con e-ink della compagnia MK, “ricostruito” per Aterballetto.

In attesa di conoscere (il 1 giugno al Teatro Alighieri) il lavoro che la Barbarini realizzò nel 1997, abbiamo chiesto a Marinella Guatterini uno stato dell’arte del suo progetto.

Marinella

Marinella Guatterini

Marinella Guatterini, qual è il tratto comune delle compagnie scelte in RIC.CI?
«Il progetto nasce con la volontà di rimettere in moto una memoria storica che le giovani generazioni non conoscono, perché poche compagnie di danza contemporanea in Italia sono riuscite a mantenere un loro repertorio, e anche nell’editoria è difficile avere un lavoro testuale che renda il sapore di un’epoca così lontana. Quarant’anni fa si è verificato un fenomeno di “esplosione” della coreografia italiana in direzioni che oggi possono risultare incomprensibili o ingiustamente superate. Calore di Cosimi ad esempio potrebbe essere tranquillamente datato all’altro ieri per la sua attualità.
In generale, le realtà di cui sono stati “ricostruiti” i lavori hanno una forte e definita poetica, pur andando in direzioni diverse. Calore è a tutt’oggi il lavoro più rappresentato, pur essendo stato il primo di Cosimi: contiene una chiaroveggenza, una sensibilità e una potenza straordinari».
Secondo lei quali fattori hanno determinato questo discrimine tra quell’epoca e l’attuale?
«Negli Anni ’80 si respirava un’aria diversa, le aspirazioni erano forti, l’attenzione solida: nei media cartacei c’era grande spazio, e ne trovava anche il dibattito su grandi personalità come Pina Bausch o Carolyn Carlson; ci si confrontava con la Nouvelle Danse francese, la New Dance belga e la nuova danza europea in generale.
Tutte queste compagnie avevano continuità e progettualità solida e complessa: in Duetto di Sieni ci sono un inizio e una fine, è un lavoro completo in cui nulla resta sospeso. Siccome i coreografi avevano un’urgenza espressiva forte, ricercavano potenzialità espressive altrettanto forti e hanno lavorato molto sul linguaggio. Una compagnia di oggi con caratteristiche simili è Dewey Dell».
In Uccidiamo il chiaro di luna invece cosa vedremo?
«La Barbarini già nel 1979 con Alessandra Manari, altra allieva di Giannina Censi – l’unica danzatrice “futurista” scoperta da Marinetti – ricompose il lavoro dell’insegnante, generando una corrente neofuturista che tornò ad ispirarsi ai materiali originali del movimento. Marinetti era lungimirante e nel Manifesto della Danza Futurista del ’17 fu straordinariamente lucido nel definire come doveva essere la danza del futuro. Silvana non aveva mai “osato” toccare le danze originali, ma quando venne da me nel ’97 ricostruì, anche se non filologicamente, le tre danze futuriste: dello Schrapnel, della Mitragliatrice e dell’Aviatrice».

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