La Provincia vuole sfrattare il bar Ramiro «Affitto e acqua, 52mila euro di debiti»

L’ente chiede un anno di canoni (3mila euro al mese) e 15 anni di fornitura idrica. Il titolare: «C’è un contenzioso, mi difenderò»

La Provincia di Ravenna vuole sfrattare il Caffè Ramiro dai suoi locali al piano terra del palazzo in piazza Caduti dove Ramiro Recine avviò l’attività 32 anni fa. Secondo la ricostruzione dell’amministrazione provinciale il bar ha un debito di 52mila euro, costituito da un anno di affitto (38mila) e quindici anni di fornitura idrica (14mila). Recine riconosce il ritardo nei canoni ma contesta il presunto debito dell’utenza e promette battaglia: «Non me ne vado».

L’amministrazione provinciale è bisognosa di risorse e la giunta Casadio ha scelto di passare alle maniere forti: nella riunione del 25 novembre scoso ha deliberato «di agire in tribunale per intimare lo sfratto per morosità e ottenere ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti». Nella delibera si legge inoltre che la Provincia ha richiesto e sollecitato più volte il pagamento sia verbalmente e sia per iscritto con raccomandate «ottenendo solo adempimenti parziali». L’11 marzo scorso è stato notificato un atto di ingiunzione di pagamento, «tentativo risultato privo di effetti». Recine nelle more ha effettuato parziali versamenti «imputati al credito complessivo vantato dalla Provincia». Che ha affidato l’incarico per l’assistenza legale all’avvocato Livia Molducci dell’ufficio legale interno all’ente e attualmente presidente del consiglio comunale a Ravenna.

L’avvocato Lucia Adinolfi che tutela l’attività commerciale parla di mossa inattesa arrivata senza preavviso. Non scende nei dettagli ma assicura che ci sarà opposizione al provvedimento con l’apertura di un contenzioso. Sul ritardo di dodici mesi di affitto Recine si limita a dire che sono subentrate delle problematiche mentre respinge l’addebito dei 14mila euro che la Provincia attribuisce al bar per fornitura idrica da settembre 1998 a dicembre 2014: «Non si è mai parlato di spese per l’acqua – dice Recine – perché un contatore non c’è e si è sempre detto che le spese erano comprese nel canone mensile. A un certo punto la Provincia è saltata fuori con le richieste per l’acqua ma era in corso una discussione». Più che una trattativa, l’avvocato Adinolfi parla di braccio di ferro. A partire dal 2010, quando è scaduto il contratto di affitto in corso e per il rinnovo la Provincia avrebbe imposto un raddoppio del canone mensile portandolo a tremila euro: «Hanno imposto la cifra – dice il legale –. Stavamo cercando di chiedere un ritocco al ribasso alla luce di prezzi più bassi praticati dalla Provincia in altri spazi di sua proprietà».

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