A scuola di “disegno brutto” per ritrovare uno spazio per se stessi

Parla l’illustratore Bonaccorsi che tiene un corso che è diventato un piccolo fenomeno di culto. A Ravenna, dopo le lezioni al Mag in Darsena ora si replica al Museo delle Marionette

 Bonaccorso

Chi ha detto che bisogna per forza disegnare bene? Insegnare il “disegno brutto” è un’idea dell’illustratore Alessandro Bonaccorsi. Toscano di nascita, ravennate di adozione da cinque anni, ha realizzato illustrazioni per libri, giornali come Il Sole 24Ore, La Stampa, Internazionale e manifesti per vari clienti, tra cui “Save the Children”. Il suo corso è diventato un piccolo fenomeno di culto, da marzo a oggi ha girato per 30 città, con oltre 400 studenti. A Ravenna dopo le lezioni al Mag, la galleria d’arte in Darsena di Città, tenute nelle due prime settimane di novembre con notevole successo, i prossimi incontri in città si svolgeranno a breve alla Casa delle Marionette (Per info e prenoatzioni: www.lacasadellemarionette.com o 3926664211).
Ma cos’è il “disegno brutto”? Perché mai una persona dovrebbe imparare a fare disegni brutti anziché belli?
«Il corso di disegno brutto nasce dall’osservazione che la maggior parte delle persone non disegna e non usa il disegno per necessità di ricerca interiore, di supporto al pensiero. Non lo fa perché è stata, in qualche modo, ostacolata dal giudizio. Da bambini tutti disegniamo, poi, a un certo punto, qualcuno ci dice che disegniamo male, allora smettiamo. Il disegno è considerata una forma d’arte, quindi è molto soggetta al giudizio degli altri, che spesso ci inibiscono. La possibilità di fare disegni “brutti”, significa poter entrare in una dimensione dove non c’è giudizio, in cui essere liberi di esprimersi».
A un adulto cosa può servire riscoprire il disegno?
«Ho visto molte persone da quando ho iniziato a tenere corsi e vedo che col disegno trovano nuove vie da percorrere. Il disegno è uno spazio per sé stessi. Può essere utile per il lavoro, ma anche solo per rilassarsi e stare bene».
Disegno BonaccorsoChi viene ai tuoi corsi?
«Il corso è giocato sulla voglia di mettersi in gioco, quindi può venire chiunque. È un pubblico molto eterogeneo, però sono quasi tutte donne. Dai 25 ai 60 anni. Sono consulenti aziendali, formatori, ma anche molte persone che fanno lavori noiosi e cercano una via di fuga. Vengono pochi artisti e pochi insegnanti».
Come mai sono soprattutto donne?
«Bella domanda. Credo che le donne siano più aperte al lato ludico, siano più disposte a mettersi in gioco, mentre i maschi sono più bloccati. Mi ha chiesto di fare questo corso una grossa azienda meccanica di Reggio Emilia. Ha obbligato i suoi ingegneri a seguirlo come master interno. Erano venti maschi e cinque donne. Erano molto scettici e facevano fatica a mettersi in gioco, non è stato facile farli sciogliere un po’».
È un corso anche un po’ filosofico, come è scandito il percorso?
«È filosofico nel senso che metto in dubbio molte certezze delle persone. Abbiamo molti condizionamenti nella nostra vita, cose che crediamo di sapere: il corso serve anche per smontare questi pregiudizi e scoprire le proprie potenzialità».
“Brutto” in toscana poi ha un significato particolare…
«Dove sono nato il termine “brutto” non è un’offesa. Le nonne chiamano i nipoti “oh brutto, vieni” che è un modo affettuoso e scherzoso di dire che, comunque tu sia, sei ben accetto».
Come è la vita di un illustratore a Ravenna?
(Ride) «Un po’ dura. I clienti che ho sono quasi tutti fuori. Da quindici anni mi sposto spesso, di città in città, quindi faccio fatica a mettere radici. A Ravenna vedo che i disegni che faccio piacciono e vengono riconosciuti, ma manca una committenza. Mi pare che ci siano poche persone che si occupano di illustrazione, rispetto ad altre città in cui ho vissuto».
Ci sono illustratori, o artisti in generale, che ti hanno particolarmente influenzato in questa ricerca sul brutto?
«Non c’è un vero e proprio punto di svolta, tutto forse nasce dalle mie letture adolescenziali dei libri di Peter Kolosimo e poi Le leggi della semplicità di John Maeda, e il libro del Tao e la passione giovanile per Magritte e su tutto la voglia di capirne di più sul processo creativo».

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