Processo Cagnoni, l’identikit dei giudici popolari che decideranno se è un assassino

Il 53enne dermatologo è accusato di aver ucciso la 39enne moglie Giulia Ballestri e rischia l’ergastolo: la sentenza spetta alla corte d’assise, composta da due giudici togati e otto cittadini estratti a sorte (di cui due solo in veste di supplenti). Il loro profilo: età, sesso, titolo di studio, stato civile, professione

I giudici togati della corte d’assise del processo a Matteo Cagnoni: a destra il presidente Corrado Schiaretti, a latere Andrea Galanti

L’età media è 56 anni, quattro donne e quattro uomini, sette su otto sono sposati, tre hanno la licenza media e uno solo è laureato, un pensionato e una casalinga, due residenti a Ravenna e gli altri sei nel Faentino: è il profilo sommario degli otto giudici popolari che affiancano i due togati (presidente Corrado Schiaretti, a latere Andrea Galanti) nella corte d’assise del processo per l’omicidio di Giulia Ballestri cominciato il 10 ottobre scorso con il marito Matteo Cagnoni alla sbarra.

Questi i singoli profili più dettagliati (nomi e foto non sono pubblicabili): una casalinga 50enne con diploma di scuola superiore, una 46enne metalmeccanica con licenzia media, un’infermiera 57enne, una 60enne laureata che lavora nel campo amministrativo, un artigiano di 64 anni con diploma di superiori, un 55enne con diplomato alberghiero che lavora nel turismo, un pensionato di 63 anni con licenza media e un 54enne artigiano con licenza media. Uno è residente a Ravenna, due a Castel Bolognese, due a Faenza, uno a Solarolo e uno a Brisighella. Siedono tutti al banco della corte ai lati dei togati, indossando una fascia tricolore, ma due di loro sono in veste di supplenti: seguiranno tutte le udienze ma prenderanno parte alle decisioni solo qualora venissero chiamati a sostituire uno dei titolari impossibilitato a continuare per via di qualche grave problema (la sostituzione poi diventa definitiva).

Sono stati selezionati tra i 50 estratti a sorte dall’elenco a disposizione del tribunale, distribuiti in maniera omogena tra i diciotto comuni della provincia perché trattandosi di un’assise di primo grado il bacino di riferimento è provinciale, gestito in via telematica dal ministero. L’elenco dovrebbe essere composto dai cittadini con età compresa tra 30 e 65 anni che si iscrivono volontariamente. Ma siccome i volontari scarseggiano, alcuni Comuni hanno adottato una linea opposta: comunicano ai tribunali tutti i nominativi dei cittadini idonei e affiggono avvisi pubblici non per cercare volontari ma per avvisare chi non è interessato perché chieda di essere cancellato.

Alcuni tribunali fanno periodicamente le estrazioni per avere già pronta l’eventuale composizione mentre il tribunale di Ravenna, per snellire le procedure, ha scelto di comporre le corti solo quando sono in programma processi che lo richiedano (l’assise è chiamata a giudicare solo i reati più gravi). E così a settembre gli estratti hanno ricevuto dai carabinieri la convocazione ufficiale per comparire in tribunale (il datore di lavoro è obbligato a concedere il permesso, l’assenza è consentita solo con certificato medico per gravi motivi di salute o spostamenti all’estero già programmati e inderogabili). Uno per uno gli estratti sono stati chiamati e sottoposti ad alcune semplici domande per valutare la propensione alla partecipazione. Innanzitutto si cerca di capire chi potrà garantire una disponibilità certa per un lungo periodo (dal 10 ottobre udienza ogni venerdì fino a primavera inoltrata): persone sole con anziani o figli piccoli a carico o con particolari impegni già in previsione vengono scartate. Così come sono stati scartati quelli che conoscevano già le parti (ad esempio un vicino di ombrellone dei coniugi a Marina Romea) o gli obiettori di coscienza per l’ipotesi ergastolo (è stato scartato anche quello che ha risposto di essere favorevole alla pena di morte…). I giudici togati prendono nota anche di eventuali sensibilità dei singoli di fronte a immagini violente che dovranno essere visionate in udienza, oppure la difficoltà a restare chiusi per ore in un’aula senza finestre. Sono esclusi d’ufficio appartenenti alle forze dell’ordine e dipendenti del tribunale. A quel punto la scelta degli otto nomi è di competenza esclusiva dei due giudici togati (a cui tocca poi anche il compito di accompagnarli nella comprensione dei passaggi più tecnici): una volta selezionati restano incaricati fino alla fine del processo qualunque sia la durata (e per due anni a seguire non faranno altre corti). All’inizio in pochi gioiscono ma molti alla fine in passato hanno riconosciuto di aver vissuto un’esperienza anche faticosa ma intensa.

Per ognuno c’è un gettone. Rimborso pasto, rimborso spese di viaggio (calcolato come se si viaggiasse in treno) e un piccolo extra: in totale si arriva a circa 70-80 euro giornalieri. Chi ha un lavoro dipendente percepisce la busta paga come se fosse presente al lavoro.

Non è richiesto adottare particolari disposizioni o comportamenti al di fuori del tribunale se non il divieto di parlare con chiunque di quanto accade in camera di consiglio: una volta che si chiude la porta sono interrotti tutti i contatti con l’esterno fino alla decisione. La pausa si fa dentro. Il bar fornisce i caffè, per il resto i giudici ravennati hanno fatto un patto: a turno ognuno porta qualcosa di dolce o salato da condividere.

La sentenza del processo arriverà dopo maggio 2018: per quel mese è atteso il pronunciamento della Cassazione sulla richiesta della difesa di trasferire altrove il processo perché la corte ravennate sarebbe stata influenzata da una campagna stampa avversa all’imputato. Se la Suprema Corte dovesse accogliere la richiesta, il processo dovrebbe ricominciare da zero in altra sede.

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