Il medico di nuovo in corsia dopo un anno di pensione: «Così aiuto i più giovani»

Il 63enne Andrea Drei ha passato 25 anni in pronto soccorso e ora ha aderito alla chiamata dell’Ausl per la pandemia: «Le protezioni limitano la comunicazione»

Drei MedicoUn anno di pensione non ha spento la sua passione per la medicina e il dottor Andrea Drei ha risposto presente quando l’Ausl ha proposto ai neopensionati di tornare in servizio per colmare la carenza di personale nell’emergenza pandemica.

Dopo 25 anni di pronto soccorso a Faenza, il medico è stato assegnato allo stesso reparto di Ravenna. Un incarico per tre mesi, recentemente concluso. Ma il medico faentino è già pronto a tornare sul campo: «Probabilmente all’inizio del 2021 farò una nuova domanda. L’azienda sta assumendo tanti giovani che hanno un’ottima preparazione universitaria e credo che possa essere utile avere accanto qualcuno con esperienza maturata in tanti anni».

Drei è andato in pensione a fine 2018, quando ha avuto i requisiti: «Le energie non erano più quelle di un tempo per stare in un pronto soccorso a tempo pieno con i turni notturni, i regolari sforamenti di orario e i ritmi frenetici di quel reparto. Ma non ho mai nascosto che la passione per la professione era ancora intatta. Non ero stanco di fare il medico. Quando è capitata l’occasione per un rientro con condizioni meno estreme e ritmi più ridotti ho detto sì».

Al Santa Maria delle Croci infatti il 63enne è stato assegnato agli ambulatori con i codici di minore gravità. Perché non c’era solo il coronavirus da curare: «Ho affiancato spesso giovani medici neo-laureati: si vede che hanno una buona base teorica, migliore di quella che l’università forniva ai laureati della mia generazione, ma la medicina ha l’esigenza di essere praticata e ho cercato di trasferire le mie conoscenze».

Tornare non è stata una scelta di impeto. Perché non si trattava solo di rimettere il camice: stavolta bisognava aggiungere mascherina, visiera, calzari, tuta. «Tutte le decisioni importanti si valutano in famiglia. Anche mia moglie lavora nella sanità e questo ha facilitato i ragionamenti. Infatti a marzo ho ritenuto che fosse troppo rischioso anche per dei piccoli problemi di salute che ho: c’erano minori protezioni disponibili, c’erano più incognite sulla malattia. Adesso c’è ancora molto da imparare sul Covid ma ci sono Dpi per tutti».

L’incarico è iniziato a fine agosto e così Drei si è trovato in corsia mentre la marea della seconda ondata montava giorno dopo giorno. Un numero: dei novemila casi totali diagnosticati in provincia di Ravenna in nove mesi, più di settemila sono concentrati da inizio settembre. «Abbiamo visto cambiare il paziente da gestire. Con l’aumento dei casi è stato necessario rivedere gli spazi per disporre i letti con più distanziamento. Abbiamo anche visto un aumento di casi non Covid che erano stati trascurati nei mesi precedenti per non rivolgersi agli ospedali perché spaventati dalla malattia».

Le protezioni per evitare il contagio sono state un ostacolo in più per il personale: «Parlare ai pazienti attraverso due mascherine e una visiera non è facile. Non riesci a comunicare nel modo migliore. E c’è una difficoltà ulteriore dovuta all’assenza di familiari, tenuti lontani per evitare affollamenti: a volte i parenti sono importanti per raccogliere informazioni sul paziente».

In tre mesi di lavoro Drei ha vissuto anche la tensione per chi deve sottoporsi a tampone come contatto a rischio: «Dopo la positività di un infermiere abbiamo fatto i tamponi e l’attesa dell’esito non è piacevole. Si vive con pathos».

Pur con una esperienza trentennale, ovviamente Drei non aveva mai vissuto una pandemia. Ma non sono mancati i momenti duri: «Ricordo il periodo con il timore di Ebola ma in quel caso la situazione durò meno perché l’altissima letalità fa sì che il contagio sia meno diffusivo». E in tanti anni è cambiata l’attività in Ps: «È diminuita la traumatologia. Soprattutto quella per gli incidenti stradali. Gli anni delle cosiddette stragi del sabato sera me li ricordo ancora, mi ricordo anche quando devi dare la notizia di una morte ai parenti. Non ci si abitua mai ma se non sai gestire quelle situazioni forse non è il tuo mestiere».

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